Messa Solenne in memoria delle vittime: "Signore dov'eri la notte del terremoto"?

06 Aprile 2011   18:50  

Basilica di Santa Maria di Collemaggio, 6 aprile 2011 Omelia della messa per la ricorrenza del terremoto del 6 aprile 2009.

Un saluto affettuoso e pieno di riconoscenza al Signor Presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano. La Sua presenza tra noi, carissimo Presidente, è un dono grande per tutti gli Aquilani e in particolare per i familiari delle vittime de terremoto. A questi familiari rivolgo anche in questo momento l’attenzione più sincera e la promessa della preghiera mia e di tutti i presenti. Un saluto e un grazie al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, on. Gianni Letta; un saluto a tutte le Autorità; un saluto ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose e a tutti voi, carissimi fratelli e sorelle, che siete oggi qui nella nostra Basilica di Santa Maria di Collemaggio.

Nel Salmo responsoriale (Salmo 129) di questa santa Messa, che stiamo celebrando per tutti i nostri fratelli e sorelle morti nel terremoto, abbiamo ripetuto insieme: «Dal profondo a te grido, Signore; Signore ascolta a mia voce». In quella terribile notte del 6 aprile tutti, all’improvviso, ci siamo ritrovati in un pauroso abisso. Un abisso di terrore, di morte, di dolore e di disperazione. Dopo due anni solo il Signore sa fino a che punto stiamo risalendo da quell’abisso. Ma siamo qui proprio per questo: per gridare insieme al Signore: «Signore ascolta la mia voce». Signore ascolta la voce dei genitori, che hanno perduto i cari figli, dei figli, che hanno perduto i genitori, e di tutti coloro che hanno perduto fratelli, sorelle e altre persone care. Signore c’è tanto dolore ancora attorno a noi. Sono passati due anni, ma le ferite di quella notte orribile sono ancora aperte.

Anche noi ripetiamo, come l’autore del libro delle Lamentazioni (che abbiamo ascoltato nella prima lettura): «Sono rimasto lontano dalla pace, ho dimenticato il benessere. E dico: “è scomparsa la mia gloria, la speranza che mi veniva dal Signore”. Il ricordo della mia miseria e del mio vagare è come assenzio e veleno. Ben se ne ricorda la mia anima e si accascia dentro di me». Ma lo stesso autore sacro subito aggiunge: «(…) voglio riprendere speranza. Le grazie del Signore non sono finite, non sono esaurite le sue misericordie. Si rinnovano ogni mattina grande è la sua fedeltà. (…) Buono è il Signore con chi spera in lui, con colui che lo cerca. È bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore». Aspettare in silenzio la salvezza del Signore…per quanti giorni, mesi,anni dobbiamo aspettare, oh Signore? Una domanda come questa, Signore, te la rivolse la tua amica di Betania, Marta, sorella di Lazzaro. Marta e Maria ti avevano informato che il tuo amico era malato, ma tu non ti sei affrettato. Quando sei giunto a Betania il tuo amico era già morto, perciò Marta ti ha dolcemente rimproverato: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà».

Anche noi Signore non possiamo fare a meno di gridarti: Dove eri quella notte terribile del terremoto? perché non sei rimasto vicino a tutte quelle persone care, che ora non sono più accanto a noi? E tu rispondi anche a noi, come a Marta: «Tuo fratello risorgerà». Tuo padre, tua madre, tuo figlio, tua figlia, tuo marito, tua moglie, quella tua persona cara … risorgerà. E anche noi siamo spinti a risponderti: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Ma quello, Signore, è un giorno lontano, troppo lontano … noi abbiamo bisogno subito di guardare quel volto, abbracciare quella persona cara, accarezzarla, sentire il suo respiro, sentirla viva accanto a noi. Ne abbiamo bisogno subito, Signore. Il giorno di cui tu parli è troppo lontano … e tu rispondi anche a noi: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà. Chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi tu questo?». Vorremmo, Signore, come Marta risponderti che crediamo. Ma come è difficile! Signore abbi pietà della nostra poca fede, Signore abbi pietà della nostra incredulità. E aiutaci a credere quello che san paolo scriveva ai cristiani di Roma: «Se Dio è per tutti noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cos insieme a lui?». Sei tu, Signore, che ci hai chiamato alla vita. Ci avrai donato giorni sereni in questa nostra bellissima città. Poi … hai permesso questa tragedia grande … Ma ora la fede ci dice che questa tragedia non è l’ultima parola.

Ci rimane una certezza grande, incrollabile come la roccia delle nostre montagne: il tuo amore per noi. E per questo sentiamo di poterti ripetere come san Paolo: «Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori, grazie a colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte, né vita, né angeli, né principati, né presente, né avvenire, né potenze, né altezza, né profondità, né alcuna altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore». Se crediamo a questo amore, che non ci abbandona mai, allora tutto diventa più certo. Se crediamo a questo amore è certa la vita che ci attende dopo questa vita. Disse un giorno Gesù prima della sua Passione: «Ecco vado a preparavi un posto.

Quando sarò andato vi avrò preparato un posto, tornerò a vi prenderò con me. Perché siate anche voi dove sono io». Se crediamo all’amore di Gesù che non ci abbandona mai, allora sperimentiamo la certezza che le nostre persone care vivano accanto al Signore. E un giorno potremo incontrarle di nuovo e saziarci di gioia per sempre. Se crediamo all’amore di Gesù per noi sboccia in noi la certezza che nessun gesto di amore della nostra vita andrà perduto. E la certezza che anche i momenti di pianto e di sofferenza non andranno perduti. Un giorno ne scopriremo il significato e l’incredibile fecondità. Se crediamo all’amore di Gesù per noi scopriremo che la nostra vita è come una sillaba di un discorso che durerà per tutta l’eternità. Diventeremo umili e sperimenteremo che la nostra vita è tutta immersa in un grande mistero. Il mistero può mettere paura, ma può anche scatenare in noi una grande speranza. A poco a poco scopriremo che, dietro il velo del mistero, si nasconde un mondo che non conosciamo. Il mondo nuovo promesso da Gesù! Un mondo fatto di pace, di luce, di gioia e di bontà. E di tanto amore. Perché tutto passerà un giorno. Solo l’amore resterà per sempre.

Giuseppe Molinari - Arcivescovo Metropolita diocesi dell'Aquila


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