Morte di Michele Notturno, poeta

28 Ottobre 2011   10:15  

Pochi giorni fa è morto nella sua Bisenti il poeta Michele Notturno. Lo ricordiamo con questo articolo, scritto dopo un incontro indimenticabile in una trattoria tra il fiume Fino e il Gran Sasso. 

Famma arvidè stà pingiarelle
Versi e bicchieri in compagnia di Michele Notturno, poeta

''La vigne di Ciccille è nà cullina d’ore, tra li filare va li cante di l’amore,
lu sole da la vite a chi ‘nz’ascalle cchiù ci da l’uva riggine e ‘sta bella gioventù...La sera, sole sole, dentr’a la cantinole, lu turchie strignavame a core a core.''

Si commuove al declamare in osteria Gino il Pesciarolo, accenna un applauso e guarda riconoscente il suo amico, maestro e  compaesano. Il poeta alza lo sguardo mite  e invita a brindare con  vino Montonico paglierino.

''Lu miracule su questa terra  – prosegue il poeta tenendo in mano il  calice amletico e solenne – li po' fa solo li sante...ma guarda quant'è chiare, pare l'acqua di surgente, manna n'addore di rose e di viole... ecche lu miracule che fa ogn'anne da n'uva puvirelle, nù vine da signore, e passa dolce l'ore''.

Scandito dalla voce antica di Michele Notturno,  l'Omar Khayyam di Bisenti e di queste terre generose ed aspre, il vernacolo vestino, come tutte le lingue vive e originarie, non sono una barriera contro il barbaro straniero, ma un caldo abbraccio di benvenuto.  E se qualche parola ti sfugge, non fa niente.

Puoi leggere e rileggere e alla fine un senso lo troverai. Del resto sono secoli che da questi colline si trascorrono le serate a guardare il Gran Sasso, gigante di pietra e nuvole, e sono secoli che imperturbabile lui resta un irraggiungibile e silenzioso enigma. 

Michele, poeta, insegnante, drammaturgo e cantore, pittore e scultore, contadino e sognatore, è tornato a Bisenti dopo un lungo girovagare, circa quarantanni fa. Racconta, durante il piacevole pranzo in osteria, di quando studiava a Roma e per mantenersi faceva il benzinaio, e dormiva in una baraccopoli del Corviale, perchè un affitto non poteva permetterselo, ai tempi in cui anche gli emigranti abruzzesi vivevano talvolta come gli zingari.  ''Sono tornato nella mia terra - spiega - per fare un regalo alla buonanima di mia moglie''.

Ed per questo che le sue radici sono così tenaci, perché hanno scelto loro la terra dove affondare e germogliare.
Interviene un simpatico commensale. Ci racconta orgoglioso del Revival dell'uva e del vino Montonico, che si celebra a Bisenti da oltre trentanni ad ottobre. Descrive, cantastorie anche lui, dei fiabeschi carri, degli organetti indemoniati, delle fantasmagorie di cartapesta, dell'anima semplice e profonda di un popolo che celebra se stesso in giorni di gioia ed ebbrezza.

''Quarantanni fa a Bisenti – spiega poi il nostro amico - c'erano 15mila abitanti, oggi ne siamo a malapena duemila. Per noi questa festa è importante, per far tornare i paesani andati a vivere lontano da qui, è un modo per tenere vivo il paese, per tramandare di padre in figlio una tradizione che se muore sarebbe la morte di una comunità, la fine della storia''.

Il poeta Notturno ascolta e si rabbuia. Il suo pensiero va alla vecchia cara cantinola di maestro Ciccille che non c'è più, luogo di incontro montano più che mondano, per estimatori del montonico,  poeti altolocati, nel senso di in cima ad una collina,  intellettuali con le dita terrose e sogni tersi e puri come l'aria del Gran Sasso. Le idee e le rime lassù sgorgavano fresche ed inebrianti. E Bisenti sembrava il centro del mondo.

Apre il suo libercolo, il poeta Notturno, schiarisce la voce e l'osteria s'ammanta di blues:

''Quande arpenze a lu passate jurne e notte, ‘nverne e ‘state, vuje stà simbre ‘mbrijache... Ahuarde: lu fiume stracche, verse lu mare granne va, e ‘nzimbre a l’acqua sporche speranze e sugne va’ffugà... Valle abbandunate cuma la vita me! Tante so date, ninte so avute...valle disgrazijate''.

L'abbandono, lo spopolamento. E' questa la maledizione, il maligno incantesimo che intristisce l'Appennino, e luoghi e paesi che pure sembrano paradisi in terra. Forse chissà, di una bellezza così assoluta e immobile, che suscita spavento e invita  alla fuga, alla ricerca di un altrove, in particolare i giovani ammaliati dalle mille luci della città, che pulsano lontano, in fondo alle valli come stelle precipitate dal cielo. Dove però non è detto che troverai l'America.

Ma anche la noia e la solitudine, la freddezza e la falsità, un'esistenza di periferia, una fabbrica che oggi ti dà il pane e domani chissà, un padrone che ti ruba il tempo e un lavoro che ti secca l'anima.

Eppure su queste colline d'oro sarebbe possibile vivere con gran dignità, facendo i mestieri dei padri, senza sentirsi isolati dal mondo, ma anzi la frontiera di una nuova era dell'abitare. Gli occhi di Michele, Gino, e dei nostri commensali dimostrano che è qui possibile una vita degna di essere vissuta, che addirittura tal volta si avvicina niente popò di meno che alla felicità. 

Se c'è un verso di Notturno, che il cantastorie conserverà con cura nella sua gerla, è il seguente: ''l'amore è come la vigne, dura tant'anne si tu ì sti attinte''.

Amore e attenzione, ovvero un invito a restare, a coltivare il tempo e lo spazio, o anche a partire,  ricordando però che è inutile andare a cercare nel mondo quel che non si riesce a trovare dentro di sé.

Ci sono poi giovani che di cose belle dentro ne avevano tante, a bizzeffe e da vendere. Sono andati via e non potranno più tornare. Michele riempie il calice, Gino invita a brindare. Michele comincia scrivere, su un foglietto sgualcito, l'ultima poesia da dare in consegna al nostro inviato il cantastorie.

E' dedicata ad Alessio, suo nipote, morto sotto le macerie  della casa dello studente, in una notte con una strana luna e oscuri e inascoltati presagi, quando la terrà danzò un saltarello di morte che sembrava non finire mai: ''Jerva murararia su stì macerie, famma arvidè stà pingiarelle, dove s'ha morte la giovintù che stujeve, è mò nin ci sta cchiù. Pinzemme ad Alessie e alli cumpagne. Pure uje me mi vè da piagne. Ma l'Aquila tornerà a volare''.

Filippo Tronca - dal periodico Lu cantastorie


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