Nel tunnel dell'incertezza. Il male del cittadino post-sismico

Intervista a Noemi D'Addezio

21 Luglio 2009   15:35  

Da qualche tempo all’Aquila c’è una strana atmosfera. Da un lato la comunicazione istituzionale che parla di nuovi alloggi pronti per Natale, decreti aggiuntivi a misura di sfollato, fondi per la Ricostruzione. Dall’altro la quotidianità sempre più caotica, confusa e sfuggente del cittadino aquilano, messo in sicurezza nel corpo e abbandonato nella mente, nel cuore, nelle emozioni.

Da qualche tempo all’Aquila tira una brutta aria. Se malauguratamente ti si allaga casa devi sperare che il danno sia sufficientemente rovinoso da giustificare l’intervento dei pompieri, altrimenti rimani solo, tu e il secchio di plastica che servirà a sgombrare i pavimenti inondati dall’acqua. Si perché le forze che lo Stato aveva messo a disposizione del cittadino attraverso gli organi locali sono state risucchiate dal vortice dell’emergenza sismica. Così, oggi, quasi nessuno rischia più di morire a causa di una scossa, ma per tutto il resto arrangiarsi è la regola dominante.

Da città tranquilla L’Aquila sta trasformandosi in luogo stregato, selvaggio, quasi pericoloso. All’interno delle tendopoli è vietato fare politica. Fuori accade di tutto. Prostituzione, droga, prezzi che improvvisamente lievitano. Abissi di disuguaglianza minacciano la convivenza sociale dei lavoratori: chi affoga tra i debiti non simpatizza per quanti da mesi non si presentano al lavoro continuando a percepire lo stesso stipendio. All’enorme empatia dei giorni seguiti alla tragedia si è sostituito l’astio di una rivalità tanto sterile quanto manifesta. “Prima ci si salutava tutti” dice una sfollata, “ora a mala pena si guarda in faccia l’altro”. 

All’Aquila anche la parola privacy sta mutando natura. Gli sfollati che vivono in tenda ne hanno perduto il senso, il valore, la vitale importanza. Accade così di esplodere d’ira per una scatoletta di tonno sparita, una sedia occupata , uno sguardo mal interpretato. Molti si sono chiusi. Se non si può avere un po’ di solitudine-devono aver pensato- che almeno gli altri stiano alla larga.

A circa due mesi dalla prima intervista, la psicologa del Centro di Salute mentale aquilano, Noemi D’Addezio, torna a raccontarci gli effetti della profonda crisi psicosociale che ha investito la cittadinanza abruzzese colpita dal sisma.  Una cittadinanza pericolosamente annichilita, ammutolita, frastornata. La rabbia costruttiva dei primi giorni ha lasciato il posto al male oscuro della depressione. Qualcuno  imperterrito continua a combattere, altri hanno preso la brutta abitudine di chiudere gli occhi prima che faccia buio.

Quando chiamo Noemi la terra ha appena finito di tremare. Sospira facendosi forza. Le chiedo se non sia il caso di rimandare l’intervista, mi dice “non c’è problema” e inizia a rispondere alle domande che le rivolgo. Dopo qualche secondo il tono di voce riacquista il suo abituale brio, scivolando nel ricordo delle ultime giornate di campo vissute, i pazienti ascoltati, e le notizie distratte dei media, sempre più difficili da decifrare, sempre più contraddittorie.

Ciao Noemi. Sono molti i cittadini aquilani che si dicono confusi rispetto al sistema: se da un lato si provvede a proteggere più o meno tutti da ulteriori possibili scosse, dall’altro questioni ordinarie come l’allaccio del gas o la riparazione di un guasto elettrico, diventano problemi insormontabili.

“Vero. Conosco persone che per ottenere l’allaccio del gas in case dichiarate agibili hanno dovuto chiamare diverse volte la società incaricata, o di zone dove alcuni operatori hanno spaccato tombini poi lasciati aperti per giorni e giorni. Una situazione faticosa, difficile da sopportare. Soprattutto per quanto riguarda il problema Ricostruzione. La gente non riesce ad ottenere informazioni precise, coerenti, univoche. Non si capisce ad esempio quando iniziare i lavori di riparazione e messa in sicurezza delle proprie abitazioni. Occorrerebbe una comunicazione più trasparente. Proprio ieri sul giornale è uscito un articolo sul contributo per nuclei familiari con autonoma sistemazione. Persone che aspettavano assegni mensili di 100 euro a componente si sono ritrovati con importi pari a 20 euro lordi, 16 netti. Si tratta di eventi che  certo non vanno a migliorare la stabilità delle persone. Le scosse continuano, e anche quanti hanno ripreso possesso della casa evitano di sostarvi durante la notte. I messaggi che arrivano sono contraddittori. Le comunicazioni verbali del Presidente del Consiglio non trovano riscontro nei diktat stabiliti dai decreti, basta pensare all’esempio delle tasse. Ci viene richiesto di restituire il 100% delle tasse sospese durante l’emergenza. Il Premier rassicura promettendo un decreto aggiuntivo, ma di fatto gli sfollati aquilani sentono di valere un terzo di quelli umbri, chiamati a versare  solo il 40% delle tasse abbonate nel periodo post-sismico. Contenuti talmente incerti annichiliscono il cittadino, che rimane immobile, in attesa di capire quanto gli accade intorno”.

Uno dei maggiori problemi vissuti dagli sfollati abruzzesi è la prolungata mancanza di privacy subita all’interno delle tendopoli. Quali sono gli effetti che una tale situazione genera sulla psiche delle persone coinvolte?

“Esistono varie reazioni. In alcuni casi, aspri conflitti vengono scatenati da episodi insignificanti. Si diventa reattivi, rabbiosi, vittime di una frustrazione che attende la minima scusa per manifestarsi. A volte invece è la chiusura la reazione predominante. La gente si chiude e stati d’animo come irritabilità e scontentezza aumentano il livello di malessere delle famiglie costrette a convivere in una tenda. Persino noi, che ci occupiamo di salute mentale soffriamo di questo stato di cose: non avendo ancora una sede  dove dialogare con le persone, le psicoterapie si fanno passeggiando lungo i viali della tendopoli, o al bar  del centro commerciale. Non c’è riservatezza né protezione dei dati personali, una situazione caotica”.

Diverse voci parlano di droga all’interno delle tendopoli. Chi ha perso casa e lavoro è più esposto alla ricerca dell’oblio?

“Potrebbe essere ,ma non disponiamo di dati certi in grado di confermare il fenomeno. Molti giovani che prima si riunivano nei locali, nei teatri, nei cinema andati distrutti nel sisma, oggi si ritrovano al centro commerciale, o al chioschetto che ha aperto in via della Croce Rossa.  In assenza dei tradizionali punti di intrattenimento che frequentavano prima del 6 aprile scorso, i ragazzi potrebbero ricercare anche altro tipo di divertimento”.

Altro grave segnale di malcontento è che da uno stato iniziale di comunanza ed empatia post-sismica, molte persone siano passate a mettere in atto atteggiamenti di rivalità, astio e intolleranza.

“Esattamente. L’assetto emotivo si è trasformato completamente. Da questa grande vicinanza, condivisione, solidarietà dei primi tempi, adesso si è tornati ad una mentalità del tipo “Cicero pro domo sua”, dove ognuno pensa per sé, innescando atteggiamenti di rivalità e separazione anche in presenza di futili motivi.   Prima si scambiavano saluti, opinioni e abbracci. Adesso la gente si saluta a mala pena mostrando di non tollerare più la situazione”.

Che cosa ne è stato del disturbo post traumatico da stress che tutti si aspettavano avrebbe invaso la cittadinanza?

“Non si è diffuso. Quanto ci aspettavamo non è avvenuto, mentre ciò che stiamo riscontrando tra le persone sono fenomeni depressivi e attacchi di panico. Dagli studi che si stanno effettuando in tale ambito si sta apprendendo che il disturbo post traumatico da stress da evento catastrofico naturale, non è da considerarsi come maggiore espressione psicopatologica del trauma subito, perché- probabilmente- lo stress vissuto dal terremotato è da ricondursi più alla situazione che sta vivendo da oltre 3 mesi, che al terremoto in sé”.

In parole povere lo stress sarebbe legato più al modo con cui il sistema sociale affronta l’evento sismico, che non al sisma stesso. La differenza risiederebbe dunque nel grado di tutela che la società riesce a garantire al cittadino colpito dalla catastrofe.

“Esatto. Naturalmente qui non si intende dire che l’emergenza non sia stata trattata nel migliore dei modi. Il problema risiede nelle modalità previste per la Ricostruzione. Non sapere cosa ci aspetta nel futuro, quando e come rientreremo nelle nostre case, a chi rivolgerci per informazioni certe e cristalline: questi sono gli aspetti destabilizzanti. Credere di farcela e poi sentire nuovamente la terra che trema”.

Come fare per trasmettere stabilità ai cittadini abruzzesi vittime del sisma?

“Prima di tutto mettere in sicurezza le loro case laddove rimaste in piedi. Le altre vanno ricostruite, non costruite ex novo. Per l’assetto psicologico della persone che hanno scelto di rimanere in questa città nonostante la tragedia sismica, costruire altrove è oltremodo destabilizzante. La gente ha bisogno di ricostruire la propria storia, la propria appartenenza a questi luoghi. Ai Grandi della Terra è stato concesso di passeggiare indisturbati tra le rovine dell’Aquila. Una libertà che agli abitanti del Capoluogo- molti dei quali proprietari di case già dichiarate agibili- non è stata ancora concessa”.





Giovanna Di Carlo

 

 


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