Nell’agenda di nessuno. Conversando con la gioventù abruzzese

Intervista a Cristina Mosca

05 Giugno 2009   12:12  
Siamo giovani. Siamo nell’agenda di nessuno. Non in quella dei politici sempre troppo interessati a manipolare il corso degli eventi piuttosto che a rappresentarlo. Non in quella dei media generalisti alla spasmodica ricerca di storie stucchevoli e copioni ormai anacronistici, talmente incapaci di rappresentarci da apparire grotteschi. Nemmeno l’agenda degli ecclesiastici simpatizza con il nostro essere. Impegnata com’è a diffondere vecchi e logori codici rimane spesso sorda al sussurro tenue, a volte bizzarro di questo presente sfaccettato e anarchico. La verità e che sfuggiamo al controllo. Originati da generazioni sempre più veloci a cambiare modelli e stili di vita in nome di qualche ideale o esperimento sociale, siamo figli di un tempo che non detta alcuna regola se non quella di sperimentare, sperimentare e ancora sperimentare.

Così, per una volta, o forse per tante altre ancora, ci occuperemo di qualcosa che nessuna agenda politica, mediatica o istituzionale sta vagliando in questi giorni. La bellezza di una generazione che contiene tutto senza possedere alcunché. Famiglia, lavoro, casa, passioni e amicizie vengono attraversate come fossero le ultime al mondo, allargando il confine dell’esistenza a quello ignoto e multiforme dell’universo.

L’intervista di oggi, dedicata alla giovane scrittrice e giornalista abruzzese Cristina Mosca, viene qui riproposta nella forma autentica della conversazione telefonica avuta con la sottoscritta. Nata con lo scopo di rappresentare quella porzione di gioventù abruzzese alle prese con le infinite opportunità e le altrettante difficoltà del Contemporaneo, il dialogo si è svolto con tale preziosa spontaneità da renderne impensabile qualsiasi codificazione o formalizzazione di sorta.

Cristina insegna inglese, si occupa di uffici stampa(uno dei quali è quello di Legambiente Abruzzo) e promuove eventi.  Ha pubblicato il suo primo libro nel 2005, in seguito alla vincita del concorso letterario di Fasano “Valerio Gentile”. L’opera era intitolata "Chissà se verrà alla mia festa" ed è stata seguita, due anni dopo, da un secondo lavoro intitolato “E donne infreddolite negli scialli". Nel blog che porta il suo nome la nostra scrittrice “sgocciola” pensieri e riflessioni, dando vita ad una sorta di diario privato che usa al solo scopo di sfogarsi, affidando poetici frammenti di vissuto allo spazio infinito del Web …


Chi è Cristina Mosca?

“Cristina Mosca è penna. Giornalismo, libri, uffici stampa … tutto mi riconduce alla scrittura”.

Una scrittrice dunque.

“Una mediatrice più che altro. L’ho capito di recente: la mia principale funzione in questa vita è quella di avere qualcosa da dire e trovare il modo di dirla. È quanto accade nell’insegnamento di una lingua straniera, lavorando negli uffici stampa, promuovendo eventi. Tutto si regge sul sapere cosa dire, come, e in che tempi.  Accade anche nel giornalismo, con le dichiarazioni delle varie personalità pubbliche … si tratta di riportare quanto dicono stando attenti a non mettere nei guai nessuno, basta una frase sbagliata. Io sono in questi dettagli.”

'Tecnicamente' come ti definiresti?

“Tecnicamente sono insegnante di inglese. Il mio percorso di studi si è basato sull’obiettivo di insegnare. Poi, mentre finivo la tesi, c’è stato questo incedente di percorso con il giornalismo. Se sono giornalista a tempo pieno tuttavia, è semplicemente perché come insegnante c’è da mettersi in fila.”

La tua spinta creativa però si esplica attraverso la scrittura.

“Si esplica tutti i giorni. Mi sento quotidianamente presa da tutte le mie mansioni, il giornalismo, la scrittura, la poesia, il blog … le mie valvole di sfogo sono diverse. Mi sento appagata, anche se ci sono dei momenti in cui mi sento sovraccarica.”

Siamo esseri multidimensionali ed è bello esprimerci attraverso canali diversi. Poi però c’è la fatica, il prezzo che una tale frammentazione ci impone.

“Io sono fortunata perché mi sento omogenea. Ognuna delle attività che svolgo mi permette di essere quella che sono. Mi sento meno frammentata di quanto la nostra generazione sia costretta ad essere. E’ dura rinunciare ad inseguire una parte di sé per sbarcare il lunario. Io riesco a conciliare bene i miei lavori perché l’insegnamento rientra tra le mie passioni. Al liceo studiavo l’effetto che ciascun insegnante aveva su di me. Se un domani dovessi lavorare solo come insegnante saprei di realizzarmi ugualmente. In questa apparente suddivisione della mia identità mi sento serena, siamo talmente multidimensionali da ricomporci unicamente attraverso la frammentazione.”

Che ruolo ti dai nel mondo? In quanto creativa cosa offri all’esistenza altrui?

“Ho sempre riflettuto sulla parola creatività. Per me creare significa tirare qualcosa fuori dal nulla. Ammiro chi riesce a farlo. In questo senso a me non sembra di creare, quanto di scovare quel punto di luce necessario ad illuminare questo nulla che ci circonda. Mi occorre sempre un dettaglio, un punto di partenza cui agganciarmi. Non mi reputo creativa, piuttosto qualcuno che cerca di mettere ordine in questo apparente caos che viviamo.”

Come ci riesci?

“Trovo l’universale nel dettaglio. Nell’ultimo libro che ho scritto parlo dell’attesa. Da un episodio reale vissuto in famiglia ho ricavato una traccia, quel messaggio esistenziale che mi interessava: l’attesa che pietrifica. Uno stato che fa parte di noi. La mia creatività è consistita nel ricavare da questa vicenda personale un motivo universale. Senza studiarlo a tavolino, rendendolo di tutti.”

Una condivisione. Da un frammento di realtà hai creato un’opera narrativa. Quanto hai faticato per emergere, farti conoscere?

“Paradossalmente non molto. Dal liceo in poi ho partecipato a svariati concorsi letterari. Avevo voglia di uscire da me stessa, di capire quanto valessi al di fuori del consenso di mia madre, mio padre, i miei amici ...  Tra un concorso letterario e l’altro mi sono imbattuta in quello promosso dalla Schena, una piccola casa editrice pugliese. Un anno sono arrivata seconda, il successivo ho vinto il primo premio, che consisteva nella pubblicazione del libro a carico dell’editore. La difficoltà maggiore l’ho provata nella fase della promozione. Non tanto nell’organizzazione delle presentazioni quanto nell’ambito editoriale. In Italia gli scrittori si affermano solo se sostenuti da grandi case editrici. Ad ogni modo devo essermi saputa muovere perché l’anno successivo alla pubblicazione del mio primo libro, la Schena ha prodotto anche il secondo.  Un’esperienza meritocratica … io credo molto nella meritocrazia.”

È il migliore dei casi. L’effetto diretto del proprio valore, del proprio ruolo nel mondo. Troppe intermediazioni spengono quanto di buono abbiamo da offrire.

“Non demonizzo chi lavora o assume per conoscenza. La meritocrazia dovrebbe subentrare come criterio per decidere se mantenere o meno la persona segnalata sul posto di lavoro, metterla alla prova.”

E’ strano. Nonostante il clima di precarietà che respiriamo ogni giorno riponiamo sempre abbastanza fiducia nella vita. Senza casa, posto fisso, orfani del concetto di famiglia tradizionale, e portatori di quello più complesso e sfaccettato di famiglia allargata, avanziamo come se fossimo spiritualmente ancorati ad una sorta di disegno da compiere. Una spiritualità meno codificata e più spontanea … laica.

“A sentirti parlare così mi sento meno sola. Solo l'idea del posto fisso sembra rassicurare i miei genitori. Sembra che fin quando non mi sapranno tutti i giorni in ufficio, dalle 9.00 alle 18.00, non possano vivere tranquilli. Sono più spaventati di me. Io continuo a vedere rosa, sbagliandomi forse … con incoscienza, o come tu dici con fiducia.”

E’ spiacevole che il nostro sistema politico e mediatico ci ignori. Molti giovani hanno un’apertura mentale straordinaria, formano coppie paritetiche e si muovono ogni giorno a difesa dell’ambiente e dell’integrazione sociale, il tutto attraverso il semplice vivere quotidiano. Troppo trasversali per interessare il potere?

“Ciò che tu chiami trasversalità, io lo chiamo disincanto. E’ per questo che i politici non ci calcolano. Sanno di non avere più presa su di noi. I coetanei che vedo politicamente impegnati sono pochi e sono sempre gli stessi. Penso sia venuto meno lo spirito aggregatore, siamo più soli delle generazioni che ci precedono, come se non riuscissimo più a fare gruppo … forse a causa della supremazia dell’individualismo.”

Forse vorremmo semplicemente che alcuni diritti venissero assicurati senza per questo cadere preda di pericolose astrazioni. In questo vedo un’evoluzione, non una regressione come molti vorrebbero far credere.

“Si. Ma chi punta sull’astratto cerca il giovane schierato, di partito.”

Siamo cani sciolti che si raggruppano in nome di determinati scopi per poi tornare al nomadismo e all’individualismo di sempre. Più liberi e più soli. Ma non isolati. L’avvento della Rete ha annullato spazio e tempo moltiplicando contatti e abbattendo barriere. Ogni istante è volto alla comunicazione.

“Prima non c’era tutto questo bisogno di comunicare perché ci si guardava negli occhi. Tutto ciò che ci stiamo dicendo adesso al telefono impiegheremmo almeno un paio di giorni a dircelo di persona, perché in assenza di monitor e cellulare è più difficile entrare in contatto. Paradossalmente nel suo abbattere determinate barriere la globalizzazione facilita la falsificazione della persona. E’ pericolosa. La stessa Rete annulla il bisogno di incontrasi fisicamente.”

Qual è il messaggio che senti di voler trasmettere agli altri?

“Non ho un messaggio esistenziale da dare, più che altro ho sensazioni da comunicare … con la speranza di porre un occhio di bue su determinate tematiche che ritengo importanti. Nel presentare i miei libri mi è capitato di fare diversi incontri con giovani studenti, e ciò che mi trovo spesso a dire è di ascoltare. Non solo con le orecchie. Le persone comunicano anche attraverso la pelle, l’aura speciale che le circonda. La vita stessa ha altro da dire oltre alla parvenza, alla forma delle cose, ciò che sto cercando di dire è di non fermarsi al buio che c’è intorno …”

Mettersi in ascolto della realtà …

“Si, ma un ascolto con tutti i sensi. Come si dice in inglese, to feel …”



Giovanna Di Carlo

 

 


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