Onna. Un anno dopo

di Francesco Troccoli

18 Marzo 2010   10:12  

Sto tornando a casa, dopo due giornate di mare, di emozioni e di neve, quando lungo la strada riconosco il bivio dove a maggio dello scorso anno un presidio militare impediva l'ingresso.

Il cartello recita: "Onna". Come se alla fine di quella stradina di cento metri ci fosse ancora un paese dei dintorni de L'Aquila.

Oggi, 7 marzo 2010, si entra e si esce con persino troppa disinvoltura.

Provo un senso di disagio. Lasciare la trafficata statale con il suo andirivieni e prendere quel bivio ignorato dai più è un pò come addormentarsi con la consapevolezza dell'incubo imminente. Ma su ogni possibile freno prevale un desiderio incontenibile di andare a vedere con i propri occhi quello che la televisione e i suoi simili si astengono dal raccontarci. Al disagio si aggiune una sottile e sgradevole sensazione di intrusione ai danni di una comunità che ha sofferto ciò che ancora non ho visto con i miei occhi.

Una curva a gomito porta al paese artificiale costruito di fronte al nucleo precedente. Sono le famose "casette", tanto accoglienti quanto posticce e fasulle. Questo è Onna oggi: quattro strade attraverso un caseggiato di cartapesta adatto per girare un film ambientato sulle alpi svizzere. È pieno di fiori, c'è molto legno e si sono usati i colori più disparati. E per carità, meno male che c'è.

A metà della curva sosto davanti all'ingresso di Onna. Quella vera. Un vecchio nastro scolorito dovrebbe dissuadere gli intrusi, grazie al reverenziale timore di un avviso: " Zona rossa - vietato entrare". Provo un misto di sconforto e sollievo. Forse potrò risparmiarmi lo spettacolo. Ma qualcosa mi induce a insistere, e arriverò in breve a rendermi conto di quanto fuori luogo fossero i miei altisonanti timori di essere visto e di comportarmi realmente come un ficcanaso, un turista delle catastrofi. Io so che non è per questo che sono qui, ma loro?

Parcheggio vicino al campo dei Vigili del Fuoco. Sono ancora presenti in massa. Ci sono mezzi pesanti accatastati nel piazzale fangoso, e ho l'impressione che siano immobili da molti mesi. Spero di sbagliarmi, perché sarebbe un enorme spreco.

Decido di attendere. prima di estrarre dallo zaino la macchina fotografica, perché qualcuno potrebbe farsi saltare la mosca al naso; ricordo ancora quando l'anno scorso da queste parti i militari proibivano ogni tentativo di normalità, con quell'efficienza di nostalgica memoria che è così tornata in voga, al nostro tempo, quello del governo "del fare", dei bertolaso con i super-poteri da commissario straordinario del ventennio (e almeno fosse servito a qualcosa).

Che preoccupazione sciocca. I VVFF non mi degnano di uno sguardo. DI militari poi, non ce n'è l'ombra, non più, in questo punto della mappa abruzzese.

Ancora cento metri ed entro nell'incubo. Devo essermi addormentato, e le orrende immagini hanno inizio. Fango. Ho i piedi nel fango. Le strade, i vicoli, non ci sono più. C'è fango. La prima montagnola di detriti. Pietre, sassi, oggetti domestici. Le prima case vivisezionate. Mi chiedo dove troverò i primi segni della ricostruzione. Continuo fiducioso. Cani che abbaiano, qualche gatto. Esseri umani, zero. Ricordo le scene dei documentari sulla seconda guerra mondiale.

Giro l'angolo e capisco che sono all'estremità opposta della strada recintata dall'avviso di prima. Ancora due passi e sarò indisturbato all'interno della Zona Rossa di Onna. Intravedo un gruppetto di persone anche loro a zonzo fra queste immagini di morte. Indicano le case e gli edifici. Mi tengo a distanza. "Saranno della Protezione Civile" penso. Passo sotto a una casa a ponte ancora in piedi per quella grazia divina a cui i forse persino i vecchi di queste parti non credono più, e solo poi mi rendo conto che potrebbe crollare da un momento all'altro.

È stata puntellata in maniera ridicola con delle assi di legno. Probabilmente sono state messe lì il giorno dopo il terremoto. Arrivo così in un piazzale dove la vecchia chiesa è ancora in piedi, circondata da una fitta serie di legni che stavolta sembrano fare dignitosamente il loro lavoro.

L'altro gruppetto di visitatori è sempre centocinquanta metri avanti a me. Mi arrivano frammenti delle loro parole in abbruzzese. Mi rendo conto che li sto seguendo, forse perché loro sanno qual è l'itinerario giusto per vedere tutto con accuratezza. Forse perché altrimenti non ce la farei ad andare avanti. E continuo a chiedermi perché non ci sia nemmeno una traccia di ricostruzione.

Voltato l'ennesimo angolo vedo che il vecchio ufficio postale, con tanto di insegna gialla "PT" del secolo scorso, è ancora in piedi. Paradossale. Altre macerie, altre case diroccate, altre sezioni di edifici che mostrano le loro interiora. Una stufa. Un mobile con un'anta aperta, traboccante di libri. Una madia di legno scuro. Questo luogo è una rappresentazione compiuta di uno scenario post-apocalittico.

Ormai è chiaro che il gruppetto mi ignora. Mi avvicino. Una ragazza fa delle riprese con la telecamera. Abbiamo lo stesso sguardo triste e amareggiato. Ho visto troppo. Mi fa male la pancia. Al gruppetto si unisce un'anziana signora, che arriva dicendo che viene qui tutti i giorni. Tutti i giorni, da allora. L'uomo invece, quello che guidava il gruppetto, dice che è la sua prima volta da mesi, e indica una casa. "Non posso pensare che l'anno scorso la sera stavamo tutti lì, a chiacchierare, a giocare a carte. Mi stavo sentento male." Ora sono io star male. Sono davvero un intruso qui. Uno che viene con la sua macchina fotografica a provare la sua dose di tristezza e poi se ne torna a casa, al caldo, in città, e poi riprende la sua vita, come tutti. Come quelli che hanno la casa ancora in piedi, fuori da Onna. Come tutti quelli che non sono morti qua sotto.

Andando via quasi inciampo in residui di amianto che nessuno si è preoccupato di togliere, e infine passo davanti al segnale turistico delle "vie della transumanza", uno dei tanti disseminati fra i paesini d'Abruzzo. Penso a quando di là passavamo tutti come turisti veri, interessati alle cose vive e vitali.

Capisco tutto. Sono nella Zona Rossa di Onna, solo qualche mese fa uno dei luoghi più segreti d'Italia. Nessuno mi dice una sillaba. Nessuno sta ricostruendo. Nessuno sta vivendo. Qui si sopravvive.

Penso alla "Protesta delle carriole" a L'Aquila centro. Bisognerebbe farlo anche qui. Ma chi potrebbe farlo? I vecchi che tornano qui a piangere?

A nessuno più importa niente di queste persone e delle loro case? Il disinteresse, il NOSTRO disinteresse, è dunque totale. Tanto che si può venir qui, scattar due foto e andar via, come se fossimo sulla vetta innevata del Gran Sasso.

Ma la statua della Madonnina regalata dalla provincia di Trento, fra le casette di fronte, fa la sua maledetta figura.

Italia, dove sei?

Francesco Troccoli
(www.mondoraro.org)


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