E' una storia drammatica quella di una giovane donna, che dopo un intervento chirurgico scopre di non poter più avere figli. La donna, 35 anni, accusa inoltre dolori continui al basso ventre, colpa, sostiene lei, di un intervento chirurgico effettuato all'ospedale civile di Pescara. Ha fatto causa alla Asl e he chiesto un milione di euro di risarcimento.
Il calvario della giovane inizia nel 2008, improvvisamente avverte forti dolori al basso ventre e all'apparato genitale, accompagnati da perdite. La donna, già ricoverata per due volte nel 2005, va a farsi visitare dal suo ginecologo che ben conosce le sue condizioni. Il ginecolo le prescvrive antidolorifici. Dopo qualche giorni i dolori si fanno insopportabili, la donna si reca in pronto soccorso, e viene inviata al reparto di Ginecologia, dove un medico le diagnostica un fibroma, le prescrive medicine e altri esami.
A ricostruire la sua storia è l’atto di citazione presentato al tribunale civile di Pescara dall’avvocato che assiste la donna, Vincenzo Di Censo, che ha chiamato in causa la Asl, uno dei medici che l’hanno curata in ospedale e il suo ginecologo, che lavora anche allo Spirito Santo.
Il ginecologo che visita la donna in ospedale, scrive il legale della donna, “pur ravvisando la presenza di un’estesa infezione all’apparato genitale della paziente, non ravvisava di contro alcuna urgenza di intervento.” Pur quindi, avendo visto che la donna aveva un’infezione in corso, non ha creduto fosse il caso di intervenire subito.
Il medico consiglia alla donna di tornare in ospedale qualche giorno dopo. E il 23 gennaio la paziente si ripresenta. Le fanno un’ecografia e il medico le consiglia l’intervento chirurgico. Che viene programmato per il 26.
La donna però esasperata dai dolori e dalle perdite, si nello studio del ginecologo che la cura privatamente, e sarebbe proprio il suo ginecolgo, che lavora anche in ospedale, ad aver cambiato la data prevista dal collega per l’intervento, posticipandolo al 30 gennaio “giorno in cui presumibilmente egli sarebbe stato in servizio presso il reparto dell’ospedale”.
Ma è tardi e ill 25 gennaio la donna, ancora in preda ai dolori, va di nuovo al pronto soccorso. I medici, questa volta, la ricoverano d’urgenza e il giorno dopo la operano. La diagnosi è di “grave pelviperitonite con sactosalpinge bilaterale, ascesso pelvico nel cavo di Douglas e mioma uterino2. Durante l’intervento, i chirurghi non possono fare altro che asportare alla donna le tube, compromesse definitivamente.
Al tempo la donna ha 32 anni e non ha figli, e per lei sarà impossibile averne, almeno in modo naturale. La donna ora non ha dubbi: l’asportazione delle tube è stata causata “dal ritardo determinato dalle diagnosi effettuate dai due medici specialisti”.
Secondo l'atto di citazione dell'avvocato Di Censo, il medico che aveva visitato la donna in ospedale avrebbe “ingiustificatamente e negligentemente rinviato l’intervento che invece si palesava come urgente, necessario e improcrastinabile”. Lo stesso rilievo, con l’aggravante , importante, di essere stato ben a conoscenza della situazione della donna essendo il suo medico curante, è rivolto all’altro ginecologo.
Toccherà ai giudici capire se davvero l'asportazione delle tube, e gli attuali forti dolori al basso ventro, siano stata dovuti ad un ritardo nell'intervenire. La prima udienza è fissata a fine mese.