Post-terremoto e rischio criminalità: guardare all'Umbria per capire L'Aquila

20 Maggio 2011   11:43  

Per capire cosa potrebbe accadere a L'Aquila, per prevenire i rischi di infiltrazioni della malavita organizzata e l'esplodere della microcriminalità nel capoluogo abruzzese terremotato, può essere utile osservare con attenzione ciò che è avvenuto in Umbria dopo il terremoto del 1997.

Il sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Perugia ha recentemente affermato: '' ''In  Umbria destano allarme due fenomeni: "Il primo - ha detto - è che siamo destinazione finale della tratta degli esseri umani: le organizzazioni portano in territori 'non a rischio' come il nostro persone per sfruttarle, ad esempio nella prostituzione di strada. L'altro fenomento è l'infiltrazione economica: parlo dell'impiego diretto o tramite soggetti apparentemente leciti di beni di organizzazioni mafiose con una progressiva mafizzazione del territorio. Fenomeno che vede nell'edilizia e nel commercio gli sbocchi principali.''

Nel 'Rapporto sulle infiltrazioni criminali e mafiose in Umbria', realizzato dall'associazione Libera, insieme a Legambiente, Sos Impresa, Cittadinanzattiva e mente locale, l'Umbria viene definita 'covo freddo' della criminalità organizzata, mutuando l'espressione utilizzata dal procuratore capo di Terni, Fausto Cardella. Nel Rapporto emerge come l'Umbria sia meta di investimenti da parte della criminalità e di infiltrazioni di organizzazioni mafiose.

Da oltre dieci anni i dati collocano la regione al quarto posto fra le italiane per quantitativi di cocaina sequestrati. Il mercato umbro della droga vende circa seimila dosi al giorno. In Umbria si registra l’indice più alto di morti per droga, in netta controtendenza rispetto alle altre parti d’Italia, con un aumento del cinquanta per cento rispetto agli anni precedenti.

Da dieci anni: ovvero a partire dalla ricostruzione post-sismica.

Nel dossier redatto da Confesercenti e Sos Impresa si legge: “La regione è al quinto posto per la presenza di clan e gruppi mafiosi e camorristici nel territorio. Un rilevante incentivo al radicamento delle cosche mafiose in umbria è stato causato, negli anni passati, dalla detenzione nelle carceri umbre di numerosi esponenti di primo piano, alcuni dei quali sottoposti al cosiddetto “regime del carcere duro” (41bis). Queste presenze hanno dato vita a strutture familiari e di supporto, creando un avamposto utile per il perseguimento di attività illecite nel territorio (…) Camorra, ’ndrangheta vivono in modo diverso il territorio, ma trovano modo di collaborare, dividendosi i settori di interesse: la droga, ma non solo, ai camorristi, le infiltrazioni e il controllo degli appalti alla ’ndrangheta”.

E si legge ancora e soprattutto nel rapporto: ''Il terremoto del 1997 e la “ricostruzione” per qualcuno è stata una ghiotta occasione: ancora oggi risulta difficile districarsi nei tanti appalti e subappalti che hanno coinvolto decine di imprese, molte delle quali difficilmente identificabili. Per anni c’è stato un velo di silenzio e di ipocrisia e solo da poco, con grande difficoltà, cominciano a diradarsi le nubi dell’omertà”.

Una storia poco o per nulla raccontata è quella di manovalanze, imprenditori, colletti bianchi di ditte in particolare campane e calabresi, controllate dalla malavita organizzata, arrivati per la ricostruzione, che hanno poi preso il controllo del mercato della prostituzione, della droga, degli appalti. In particolare nel capoluogo Perugia.

Le ditte colluse, arrivate con i cantieri della ricostruzione, sono state l'ariete che ha spalancato le porte della verde e pacifica Umbria alla grande criminalità. Lo stesso potrebbe avvenire a L'Aquila.

FT


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