Quando il terremoto apre il cuore. La testimonianza di Bruno

La catastrofe che eleva gli animi

13 Maggio 2009   15:50  

Come il lavoro la sofferenza nobilita l'uomo. Oltre ad aver polverizzato le speranze e le certezze di molti abruzzesi nell'arco di una manciata di secondi, il sisma aquilano del 6 aprile scorso ha anche spalancato cuori, svegliato menti intorpidite, rivitalizzato esistenze socialmente vegetative. Sono molte le persone che hanno scritto in redazione porgendo la propria testimonianza del disastro. Alcuni amanti della Natura, in pace con se stessi e con gli altri, hanno avuto, nella drammatica circostanza dei soccorsi, la possibilità di esprimere la profonda umanità che da sempre li contraddistingue. Come è accaduto a Bruno, l'autore dell'articolo che segue. Nello svolgimento dei suoi compiti quest'uomo innamorato della vita ha trovato lo spazio per osservare, abbracciare, consolare i suoi simili. Un resoconto che vale la pena di "ascoltare"...  

LA MIA ESPERIENZA DEL TERREMOTO

Di  Bruno Petriccione

6 aprile 2009, ore 8:00. La Defender del Corpo Forestale dello Stato supera sobbalzando, cautamente, i gradini alti fino a 20 cm del viadotto dell’autostrada A24. Da quassù la città dell’Aquila, a valle, sembra quella di sempre. Giunti al Comando Regionale, la tensione si taglia col coltello. Poi l’ordine: “Dovete andare a Fossa, là non c’è ancora nessuno, sarete i primi soccorritori ad arrivare”.
Fossa, un piccolo centro di circa 600 abitanti e 300 famiglie, sul versante Nord-Est del massiccio del Monte Ocre (m 2.200), ai confini settentrionali del Parco Naturale Regionale Sirente-Velino. Il nome è tutto un programma. Il centro storico, a 650 metri di quota, sorge fin dal medioevo sul margine settentrionale di un’enorme fossa tettonica, sulla dura roccia calcarea. Di fronte, a poche decine di metri dalle case, il margine meridionale della “fossa”, un’impressionante rupe quasi verticale che culmina con gli imponenti resti del Castello d’Ocre. La formazione è collegata con la faglia che alle ore 3:33 ha mostrato di essere ben sveglia ed attiva, cogliendo invece addormentati ed inattivi la maggior parte degli abitanti dell’Aquilano. E’ la stessa faglia della media Valle dell’Aterno sulla quale sorgono gli abitati dell’Aquila e di Onna, sconvolti dal sisma in modo disastroso. Onna, il paese più colpito, dista da Fossa soltanto quattro chilometri, ma al contrario di quest’ultimo è costruito sulle alluvioni dell’Aterno e non sulla più solida roccia del Monte Ocre.

Al nostro arrivo, alle ore 9:00, il paese è avvolto in un silenzio irreale. Noi della forestale siamo davvero i primi ad arrivare. Ma anche gli ultimi, purtroppo: chi poteva scappare l’ha già fatto, gli altri sono ancora lì, sotto le macerie, persi per sempre. Entriamo cautamente, dall’alto, nel centro storico. Solo crepe e piccoli crolli. Lo scenario apocalittico che avevamo immaginato, con i colleghi del Comando Stazione Forestale di Cappadocia, non sembra corrispondere alla realtà. Poi ecco avvicinarsi qualcuno.“In quella casa dovrebbero esserci ancora due perone sotto le macerie!” ci dicono. La casa sembra intatta. Entriamo cautamente dalla porta aperta: la camera da letto non c’è più, la casa è collassata internamente. Da qui non si passa. Giriamo introno alla casa. Con l’aiuto dell’unico Vigile del Fuoco residente a Fossa e di un volontario ci apriamo un varco. Tutta la camera da letto è “caduta” al pianterreno e dal retro vi si può accedere con maggiore sicurezza. Iniziamo, cautamente, a rimuovere le macerie. La polvere ci inonda. Dopo mezz’ora di sforzi, si intravedono i corpi dei due anziani abitanti, evidentemente colti nel sonno dal crollo. Sono morti. Interrompiamo la pericolosa ricerca. Saranno i Vigili del Fuoco, equipaggiatissimi, dopo qualche ora, ad estrarre i corpi dei due fossani, addormentati per sempre.

Il paese è quasi deserto. Una mamma e il suo bambino attendono i due anziani, lei con gli occhi pieni di lacrime, il piccolo con lo sguardo perso nel nulla, vitreo. Chiedo: parenti? No, ma il loro legame affettivo era comunque fortissimo; qui le famiglie sono salde ed i loro confini si estendono molto al di là della semplice parentela. Non resisto, li abbraccio, cerco di consolarli come posso.
Usciamo dal centro storico. Non c’è più nessuno. Anche gli altri due morti già stati portati via. Questa gente, umile ed orgogliosa, ha già fatto tutto da sola. Un altro anziano ci attende, col corpo raccolto e composto dai suoi familiari, in una casa intatta, trasformata in camera ardente. I familiari, fuori, sono distrutti. Arriva il Sindaco, che è anche medico, disfatto, sfollato come i suoi concittadini. Comincia la collaborazione con un uomo improvvisamente caricato di responsabilità straordinarie, in quanto unica Autorità locale di Protezione Civile e di Pubblica Sicurezza, una collaborazione  fatta di costante comprensione, condivisione, affetto, riconoscenza. L’umanità, da queste parti, non manca certo. Ed è la mia gente, io sono parte di loro e loro parte di me.

Ma dove sono tutti gli altri? Lo scopriamo presto. A valle, in pianura, il campo sportivo è un agglomerato di automobili, di persone, che si stanno già riorganizzando. Chi ha portato da bere, chi coperte, chi qualcosa da mangiare. Quelli della sagra stanno già organizzando una cucina da campo, per sfornare il primo pasto caldo di mezzogiorno. L’atmosfera è tesa, ma calma e pacata. I tanti affronti, le tante offese subite da questa gente nel corso dei millenni non l’hanno mai sconfitta completamente, le schiene si sono piegate ma mai spezzate, e così ogni volta si ricomincia con ferma ed ostinata determinazione. E’ la salvezza, da sempre, per noi abruzzesi.
In mattinata arrivano le prime pattuglie della Polizia di Stato e dei Carabinieri. Ci coordiniamo, un primo presidio “volante” della zona più critica del centro storico è subito assicurato. Perlustriamo la zona più colpita. Poche case crollate, molte in piedi ma collassate internamente, alcune perfettamente integre; molte “congelate” dal terremoto con i panni stesi ad asciugare, gli usci spalancati, gli ingressi perfetti e poi al posto delle stanze baratri di disperazione.

La notte si avvicina. Le tende ancora non arrivano. Per questa notte tutti dormiranno, al freddo, nelle loro auto. Al primo briefing convocato dal Sindaco ci sono solo il Vice Questore Aggiunto Forestale ed il Capo Squadra dei Vigili del Fuoco, dotato di capacità e flemma straordinarie: diverrà un sicuro punto di riferimento in tutta la successiva gestione dell’emergenza. Le altre Forze di Polizia stanno già lasciando la zona. Come assicurare, in queste condizioni, il presidio completo del centro storico, anche di notte, per evitare eventuali episodi di sciacallaggio? Un collaboratore del Sindaco propone di organizzare “ronde” di cittadini. Il rischio è grande: come sarà possibile distinguere i “sorveglianti” da eventuali malintenzionati? L’annuncio dell’arrivo in serata di venti forestali dalla provincia di Frosinone risolve la situazione: il Corpo Forestale dello Stato assicurerà il presidio completo di tutti gli accessi al centro storico, cinque in tutto. Il Sindaco, commosso ed ammirato, mi abbraccia.

Il resto diviene presto routine: l’alternanza dei contingenti del CFS, con turni di 12 ore ed oltre, le telefonate e le concitate comunicazioni via radio con la Centrale Operativa Regionale. Le ripetute scosse, l’ondeggiare improvviso della strada e degli edifici, i nuovi crolli con i forestali ed i Vigili del Fuoco a pochi metri dal polverone ci colpiscono nell’anima proprio quando cominciamo a riacquistare fiducia, ci ricordano continuamente che il pericolo è ancora in agguato.
La viabilità è sconvolta dai ponti crollati sul Fiume Aterno, dalle chiusure temporanee o permanenti delle “strettoie” tra gli edifici pericolanti disposte dal Sindaco ed eseguite da forestali e Vigili del Fuoco. E poi la fatica per convincere del pericolo gli irriducibili vecchietti che non vogliono abbandonare gli animali nelle stalle pericolanti, esponendosi a pericoli imprevedibili; e gli sforzi per evacuare infine anche le riottose vacche, anch’esse sconvolte e scosse dagli eventi.
Il terremoto ha piegato anche gli alberi, qui. Sul fondovalle, lungo la faglia principale, sono tutti inclinati di 20°, tutti nella stessa direzione, allineati come le impressionanti fratture incise nel terreno.
Ma anche gli alberi, come gli abruzzesi, si rialzeranno presto, con i forestali come sempre al loro fianco.


 


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