Quanta tristezza, quanta barbarie in quel manifesto sui muri dell'Aquila..

di Antonio Di Giandomenico

22 Aprile 2011   12:12  

'' Quanta ipocrisia, nella ostentazione di un dolore non tuo, di un dolore di altri, e per questo con tanta leggerezza brandito, strumentalizzato, usato per fini diversi, per scopi indicibili.

Il dolore vero, composto, dei familiari delle vittime del terremoto si esprime da sempre con gesti composti, anche se decisi, come quello di non volere i falchi della politica nella ricorrenza del 6 aprile, e di ammettere al momento del ricordo e della rinnovata sofferenza solo colui che rappresenta l’unità della nazione; o come quello di andare a Roma, nella piazza del Parlamento, a chiedere che la giustizia, che vuole favorire un indagato eccellente, e che si determina per lui, per i suoi personali fini, non colpisca la necessità di fare chiarezza, e rendere giustizia appunto, su quelle perdite.

Va rispettato quel dolore, vanno rispettate quelle richieste espresse con compostezza, con dignità grandi, che domandano  al potere legislativo di tener fuori dalle beghe e dalle scelte della moderna politica la questione aquilana, e quella di Viareggio e quelle determinate da situazioni simili.

No, davvero non servono prefiche ai familiari della vittime del terremoto: sanno andare avanti da soli, soffrire anche, forti del sostegno e della solidarietà dell’intera città e della grande maggioranza degli italiani, certamente ancora sensibili e commossi dal dramma che ha vissuto e vive l’Aquila e la sua comunità.

A fronte di tanta dignità e compostezza, rattrista dover constatare che  all’Aquila si è totalmente perduto il senso dell’umana comprensione, il senso della civiltà, della civile convivenza; all’Aquila, per alcuni, si sta consumando l’ultimo dei tentativi di sopravvivenza di una politica impotente e inutile, senza idee e senza programmi credibili, per la ricostruzione della città e in generale per la rinascita del Paese.

E per quell’inutile tentativo di sopravvivenza, si passa sopra, senza pietà e senza ritegno, ai sentimenti e alla sofferenza.

Eccola di nuovo, in tutto il suo splendore, la politicuccia nostrana che si riappropria della piazza, dei muri, producendo danni mortali alla città e ai cittadini.

La politica dell’urlo e dell’insulto, la politica imbarbarita, che vede colui che la pensa diversamente da te come il nemico da abbattere, da eliminare, forse persino fisicamente, o comunque da far soffrire le pene dell’inferno, che per noi aquilani sono tutte le sofferenze fisiche determinate dal terremoto.

Come spiegarsi diversamente l’orribile manifesto affisso sui muri della città, con le facce e i nomi dei parlamentari che hanno ritenuto (a mio sommesso avviso legittimamente: mi spiego, ero assolutamente favorevole all’approvazione dell’emendamento, sia chiaro; ma ritengo che la loro sia stata – dal loro punto di vista – una scelta legittima!) di dover votare in maniera difforme rispetto ai desiderata di tutti noi?

“Tutto il dolore che ho provato, tutte le lacrime versate, la rabbia ed il senso di impotenza, il male che ho sofferto e che mi ha determinato il desiderio di verità e giustizia. Tutto questo non lo auguro nemmeno al mio peggior nemico, ma a loro si”.

Questo il testo, assieme all’ostentazione delle facce dei deputati, e lo riporto perché sono ancora basito, allibito, incredulo: mai avrei pensato che si potesse arrivare a tanto.

In un secondo, solo un secondo, di quelli eterni, però, ho pensato alla mia età, alla mia vita e soprattutto al mio vissuto.

Ho pensato a quando lo scontro politico era sì duro, il confronto aspro, le battaglie condotte con la determinazione di chi credeva fermamente nella giustezza di una scelta, e la perseguiva con grande, battagliera tenacia.

Alla base di quelle battaglie, però, da parte di tutti i protagonisti, c’era un profondo rispetto della persona, innanzitutto, e anche delle idee propugnate, seppur non condivise, seppur distanti anni luce dalle proprie.

Ma oggi no, oggi l’insulto ha preso il sopravvento sul confronto di idee, oggi l’avversario è un nemico; non la pensa come te, e per questo va posto all’indice, va messo alla gogna, affinché tutti possano insultarlo, denigrarlo, sputacchiarlo.

Che cosa atroce: leggere quel delirante testo e riportare la memoria alle immagini della gogna nella quale erano esposti malfattori e dissidenti, o chiunque osasse andare contro i desiderata del potente di turno, papa compreso; o i roghi dei libri e delle sedi sindacali all’inizio degli anni venti in Italia o nel 1933 in Germania;  peggio ancora, alle decisioni del concilio di Trento, parliamo del 1563, che decise di rendere pubblico l’elenco degli scritti  contrari all’ortodossia, custodita da santa madre chiesa,  la cui lettura era giudicata moralmente dannosa, e per questo interdirla ai fedeli.

Se penso ai risultati di queste azioni…..se penso che un cultore della libertà di pensiero come Giordano Bruno finì la sua vita in un rogo a campo dei fiori, proprio in quanto alfiere della libertà, o a Giacomo Matteotti e ai fratelli Rosselli, morti per difendere le regole della civile convivenza e della democrazia…..

Che triste fine pensare che (forse) gli autori di questo ignobile gesto possano sentirsi fieri di averlo compiuto.

Che tristezza avere consapevolezza del fatto che questa terribile notizia alienerà tanti sentimenti di sincera comprensione  e solidarietà verso L’Aquila e gli aquilani!

Quanti danni, e solo per soddisfare lo stomaco e le viscere di qualche falso rivoluzionario, di qualche parolaio del nulla e del vuoto culturale e spirituale!

Che tristezza, ancora,  vedere un’amministrazione comunale distratta, forse nemmeno tanto, visto da chi è composta,  di fronte a queste espressioni di inciviltà e incultura!

Mi consolo ripensando alle letture delle opere di Norberto Bobbio, che hanno ispirato la mia vita e quel poco di conoscenza che mi accompagna.

Da quel grande Maestro di vita e di laicità che mi ispira traggo questo insegnamento, già riportato in altre mie note:

“…..oggi viviamo in una temperie culturale assai poco laica, funestata dai fondamentalisti religiosi come da quelli aggressivamente atei, entrambi capaci di ragionare solo con le viscere e con slogan orecchiati…... Il sistema politico regredisce a una barbarie premoderna, cancellando progressivamente secoli di civiltà liberale che aveva elaborato controlli e garanzie per impedire abusi di potere”.


Totò Di Giandomenico, cittadino senza città


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