Rapporto Acli: l'italia dei lavoratori garantiti e quella dei precari senza diritti

01 Settembre 2011   13:24  

Secondo le Acli la composizione interna degli occupati presenta dualismi e divari "non piu' sostenibili", tra lavoratori piu' o meno garantiti.

Quasi un lavoratore su quattro (23%) ha una occupazione "non standard", ovvero non a orario pieno e non a tempo indeterminato: il 12%, pari a 2milioni e 700mila individui, e' un lavoratore a tempo parziale, mentre l'11% e' un atipico (tempi determinati e collaboratori).

Il lavoro a tempo parziale interessa maggiormente le donne: le part-timers sono un 1milione e 800mila.

Per gli atipici il rapporto di genere e' pressoche' pari mentre l'eta' evidenzia una buona quota di giovani (39%), ma soprattutto un'elevata percentuale di individui adulti (il 48% degli atipici ha tra i 30 e i 49 anni).

"Dopo quindici anni di flessibilizzazione del mercato del lavoro - commentano le Acli - sembrano essersi consolidate due generazioni di lavoratori flessibili: giovani in ingresso nel mercato del lavoro, adulti per i quali la fase dell'inserimento lavorativo e' terminata ma che si ritrovano nelle stesse condizioni contrattuali di partenza. Riguardo ai disoccupati, il rapporto evidenzia un milione e mezzo di 'scoraggiati': piu' del doppio della media europea.

Uno dei fattori piu' importanti nelle crisi economiche - rileva lo studio - e' la capacita' di riassorbimento del mercato del lavoro. A livello europeo l'Italia fa parte del gruppo di Paesi nei quali i disoccupati di lunga durata (almeno 24 mesi) superano il 45% del totale dei disoccupati. Mezzogiorno a parte, il dato piu' preoccupante e' quello del Nord-Est, dove dal 2002 al 2007 la disoccupazione di luna durata e' passata da un esiguo 17% a un ben piu' consistente 31,4%, tornando poi a scendere nel 2008 (29%): "Una delle aree piu' dinamiche del paese non riesce piu' ad occupare coloro che sono fuori dal mercato del lavoro da troppo tempo".

E sempre a proposito dei disoccupati di lungo corso che sono quella quota di inattivi che si e' soliti definire "scoraggiati", ovvero individui disponibili a lavorare ma che dichiarano di non cercare lavoro perche' sfiduciati rispetto alla possibilita' di ottenere un impiego, le Acli rilevano che in Europa questo dato continua ad oscillare attorno al 4% (sul totale degli inattivi) e sembra essere in moderata crescita per l'anno 2010 (4,6%).

In Italia invece il dato e' piu' del doppio e tra il 2009 e i 2010 e' cresciuto di quasi un punto percentuale, arrivando al 10%. Nel complesso gli scoraggiati rappresentano 1 milione e mezzo di persone, in gran parte concentrate nelle regioni meridionali.

Altro capitolo dolente e' quello dei 'sottoccupati e sovra istruiti' a fronte del paradosso degli immigrati. Sottoccupazione e sovra istruzione, secondo lo studio delle Acli , denotano l'incapacita' di un mercato del lavoro di valorizzare risorse e competenze. Tra gli immigrati, la percentuale di sottoccupati (individui che dichiarano di aver lavorato, per motivi indipendenti dalla propria volonta', meno ore di quelle che avrebbero potuto o voluto fare) e sovra istruiti (persone che svolgono un lavoro che richiede un titolo di studio inferiore a quello in loro possesso) e' maggiore rispetto agli italiani.

La sottoccupazione interessa infatti il 4% dei lavoratori italiani, mentre tra gli stranieri si supera il 10%. La percentuale di sovra-istruzione tra gli italiani e' del 19% . Tra gli stranieri supera il 42%.

"Si e' ormai consolidato in Italia un modello di specializzazione dell'occupazione straniera nel segmento basso del mercato del lavoro: gli immigrati svolgono i lavori piu' disagiati e meno remunerativi anche se hanno credenziali formative utili a ottenere impieghi migliori".


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