Riciclaggio, operazione "Caffè Venezia": spuntano testimoni eccellenti

13 Settembre 2011   14:55  

Se non ci sono stati arresti, non possono esserci nemmeno i sequestri. Su questo punto si basa l'agguerrita difesa della Famiglia Granatiero che tramite i suoi avvocati ha già presentato istanza di riesame. Ma, nella sua ordinanza, seppur rigettando la richiesta di arresto per Pasquale e Sebastiano Granatiero, Il gip di Pescara  Maria Michela Di Fine ha tutt'altro che ridimensionato la tesi accusatoria, ricorrendo a riferimenti specifici che ci offrono un quadro molto esaustivo sull'infiltrazione della mala pugliese nell'acquisto e gestione di bar e locali a Pescara.

A rafforzare la tesi del Pm Varone, alla luce delle risultanze investigative condotte da Squadra Mobile e Guardia di Finanza, anche due tstimonianze chiave: la prima quella della ex moglie di Pasquale Granatiero che agli inquirenti spiega nel dettaglio il tipo di attività che svolgeva il marito, in particolar modo con la creazione della Silvia srl, una società che aveva l'unico compito di gestire l'attività commerciale, il Caffè Venezia di Via Regina Margherita, al solo fine di accollarsi, senza pagare, i costi del personale e i vari debiti erariali. Pasquale Granatiero era dunque la mente e si occupava in prima persona di tutte le attività contabili legate, secondo l'accusa, al riciclaggio di denaro, a lui spettava l'ultima parola, anche rispetto a figure più competenti di lui in materia economica. Suo scopo era quello di creare i costi più che incentivare i guadagni, spostando ingenti liquidità da una società all'altra. Altro teste chiave un ex socio dei Granatiero, un avvocato che ha confermato lo stretto legame tra la famiglia pugliese ed i Romito, il clan coinvolto nella faida del Gargano con la famiglia Libergolis. Lo stesso avvocato ha parlato dei forti sospetti che nutriva nel constatare l'enorme flusso di denaro che i Granatiero movimentavano acquistando o aprendo altre attività. L'ordinanza é piena, dunque, di riscontri sul modo con il quale i Granatiero riciclavano denaro di dubbia provenienza, giungendo perfino al ricordo al credito per mascherare l'illecita attività. Da un primo investimento di quasi tre milioni di euro, secondo i magistrati provenienti dalle casse dei Romito, fino alla creazione di soggetti economici diversi da quelli che nel frattempo si erano indebitati.


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