Ricostruzione del Friuli: i miracoli non cadono dal cielo

Un saggio di Sandro Fabbri

17 Luglio 2010   09:07  

Stendendo un velo pietoso sulle stucchevoli elucubrazioni pubblicate su Il Giornale di Feltri in cui si è arrivati a fare in soldoni un confronto tra terremotati friulani operosi,  fieri ed autosufficienti, e quelli aquilani lamentosi, irriconoscenti ed eterodiretti, proponiamo, che è meglio, un saggio sulla ricostruzione del Friuli di Sandro Fabbri, professore di Pianificazione territoriale presso la Facoltà di Ingegneria dell'Università di Udine di Sandro Fabbro, e anche presidente della Commissione nazionale INU "Politiche Infrastrutturali". Una precedente versione di questo saggio è stata pubblicata con il titolo Ricostruzione post-terremoto e governo del territorio: tempestività e continuità versus strategia. Un rapporto controverso, a cura di P. Bonfanti (Friuli 1976-1996 Contributi sul modello di ricostruzione). Lettura impegnativa, ma necessaria per poter, attraverso altre esperienze, prendere consapevolezza delle scelte politiche e di pianificazione della ricostruzione dell'Aquila. Da protagonisti e non da spettatori.



Ricostruzione post-terremoto e governo del territorio in Friuli: una esperienza complessivamente positiva - PARTE PRIMA

di Sandro Fabbro


Introduzione

L'evento sismico del 1976 ha provocato distruzioni e danneggiamenti agli insediamenti di una ampia parte della regione Friuli-Venezia Giulia con il conseguente collasso delle attività umane che ivi venivano esercitare. A vent'anni da quell'evento la ripresa di normali attività sociali ed economiche e la ricostruzione insediativa possono dirsi sostanzialmente compiute.


Le condizioni generali e gli strumenti operativi specifici che hanno resa possibile la ricostruzione sono tanti ed è molto difficile compiere una valutazione che consenta di imputare i risultati conseguiti alle relative cause. Certamente si può dire che la strumentazione urbanistica regionale di carattere generale non ha avuto un impatto diretto e, forse, neanche particolarmente significativo, sulla ricostruzione.

Al momento del sisma l'iter di approvazione del Piano Urbanistico Regionale (PUR) si stava
avviando, dopo molti anni di complessa gestazione, verso la fine che avverrà definitivamente nel 1978. I comuni della regione Friuli-Venezia Giulia erano gia diffusamente dotati di strumenti urbanistici di carattere generale ed il PUR veniva a determinare l'esigenza di una seconda generazione di piani urbanistici comunali.

Sulla questione dell'utilità o meno della pianificazione territoriale generale molti, anche "addetti ai lavori", si sono consolati con l'ovvia e teutologica osservazione che, siccome la pianificazione generale richiede tempo per essere prodotta e nei momenti di emergenza "non c'è tempo da perdere", allora la pianificazione non si può fare; il che equivarrebbe a dire che anche il confronto tra diversi punti di vista o la ricerca di accordi cooperativi e di obiettivi condivisi tra attori ed interessi diversi o, se vogliamo, il governo democratico del territorio tout court, non hanno senso nei momenti di emergenza post-disastro.

Siccome ciò non può essere considerato accettabile non solo sul piano etico-politico ma neanche sul piano della stessa efficacia pratica degli interventi, si deve ritenere che tale critica sia in generale insostenibile ed inutile o che, semmai, possa essere sostenuta solo con riferimento a ben precise forme, estranianti e parossistiche, di pianificazione urbanistica.

La tesi che cercheremo di sostenere è, pertanto, che, nonostante all'epoca della ricostruzione il sistema di pianificazione urbanistica e territoriale avesse assunto forme, sia a livello nazionale sia regionale, sempre più comprensive, gerarchiche e proceduralmente complicate e che una malintesa concezione della pianificazione urbanistica generale e di livello intermedio o comprensoriale (come si diceva allora) fosse stata introdotta acriticamente anche nella legislazione della ricostruzione, ciò non abbia comunque impedito che, da una parte il Piano Urbanistico Regionale (PUR), almeno per alcune sue parti, almeno come "metaprogetto" e,dall'altra, alcune concezioni del governo del territorio che a fatica si andavano affermando in quegli anni (sviluppo locale autocentrato, decentramento agli enti locali di poteri e competenze in materia di gestione del territorio, partecipazione sociale alle scelte ed alle decisioni territoriali non come fatto puramente formale e rituale ecc.) svolgessero un ruolo importante nell'affermazione degli orientamenti effettivi della ricostruzione insediativa e della ricostruzione tout-court. Sembra, comunque, che la necessaria ricerca di tempestività ed efficienza abbia comportato anche di trascurare importanti aspetti strategici della ricostruzione con conseguenze negative che non hanno mancato di manifestarsi su tempi un po' più lunghi.

Di seguito, pertanto, si cercherà: di mettere a fuoco gli obiettivi generali della ricostruzione, da una parte (punto 2.) e gli obiettivi del PUR per i sistemi insediativi dall'altra (punto 3.); quindi di analizzare, in relazione ad essi, sia le principali leggi di ricostruzione sia le linee attuative dei piani comunali e particolareggiati, al fine di pervenire ad una valutazione del grado di coerenza e di aderenza che, più o meno consapevolmente, è stato conseguito tra infine, di compiere qualche valutazione critica in ordine alla efficacia generale del sistema di pianificazione urbanistica e territoriale dell'epoca con lo scopo esplicito di ricavarne qualche indicazione anche per la riforma dell'attuale sistema di pianificazione regionale e, perché no!, dei sistemi di governo del territorio più in generale (punto 5.). Per quanto riguarda la documentazione che è stata consultata, vista la vastità della produzione legislativa, di studio, di pianificazione e di progettazione prodotta nel corso della ricostruzione e dopo e che realisticamente, al fine del presente contributo, non era possibile prendere in esame nella sua completezza, si farà riferimento alle principali leggi di ricostruzione che sembra hanno determinato i maggiori effetti insediativi e territoriali e ai principali studi e rassegne prodotti anche esternamente alla Regione. Una bibliografica ampia ed articolata sui diversi aspetti della ricostruzione è comunque disponibile in Fabbro
(1986).

Gli obiettivi della ricostruzione


Nel concitato dibattitto politico-culturale che seguiva al disastro, e nel quale si faceva tesoro anche della esperienza negativa della mancata ricostruzione del Belice, venivano messi a fuoco gli obiettivi della ricostruzione del Friuli2. Si auspicava:

- innanzitutto la ripresa immediata delle attività produttive;

- quindi la ricostruzione fisica degli insediamenti per assicurare la casa ed i servizi connessi a tutte le famiglie senzatetto;

- quindi, ancora, obiettivi relativi al contenuto culturale, sociale e territoriale della ricostruzione in termini soprattutto di valorizzazione delle radici etnico-culturali del Friuli; di tutela delle componenti sociali più deboli; di rivitalizzazione delle aree montane più marginali; di ricostruzione integrale dei centri storici distrutti, delle chiese, dei monumenti ecc..

A posteriori si può affermare (Fabbro, 1985) che gli obiettivi emersi da quel dibattito si potevano ricondurre ad alcuni principi basilari:

- un principio di tempestività pena il rischio del passaggio dal danno al degrado sociale;

- un principio di autonomia e responsabilità che postulava che la ricostruzione fosse basata su una assunzione di responsabilità diretta da parte di tutti i soggetti, istituzionali e sociali, localmente coinvolti;

- infine un principio di continuità che postulava che la ricostruzione dovesse servire a ripristinare uno stato di normalità e non a concepire e realizzare ristruttrazioni organizzative, socio-economiche e territoriali radicali pena la perdita di consenso e di risposta sociale unitaria.

Nei documenti politici della Giunta e del Consiglio regionali, con i quali si chiedevano allo Stato i finanziamenti e gli indirizzi generali della ricostruzione, si precisava anche gli obiettivi e le linee fondamentali della ricostruzione come si dirà anche al punto 4.3.. Si proponeva che la ricostruzione venisse collocata nel più ampio contesto dello sviluppo regionale e che, dal punto di vista pianificatorio, si facesse riferimento al PUR ed ai normali strumenti di pianificazione urbanistica benchè dotati, comunque, di maggiore elasticità al fine di tenere conto delle particolari condizioni venutesi a creare. Veniva, inoltre, affermato il ruolo del livello comprensoriale di pianificazione mentre ai comuni veniva affidato il compito di provvedere alla programmazione degli interventi di riparazione degli edifici, delle infrastrutture e dei servizi di livello comunale; alla revisione degli strumenti urbanistici comunali; alla predisposizione di piani comunali di ricostruzione.

La ricostruzione, pertanto, se si escludono alcune idee di forte razionalizzazione insediativa proposte immediatamente dopo il sisma e rimaste praticamente inascoltate, veniva improntata ad una linea di continuità.

Qui, per obiettivo, si ha una accezione molto meno strutturata di quella che si può avere in un contesto di "problem solving" dominato da una razionalità forte e cioè come scopo circoscritto e, al limite, definibile anche in termini quantitativi. In un contesto di politiche pubbliche, per obiettivo, si intende, piuttosto, una "missione" dell'azione pubblica tesa a definire ed affrontare un problema di natura collettiva.

Sia con il precedente assetto insediativo e socio-economico -badando, comunque, a migliorare la sicurezza degli edifici, la qualità residenziale, le prestazioni dei servizi e le capacità economiche dell'area- sia con il sistema di pianificazione urbanistica in vigore al momento del sisma.

Le scelte in ordine agli obiettivi generali di una ricostruzione che possiamo definire, pertanto, essenzialmente "continuista", non comportavano alcun "ridisegno" né dell'assetto generale dell'area colpita né del sistema istituzionale di governo del territorio e, di conseguenza, non potevano che avvalorare la funzione del PUR, e del sistema di pianificazione nel quale lo stesso era inserito. Questi orientamenti non spiegano comunque la scelta, all'epoca operata, di non procedere, con una apposita variante, ad una integrazione del PUR stesso nonostante che, un mese dopo il sisma, il Presidente della Regione avesse introdotto, nel PUR, un articolo ove si prescriveva di procedere ad una ricognizione dei danni al fine di fornire, con apposita variante al PUR, direttive per una organica ricostruzione del territorio nonchè criteri ed indicazioni per la redazione dei piani comprensoriali. Il PUR non è mai stato successivamente modificato, né in senso contenutistico né in senso procedurale, per proporsi come strumento innovativo di guida della ricostruzione insediativa e la pianificazione territoriale veniva riproposta, sic et simpliciter, nelle forme e nei metodi con cui era stata impostata prima del sisma.

Gli obiettivi del PUR per i sistemi insediativi


Gli obiettivi del PUR per i sistemi insediativi possono essere articolati in obiettivi generali ed in obiettivi di settore1: i primi riguardano caratteristiche strutturali generali dell'assetto dei sistemi insediativi regionali e locali; i secondi riguardano specifici sottosistemi dei sistemi insediativi regionali e locali quali il sottosistema residenziale, quello produttivo, quello dei servizi e quello dei trasporti. In questo contesto non
insisteremo, ovviamente, sugli obiettivi specifici, a meno che non se ne rilevi una stretta necessità. Ci rifaremo, invece, ai soli obiettivi strutturali generali per i sistemi insediativi. A loro volta questi possono essere divisi in obiettivi macro ed in obiettivi micro. I primi riguardano la struttura e la composizione degli insediamenti a scala sovraurbana (territoriale) ed urbana; i secondi riguardano la struttura e la composizione degli
insediamenti alla scala suburbana o addirittura del singolo manufatto edilizio.

Partiamo dagli obiettivi generali macro

L'obiettivo principale del PUR per i sistemi insediativi è quello di conseguire un sistema di insediamenti equilibrato e fortemente integrato, che, pur mantenendo le proprie caratteristiche peculiari, tenda ad una struttura territoriale uniforme dal punto di vista dell'offerta di opportunità alla popolazione (in termini di servizi e di posti di lavoro) mediante la formazione di sistemi di pendolarità di medio e piccolo raggio.

L'unitarietà del sistema regionale deve risultare dalla spiccata specializzazione tra le parti del territorio per conseguire, complessivamente, quell'effetto "metropolitano" che viene considerato come condizione imprescindibile dello sviluppo.

Riequilibrio territoriale da una parte e specializzazione ed integrazione funzionale dall'altra costituiscono, pertanto, gli obiettivi generali delle politiche insediative del PUR. Su queste si imperniano le strategie atte a conseguire gli anzidetti obiettivi; queste devono far perno su tre livelli di organizzazione degli insediamenti:

(i) i sistemi insediativi di supporto regionale (prevedendo la gamma completa dei servizi compresi quelli di rango avanzato);

(ii) i sistemi insediativi di supporto comprensoriale (prevedendo i servizi di
tipo ubiquitario ed i servizi di rango intermedio);

(iii) i centri di supporto locale (prevedendo i soli servizi di tipo ubiquitario).

Nel caso dell'area terremotata siamo in presenza di un certo numero di sistemi insediativi di interesse comprensoriale che corrispondono, grossomodo, per fare un riferimento amministrativo, alla Comunità Collinare del Friuli ed alle Comunità Montane della Carnia, della Val Canale e Canal del Ferro, del
Gemonese, del Tarcentino, delle Valli del Natisone per la provincia di Udine ed alle Comunità Montane del Meduna-Cellina e dell'Arzino per la provincia di Pordenone. All'interno di detti sistemi di interesse comprensoriale sono collocati numerosi centri di supporto locale.

Gli obiettivi di riequilibrio territoriale devono essere perseguiti mediante il freno all'espansione dei centri regionali maggiori e mediante il tentativo di arrestare l'emigrazione dai centri più piccoli e dalle zone montane e pedemontane della regione. Tra questi due obiettivi si colloca, ovviamente, quello del rafforzamento dei sistemi di interesse comprensoriale e, quindi, con riferimento all'area terremotata, quello del rafforzamento delle citate Comunità Montane e Collinare.

Le politiche residenziali vengono demandate alle scelte specifiche del Piano casa (l.r. 48/'74) anche se uno dei principali criteri ordinatori delle politiche orientate più precisamente ai centri abitati, viene individuato nel recupero dei centri storici e nel riuso del patrimonio edilizio esistente.
Per quanto riguarda gli obiettivi generali micro si può far riferimento alle previsioni relative alle diverse zone residenziali o di servizio alla residenza di scala infraurbana.

Gli obiettivi relativi al settore residenziale mirano a soddisfare compiutamente, in un più generale quadro di riequilibrio territoriale e di riqualificazione urbanistica, il fabbisogno di abitazioni derivante da sovraffollamento, da incremento demografico, da sostituzione delle abitazioni improprie e da demolizioni.

Viene previsto un piano regionale per l'edilizia residenziale che deve perseguire i seguenti obiettivi:

a. rivalutazione del ruolo dell'intervento pubblico nel settore edilizio-residenziale;

b. politica coordinata delle aree da urbanizzare in funzione del disegno generale del PUR;

c. recupero del patrimonio edilizio in via di degrado in alternativa ad una offerta basata esclusivamente sulle nuove abitazioni;

d. produzione di edilizia per le fascie di popolazione a medio e basso reddito;

e. conseguimento di un adeguato equilibrio tra sviluppo residenziale e dotazione di attrezzature e servizi collettivi.

Lo strumento tecnico operativo atto a conseguire dette politiche a scala comunale è quello dello "zoning" e cioè l'articolazione degli spazi residenziali e di supporto alla residenza, secondo zone omogenee. Si hanno, pertanto:

a. la zona omogenea "A" per gli ambiti territoriali comprendenti complessi urbanistici di interesse storico-artistico e di particolare pregio ambientale;

b. la zona omogenea "B" per gli ambiti territoriali totalmente o parzialmente edificati;

c. la zona omogenea "C" per le parti del territorio destinate ai nuovi complessi insediativi.

Per ognuna di tali zone il PUR fornisce dettagliate indicazioni di tipo procedurale, normativo e parametrico anche se si ammettono possibilità integrative da parte della pianificazione subordinata.

Nell'ambito dei centri storici devono esplicarsi, in via prioritaria, le iniziative dirette al recupero del patrimonio edilizio-urbanistico esistente. A tal fine i centri storici vengono classificati in:

(i) centri storici primari;

(ii) centri storici con elevato grado di trasformazione;

(iii) nuclei ambientali di tipo A (impianto urbano, in contesto agricolo, non particolarmente complesso);

(iv) nuclei ambientali di tipo B (impianto urbano incompiuto e fortemente trasformato ma con rilevanti presenza architettoniche e tipologiche).

Politiche di ricostruzione e la pianificazione territoriale

Le principali fasi della ricostruzione

Ad esclusivo scopo di studio possiamo articolare la consistente mole dei provvediamenti legislativi per la ricostruzione (nazionali e regionali) secondo una serie di fasi critiche del processo di ricostruzione stesso.

Le fasi, per quanto facciano in qualche modo riferimento alla scansione temporale degli obiettivi della ricostruzione, non sono strettamente conseguenti l'una all'altra da un punto di vista temporale, anzi, in qualche caso si possono intersecare o sovrapporre; l'articolazione in fasi è, pertanto, solo un artificio che serve a dare un ordine logico alla materia da analizzare. Si può avere pertanto:

a. la fase dell'emergenza e della prima risposta;
b. la fase della ripresa produttiva;
c. la fase della impostazione della ricostruzione insediativa;
d. la fase della ricostruzione abitativa;
e. la fase conclusiva.

La fase dell'emergenza

Le leggi ed i provvediamenti principali di questa fase sono i seguenti:
a. D.P.G.R.0714/Pres. del 20/5/'76 per la delimitazione delle aree colpite;
b. Legge 17/'76: per la riparazione degli edifici non irrimediabilmente danneggiati;
c. legge 33/'76: per gli insediamenti provvisori.
d. legge 53/'76: per l'istituzione della Segreteria Generale Straordinaria.

Il terremoto del 1976 interessa la parte settentrionale della regione Friuli-Venezia Giulia ed in particolare un area di circa 5.500 kmq in cui risultavano residenti all'epoca circa 600mila abitanti. Le scosse del maggio e del settembre 1976 distruggono completamente le abitazioni di circa 32mila persone e danneggiano gravemente quelle di oltre 150mila. I senzatetto sono pari a circa 100mila unità. Dopo le scosse del settembre 1976, i danni vengono valutati in circa 75mila alloggi danneggiati da riparare ed in circa 18mila alloggi distrutti da ricostruire. I danni alle opere pubbliche sono valutati in circa 300 miliardi (a prezzi 1977), in 500 miliardi quelli ai settori produttivi ed in altrettanti quelli per il dissesto idrogeologico.

Complessivamente la stima dei danni elaborata dalla Regione ammonta a 4500 miliardi.

L'area interessata dall'evento sismico viene divisa, con il D.P.G.R. n.0714/Pres. del 20/5/'76 e successive modifiche ed integrazioni, in tre zone di isodistruzione. Tale delimitazione comprende:

- 45 comuni "disastrati" appartenenti alle provincie di Udine e Pordenone, per 103mila abitanti;

- 40 comuni "gravemente danneggiati" appartenenti sempre alle stesse due provincie, per 133mila abitanti;

- 52 comuni "danneggiati" appartenenti alle stesse due provincie, al di fuori di tre comuni della provincia di Gorizia, per 351mila abitanti.

Diversi studi (tra questi cfr. Fabbro, 1985) hanno messo in evidenza come la delimitazione operata dalla Amministrazione regionale non sia sempre risultata coerente con gli indici di danneggiamento rilevati dalle diverse indagini sui danni. Se ne deve dedurre che tale delimitazione si basava solo indicativamente su un parametro oggettivo di danno fisico alle strutture edilizie.

Dopo che, con la legislazione statale, si affermano sia il principio della solidarietà nazionale per l'attribuzione dei finanziamenti secondo quanto stimato dalla Regione, sia il principio della delega, della programmazione e gestione del processo di ricostruzione, da parte dello Stato alla Regione ed agli Enti locali, si avvia un lungo e difficile cammino decisionale ed operativo da parte della Regione.

La l.r. 17/'76 è una delle prime ad essere emanata ed è finalizzata a sopperire alle impellenti esigenze abitative delle popolazioni colpite attraverso la riparazione di edifici non irrimediabilmente danneggiati. È una legge che punta ad un recupero massicio e senza requisiti antisismici (non previsti nè garantiti dalla copertura finanziaria) del patrimonio abitativo superstite al fine di far fronte tempestivamente alla domanda di allogginprovvisori con la speranza di poter saltare completamente la fase delle "baracche" ("dalle tende alle case" è lo slogan nefasto che sembra prevalere in quei primi mesi); a tale scopo viene disposto il rilevamento dei danni da parte di una terna di tecnici che redige appositi verbali di accertamento.

Gli effetti precari delle riparazioni compiute con detta legge vengono praticamente annullati dalle scosse del settembre 1976.

La legge 17, dal punto di vista dei risultati, può dirsi pressochè fallimentare: significativo, da questo punto di vista, è il fatto che una buona parte degli aventi diritto ai benefici (circa un quarto) ha optato, successivamente, per la nuova legge delle riparazioni la l.r. 30/'77.

La l.r. 33/'76 per gli insediamenti provvisori attribuisce ai Comuni i compiti di:

(i) individuare le aree per i nuovi insediamenti, anche provvisori, nonchè dei servizi collettivi e delle attività tenziarie;

(ii) perimetrare i nuclei urbani distrutti;

(iii) individuare le aree per la discarica degli inerti da demolizione.

L'individuazione delle aree per i nuovi insediamenti deve avvenire nelle zone destinate all'edilizia residenziale; per i comuni disastrati, qualora se ne presenti l'esigenza, possono essere individuate anche aree al di fuori delle zone di espansione ed il connesso provvedimento viene a costituire variante allo strumento urbanistico vigente. Incomuni possono apportare variazioni al piano senza richiedere la preventiva autorizzazione alla Regione.

Per l'individuazione delle aree il Comune deve attenersi ai seguenti criteri:

(i) sicurezza idrogeologica;

(ii) economicità delle infrastrutture;

(iii) continuità delle attività produttive non trasferibili; (iv) esigenze a livello sovracomunale.

Il quadro di riferimento fornito dalla legge è a maglie larghe e lascia al comune ampia autonomia decisionale. Da ciò consegue agilità e prontezza nelle scelte ma anche una casistica di interventi molto diversificata e spesso a scapito di una pianificazione attenta a non occupare indiscriminatamente nuove aree non urbanizzate. Anche se previsto, il livello sovraccomunale di pianificazione non è ancora in grado di esercitare un proprio ruolo e, a seguito di ciò, viene a mancare, alle decisioni di livello comunale, un congruo riferimento di scala più ampia. I due piani di prefabbricati portano alla realizzazione di 9252 alloggi regionali e di 20mila alloggi commissariali per un totale di 350 villaggi e 110mila persone alloggiate.

Con la l.r. 33 si afferma, nel bene e nel male, un momento di elevata autonomia da parte dei comuni.

In particolare, in diverse situazioni, le scelte definite in questa sede sono risultate fortemente condizionanti per gli sviluppi successivi del processo di ricostruzione e riorganizzazione territoriale. Ciò è avvenuto senza che gli operatori locali ne avessero piena coscienza, senza adeguate strumentazioni di valutazione, senza indirizzi metodologici e tecnici, a livello urbanistico, capaci di orientare l'impreparazione sostanziale degli amministratori locali.

Alcuni Comuni hanno operato facendo previsioni sul futuro sviluppo residenziale dei propri centri e quindi, hanno acquisito aree, o utilizzato aree già demaniali, di ampie dimensioni in posizioni periferiche; altri hanno preferito avvicinare le aree degli insediamenti provvisori ai borghi ed ai nuclei di case inagibili e, pertanto, hanno preferito frantumare e diffondere le dette aree; altri ancora hanno operato espropri mirati perseguendo finalita di razionalizzazione dell'insediamento e così via.

Un altro elemento importante della legge è quello relativo alla perimetrazione delle aree distrutte dove intervenire con i Piani Particolareggiati.

Ad un primo generale disorientamento delle amministrazioni locali, segue un recepimento, generalizzato alla quasi totalità delle aree urbanizzate, di tale strumento in vista della possibilità di passare immediatamente alla fase attuativa.

Alla progettazione a tappeto sono successivamente seguiti gli enormi
problemi gestionali che inevitabilmente detti strumenti vengono a comportare (riordino della proprietà, erogazione dei finanziamenti, adeguamento agli standard abitativi e dei servizi prescritti dalla Regione ecc.).

Con la l.r. 53/'76 viene attribuito alla Presidenza della Giunta regionale il compito di sovraintendere alla attuazione delle leggi statali e regionali a favore delle popolazioni colpite. Viene previsto, inoltre, che il
Presidente designi un Assessore effettivo che lo sostituisca in caso di assenza o di impedimento. È previsto inoltre che, per l'esercizio dei compiti suddetti, il Presidente si avvalga di una Segreteria Generale Straordinaria articolata in tre ripartizioni: amministrativa; tecnica e dell'assistenza.

Questo organismo verrà a svolgere, nel corso del processo di ricostruzione, un ruolo massiccio e fondamentale gestendo, in sostanza, le ll.rr. di riparazione e di ricostruzione, i rapporti con le imprese di costruzione, l'attività informativa e di rendicontazione sullo stato della ricostruzione.

La fase della ripresa produttiva

Le principali leggi per il ripristino degli edifici produttivi colpiti dal terremoto sono:

a. l.r. 28/'76 (e successive modifiche ed integrazioni): per il ripristino dell'efficienza produttiva delle aziende industriali, artigiane, commerciali e turistiche colpite;

b. l.r. 35/'76 (e successive modifiche ed integrazioni): per la ripresa produttiva delle aziende agricole colpite.

Il contributo previsto dalla 28/'76 è a fondo perduto e viene riferito al danno subito dalle imprese per la distruzione totale o parziale di immobili, impianti, macchinari, attrezzature, arredamenti e scorte. Vengono inoltre previsti contributi ai Consorzi garanzia fidi fra le piccole imprese industriali e commerciali ed all'Esa per favorire il credito alle imprese artigiane a breve termine. Viene prevista una integrazione del fondo speciale di dotazione della Friulia Spa e viene concesso un contributo straordinario alla Friulia Lis Spa al fine di agevolare la ripresa dell'attività da parte delle imprese industriali ed artigiane danneggiate.

Vengono infine previsti contributi straordinari agli Enti che perseguono finalità di sviluppo industriale nelle zone terremotate ed ai Comuni disastrati per la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria al servizio di insediamenti piccolo industriali ed artigianali.

La 35/'76 prevede una serie articolata di interventi: spese dirette e sovvenzioni per far fronte alla fase di emergenza (ricovero bestiame, compromissione delle colture, sospensione attività ecc.); contributi in conto interessi alle aziende per far fronte alla diminuzione del reddito agricolo; contributi sulla spesa ammissibile per la riparazione dei fabbricati per uso agricolo; contributi per la ricostituzione delle scorte e per l'acquisto di bestiame ecc..

La seconda legge nazionale, la 828/'82, oltre a rifinanziare una ampia gamma di interventi già previsti dalla 546/'77, prevede consistenti interventi (200 md) diretti allo sviluppo produttivo ed occupazionale delle aree colpite da considerarsi aggiuntivi rispetto a quelli già disposti in attuazione dei piani comprensoriali di cui all'art.1 della 546. Prevede inoltre 300 md da destinare alla realizzazione di progetti organici di sviluppo nelle provincie di Trieste e di Gorizia nonchè nei territori delle provincie di Pordenone ed Udine.

La fase dell'impostazione della ricostruzione insediativa


I documenti e le leggi fondamentali di questa fase sono:
a. i documenti della Giunta e del Consiglio regionali;
b. la legge nazionale 546/'76;
c. la l.r. 30/'77 per il recupero statico e funzionale degli edifici;
d. la l.r. 63/'77 per la ricostruzione delle zone colpite.

Nei documenti politici della Giunta e del Consiglio regionali si mettono a fuoco, anche se nei termini generici del linguaggio politico, gli obiettivi e le linee fondamentali della ricostruzione. In ottemperanza a quanto previsto dalla l. nazionale 336/'76, che assegna anche le prime provvidenze, nei vari settori di intervento, per le popolazioni colpite, viene predisposto dalla Giunta regionale il documento di stima dei danni nel quale viene fatta richiesta allo Stato dei mezzi finanziari e delle direttive quadro per la ricostruzione e nel quale viene definito anche un programma regionale di ricostruzione. Si prevede che la ricostruzione venga collocata nel più ampio contesto dello sviluppo regionale e che, dal punto di vista pianificatorio, faccia riferimento al PUR ed ai normali strumenti di pianificazione urbanistica dotati, comunque, di maggiore elasticità al fine di tenere conto delle particolari condizioni venutesi a creare.

Viene inoltre affermato il ruolo del livello comprensoriale di pianificazione mentre ai comuni viene affidato il compito di provvedere: alla programmazione degli interventi di riparazione degli edifici, delle infrastrutture e dei servizi di livello comunale; alla revisione degli strumenti urbanistici comunali; alla predisposizione di piani comunali di ricostruzione.

Tra le priorità di intervento si indica:

a. la realizzazione di edilizia abitativa in misura atta a garantire il ripristino e lo sviluppo degli insediamenti residenziali in connessione con i tempi e le modalità della ripresa produttiva;

b. la ricomposizione dell'ambiente sociale mediante la realizzazione delle opere pubbliche e dei servizi collettivi necessari;

c. la creazione di nuovi posti di lavoro nei settori economici più remunerativi.
Per quanto riguarda la politica della casa si auspica la realizzazione delle riparazioni, conseguendo una sufficiente sicurezza fisica e la ricostruzione delle abitazioni distrutte; si punta sulla proprietà diretta e su un ammontare del contributo di riparazione o ricostruzione pari al 100% del costo di costruzione di un alloggio popolare.

Rispetto a questo documento, quello del Consiglio introduce degli ulteriori elementi relativamente alla strumentazione urbanistica e programmatoria: il PUR deve essere adeguato alle esigenze attuative della ricostruzione; deve essere redatto un piano regionale di rinascita e sviluppo da articolarsi in piani pluriennali elaborati dalla Comunità Montane e dai consorzi di Comuni.

La legge nazionale 546/'77 costituisce l'intervento statale più organico in materia di ricostruzione del Friuli; fa proprie le richieste della Regione e dei parlamentari regionali per quanto riguarda l'ammontare delle risorse necessarie e le scelte di fondo relative al modello gestionale (delega alla Regione ed agli Enti locali la programmazione e la gestione del processo di ricostruzione). Prevede interventi nei settori produttivi, nell'edilizia abitativa, nelle opere pubbliche, nel patrimonio culturale e di culto ecc.

Rilevanti sono anche le previsioni relative all'istituzione dell'Università degli Studi di Udine, al potenziamento del sistema della formazione superiore e della ricerca scientifica e tecnologica a Trieste e ad alcune grandi opere infrastrutturali (autostrada Udine-Tarvisio, sistemazioni idrogeologiche ecc.).

Già nel documento della Giunta Regionale erano contenuti i principi ispiratori delle principali leggi regionali per l'attuazione dei provvedimenti nazionali e cioè la l.r. 30/'77, per il recupero statico e funzionale degli edifici e la l.r. 63/'77 per la ricostruzione delle zone colpite.

La l.r. 30/'77 viene concepita con lo scopo di operare una massiccia opera di riparazione, basata sul recupero non solo statico ma anche funzionale, del patrimonio edilizio esistente. I primi due articoli della legge forniscono i principi direttori: gli interventi devono essere attuati secondo criteri di convenienza tecnicoeconomica, secondo esigenze di natura urbanistica, garantendo nella misura massima possibile il recupero e la valorizzazione del patrimonio edilizio storico, artistico ed ambientale superstite.

Inoltre si afferma che tale opera viene inquadrata nell'ambito di un censimento dei fabbisogni abitativi dell'area terremotata. Questo calcolo del fabbisogno non verrà mai attuato in forma compiuta ed organica e ciò viene a costituire una prima remora alla applicazione della legge: l'assenza di una programmazione basata su una corretta valutazione dei fabbisogni darà luogo ad una operatività indiscriminata e contingente e, alla fine, al ripristino di quantità valumetriche fortemente sovradimensionate rispetto ai fabbisogni reali.

Esaminiamo di seguito i contenuti di una legge ampia e complessa, che ha subito, nel corso del tempo, numerose integrazioni e modificazioni, soffermandoci sui soli elementi che ci paiono più strettamente legati alle finalità del nostro lavoro. Innanzitutto l'operatività è limitata ai soli comuni più colpiti (91 comuni). La gestione ed il controllo sugli interventi vengono avocati direttamente alla Regione.

Gli interventi previsti (in conto capitale e attraverso mutui) comprendono oltre all'intervento privato a cura dei singoli proprietari, anche quello cooperativo e quello pubblico con tetti di contributo rispettivamente crescenti. il controllo delle operazioni tecniche viene eseguito da un gruppo interdisciplinare centrale attivato presso la SGS. Viene prevista, secondo appositi elenchi, la schedatura e catalogazione degli edifici di valore ambientale, storico, culturale ed etnico, ubicati sia all'interno che all'esterno delle zone di efficacia della legge.

Le opere di riparazione e di restauro degli edifici così elecati, sono subordinate alla stipulazione, da parte dei proprietari interessati, di una convenzione per la conservazione dello stato degli edifici e per la destinazione degli stessi a tutela dei valori suddetti nonchè per l'utilizzo dei vani eccedenti il fabbisogno dei proprietari. Si prevede, inoltre, un'altro strumento a sua volta, in una certa misura, figlio del dibattito degli anni settanta sul recupero dei centri storici, e cioè quello dell'ambito edilizio di intervento unitario pubblico: si dà, in sostanza, facoltà al comune di introdurre un doppio regime di intervento pubblico-privato in cui il pubblico non è solo assemblaggio di singole richieste ma è anche uno strumento attuativo autonomo dell'ente locale, da utilizzarsi per perseguire finalità urbanistiche qualificate.

L'elemento gestionale forse più significativo di tutta la legge è costituito dall'introduzione della convenzione, per gli edifici non occupati dal proprietario e per i vani eccedenti il fabbisogno dei nuclei familiari, a seguito della quale il Comune può disporre degli alloggi così ricavati. Si intravvede l'obiettivo di manovrare "manu pubblica" uno stock abitativo da usare strategicamente per la graduale liberazione delle baracche in attesa dei fabbricati definitivi. Il dispositivo, se congegnato a tal fine, si dimostrerà poi, alla prova dei fatti, del tutto inefficace e perverso sia perché non corrisponderà ai tempi richiesti per tale operazione sia perché sarà tra le cause di quel sovradimensionamento abnorme del recupero che ancora costituisce una delle remore maggiori per la gestione locale dei patrimoni edilizi.

L'applicazione della legge risulta subito complessa e macchinosa: la ripartizione tra intervento privato, pubblico e cooperativo risulta ampiamente diversificato tra i comuni e non facilmente riconducibile ad una qualche logica pianificatoria. Lo strumento della convenzione genera effetti perversi sul mercato edilizio ed in alcuni casi ne risulta disincentivato lo stesso interesse privato alla riparazione. Notevoli sono invece i risultati conseguiti sul piano del recupero del patrimonio soggetto ad interventi di restauto conservativo. I cosiddetti "articoli 8" che sono stati catalogati sono circa 1540. Più diversificata e complessa appare la situazione per quanto riguarda l'utilizzo degli ambiti unitari di intervento spesso utilizzati impropriamente da Comuni ritenendo che l'inserimento di un immobile nell'ambito consentisse al suo proprietario di accedere automaticamente ad un contributo anche se tale diritto non poteva essere riconosciuto dalla normativa in vigore per l'assenza di altri requisiti soggettivi necessari.

Con le ll.rr.per le riparazioni, 17/'76 prima e 30/'77, poi si arriva, a consuntivo, ad un totale di 75mila riparazioni (31mila con la 17 e 44mila con la 30).
Con la l.r. 63/'77 si definiscono le caratteristiche essenziali della strumentazione per la ricostruzione insediativa e, pur definendosi solo come "norme procedurali e primi interventi per l'avvio dell'opera di risanamento e di ricostruzione delle zone colpite dal sisma nei settori dell'urbanistica, dell'edilizia e delle opere pubbliche", ha tutte le credenziali per essere considerata il "piano di ricostruzione" vero e proprio e cioè lo strumento determinante per l'orientamento del processo di ricostruzione dalla scala edilizia fino a quella territoriale.

L'intero corpo della legge può essere diviso in tre parti essenziali:

(i) la prima (titolo II) riguardante la strumentazione urbanistica;

(ii) la seconda (titolo III e IV) riguardante il regime edificatorio e le tipologie di erogazione dei contributi; la terza (titolo V)

(iii) il ripristino e la ricostruzione delle opere pubbliche di interesse locale e regionale.

Nella prima parte si individuano i tre livelli di pianificazione urbanistica:

a. quello comprensoriale (di cui alla l.r. 33/'76) con un piano vincolante per la pianificazione subordinata;

b. quello comunale di tipo generale con la variante di ricognizione e di adeguamento dello strumento urbanistico in dotazione;

c. quello comunale di tipo attuativo con i piani particolareggiati degli agglomerati urbani danneggiati o distrutti.

Il piano comprensoriale di ricostruzione viene attribuito, come enti di livello comprensoriale, alle Comunità Montane. Il contenuto di detti piani è piuttosto vago e consiste nella precisazione, a scala locale, dei contenuti del PUR avuto riguardo, in particolare, alla utilizzazione ottimale delle risorse, alla definizione dell'assetto demografico complessivo e dei livelli demografici comunali, nonchè alla localizzazione dei servizi collettivi di scala sovracomunale. Le ambiguità di contenuto (il riferimento al PUR sembra non tenere conto che lo stesso PUR, per le aree colpite, avrebbe dovuto essere interessato da una variante) si cumulano con la fragilità del livello di governo individuato (un ente locale di secondo livello) dando luogo ad uno strumento che fin dall'inizio riscuote scarso interesse e credibilità.

Non è del tutto chiaro il perché di questa scelta del legislatore: da una parte una forte enfasi su un sistema di pianificazione generale e sovracomunale ispirato al più classico sistema di pianificazione "a cascata" o "top-down" o "razional-comprensivo" (Mazza, 1988), e, dall'altra, la delega di compiti rilevanti di pianificazione socracomunale ad enti che non possiedono la forza e la strumentazione necessaria a dialogare efficacemente né con i livelli amministrativamente sovraordinati né con quelli "subordinati".

È vero che il cosiddetto "ente intermedio" in realtà non esisteva ( i famosi comprensori degli anni settanta) e che l'unica parvenza di ente intermedio era costituita dalle Comunità Montane ma è anche vero che un recepimento così acritico, astratto ed in fin dei conti inefficace del sistema di pianificazione previsto dalle leggi urbanistiche nazionale e soprattutto regionale, poteva essere evitato introducendo qualche significativo elemento di innovazione vista anche l'eccezionalità degli avvenimenti.

Più solide e concrete si dimostrano, invece, fin dall'inizio, le attribuzioni ai comuni in materia urbanistica. È a quest'ambito, infatti, che vengono assegnati i compiti più importanti per la definizione ed attuazione dei meccanismi più rilevanti di gestione della ricostruzione.

Le varianti di ricognizione degli strumenti urbanistici generali sono finalizzate ad adeguare lo strumento urbanistico elle esigenze emergenti a seguito dell'evento sismico: si tratta, in particolare, di tenere conto delle aree interessate dai diversi interventi di riparazione e di ricostruzione, delle nuove aree per insediamenti provvisori, della revisione degli standard urbanistici che scaturisce dal ridisegno delle aree residenziali; del trasferimento a nuova localizzazione di insediamenti produttivi, commerciali ecc..

Tra i compiti delle varianti di ricognizione viene previsto quello di determinare le aree per le quali e ammessa la ricostruzione in sito degli edifici distrutti o demoliti. L'istituto della "ricostruzione in sito" viene a costituire un'altra arma a doppio taglio: da una parte, infatti, consentirà di ricostruire borghi e centri storici; dall'alta, invece, una volta applicato indiscriminatamente anche agli edifici periferici (spesso anonime villette), comporterà un riconoscimento ed una incentivazione alle espansioni di tipo suburbano, pur in presenza di eccedenze volumetriche nei centri storici, che continueranno anche dopo la ricostruzione e che contribuiranno grandemente a svuotare i centri storici ed a snaturare l'intero paesaggio di tradizione rurale del cosiddetto "Alto Friuli" (cfr. anche Chinellato, 1990).

I P.P. assumono, invece, le caratteristiche di strumenti di importanza fondamentale nel processo di ricostruzione. All'interno dei P.P. i Comuni possono individuare delle aree (gli ambiti unitari di intervento) vincolate a progettazione ed attuazione unitaria sia ad opera dei privati (obbligati ad intervenire) sia, nel caso di inadempienza o per scelta deliberata, ad opera dello stesso Comune. Questi ambiti possono essere assimilati, per la loro concezione, ai piani di recupero introdotti successivamente, in ambito nazionale, dalla L.457.

Con il programma annuale degli interventi si tenta, inoltre, di agganciare la pianificazione degli interventi di riparazione o costruzione, alla programmazione finanziaria della Regione. Questo meccanismo di programmazione unitaria (tra pianificazione urbanistica e programmazione finanziaria) sembrerebbe poter dare all'operatore pubblico la possibilità non solo di controllare ma anche di indirizzare concretamente l'opera di ricostruzione secondo criteri e priorità predefiniti. In realtà, l'uso che sembra essere stato fatto di detto meccanismo è molto più limitato di quanto forse il legislatore si aspettava e ciò per almeno due motivi: da una parte non esisteva una prassi consolidata all'uso di simili strumenti di governo (è necessario, infatti, presupporre una forte capacità sia di definizione di obiettivi, strategie, criteri sia di controllo e verifica sull'attuazione); dall'altra l'attuazione del programma annuale era legata alla erogazione regionale che avveniva secondo i criteri e le disponibilità finanziarie dell'Amministrazione regionale.

La seconda parte della legge definisce la casistica degli aventi diritto al contributo. Il ventaglio di questi ultimi è ampio e palesemente finalizzato a tutelare ed ampliare la residenzialità locale: vengono, pertanto, offerte opportunità rilevanti non solo agli ex-proprietari ed ai loro familiari ma anche ai non proprietari ed agli emigranti proprietari e non; vengono tutelate le forme di produzione connesse con l'abitazione con contributi per la costruzione di vani da adibire ad attività produttiva in immobili ad uso misto.

Vengono, infine, previsti finanziamenti per l'edilizia residenziale pubblica e per l'edilizia convenzionata ed agevolta. Per quanto riguarda l'edilizia pubblica, la legge è tesa a ricostruire il patrimonio pubblico andato distrutto ed a costruire anche nuovi alloggi da assegnare in locazione semplice a non proprietari od a exproprietari che rinuncino alla ricostruzione; è consentito concorrere alla assegnazione degli alloggi anche a soggetti privi dei requisiti, previsti per l'accesso agli alloggi di edilizia sovvenzionata (e che subordinano l'assegnazione della casa al possesso della residenza nello stesso comune ed alla coincidenza tra comune di residenza e comune ove si svolge l'attività lavorativa).

La terza parte della legge è dedicata agli interventi per il ripristino e la ricostruzione di opere pubbliche di interesse locale e regionale. Non vengono previste valutazioni di sorta in ordine alla utilità delle opere nè in ordine alla loro efficacia ed efficienza gestionale futura anche se, per la progettazione, attuazione e successiva gestione delle opere, l'Amministrazione regionale può favorire e promuovere la costituzione di appositi consorzi tra gli enti interessati. Le opere vengono finanziate con aperture di credito a favore delle Amministrazioni interessate.

Nel suo complesso la legge sembra attribuire una gran mole di compiti attuativi all'ente locale riservando alla Regione un potere di scelta e di indirizzo direttamente proporzionale al suo potere discrezionale di decisione in ordine alla allocazione dei finanziamenti.
Il modello di politica di ricostruzione che viene perseguito si incentra su una offerta indifferenziata ed indiscriminata sia di possibilità edificatorie (anche in deroga alle normative urbanistiche precedenti) sia di accesso al bene casa, in proprietà e non, il tutto con il fine di promuovere una stabile residenzialità nell'area ed anche una attrazione di popolazione emigrata: è vero che il problema della casa e quello del mantenimento della residenza nelle aree colpite sono emersi da subito come le questioni cruciali della ricostruzione (e la legge dà modo di realizzare 20mila nuove unità edilizie) ma è anche vero che, a ricostruzione quasi ultimata, si è rilevato un sovradimensionamento notevole della struttura residenziale (Fabbro, 1985) che, oltre che comportare un allargamento dei suoli urbanizzati, è all'origine anche di usi squilibrati delle risorse territoriali (espansioni periferiche assieme a centri storici con rilevanti eccedenze volumetriche) e di allocazioni squilibrate delle risorse familiari in quanto dirette più a sostenere i costi per il completamento della ricostruzione della casa e delle successive conseguenti manutenzioni, che a forme più strategiche di investimento.

Sugli aspetti valutativi avremo comunque modo di ritornare anche nei successivi paragrafi e nelle conclusioni.

La fase della ricostruzione abitativa

Le leggi fondamentali della fase della ricostruzione abitativa vera e propria sono le seguenti:

a. l.r. 35/'79: per modifiche ed integrazioni di precedenti leggi di ricostruzione;
b. l.r. 45/'80: per la ricostruzione delle aree centrali;
c. l.r. 2/'82: per modifiche, integrazioni ed interpretazioni autentiche di precedenti leggi di
ricostruzione;
d. l.r. 53/'84 (come sopra);
e. l.r. 55/'86 (come sopra).

La legge 35/'79 prevede, tra l'altro, l'applicazione di indici parametrici massimi per il contenimento delle spese di riparazione (art.4); la stipula di convenzioni con il Comune per l'utilizzo di vani eccedenti nonchè di atti unilaterali d'obbligo (art.8); la possibilità di utilizzare i benefici della ricostruzione anche per l'acquisto di alloggi (art.55); la concessione di benefici per il superamento delle barriere architettoniche (artt. 65 e 66). La l.r. 45/'80 riconosce contributi integrativi per la ricostruzione abitativa nelle aree centrali e assume a carico delle Regione gli eventuali maggiori costi derivanti dalla attuazione di P.P. che impongano soluzioni architettoniche o l'uso di materiali diversi da quelli normalmente previsti esternamente alle aree centrali (art.7). La l.r. 2/'82 concede, tra l'altro, finanziamenti ai Comuni per la riparazione di immobili appartenenti al loro patrimonio disponibile (art.9) e riconosce i contributi anche agli acquirenti di un alloggio danneggiato (art.19). La l.r. 53/'84 prevede, tra l'altro, di devolvere all'Ufficio tecnico della S.G.S. i compiti già espletati dai cosiddetti gruppi A. e B. previsti dalla l.r. 30/'77; disciplina la riammissione ai contributi nel caso in cui sia intervenuta la decadenza per inosservanza del termine di fine lavori o del termine di rientro indicato agli emigranti; introduce l'istituto del minimo abitabile che consente la definizione anticipata delle pratiche contributive. La l.r. 55/'86 contiene, tra l'altro, importanti norme sulla proroga delle concessioni edilizie nonchè di raccordo con le disposizioni sul condono edilizio e norme concernenti la risoluzione delle controversie dei Comuni e della Regione con appaltatori e professionisti.

La fase conclusiva

Le leggi fondamentali di questa fase sono:

a. l.r. 26/'88: contenente modifiche, integrazioni ed interpretazioni autentiche di precedenti leggi di
ricostruzione;
b. l.r. 30/'88: per il ripristino antisismico;
c. l.r. 50/90 contenente modifiche, integrazioni ed interpretazioni autentiche di precedenti leggi di ricostruzione.

La l.n. 26/'88 prevede, tra l'altro, interventi contributivi speciali o integrativi quali, per esempio, quelli disposti per il contenimento dei costi negli ambiti di ricostruzione (art.10) e per il pieno recupero della funzionalità degli edifici pubblici (art.81). La l.r.30/'88 concede contributi per il consolidamento e l'adeguamento antisismico degli edifici lesionati al fine di rispondere ad una richiesta di sicurezza manifestata dalle popolazioni residenti in zone ad alto rischio sismico. La l.r. 50/90 integra e modifica le precedenti leggi regionali di intervento nelle zone terremotate con il fine di dare risposta o di sanare tutti quei casi anomali od obiettivamente complessi ed intricati che erano rimasti per ultimi.

SEGUE -


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