Saviano e la Petix di Striscia al Premio Borsellino 2010

01 Novembre 2010   07:41  

La lotta alla mafia non può essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale, che coinvolge tutti, che tu ti abitui a sentire la bellezza del fresco profumo di libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità, e quindi della complicità”. P. Borsellino.

L’apertura del premio spetta al “Magma Teatro” con una rappresentazione dedicata a Stefano Cucchi, il ragazzo morto in carcere lo scorso anno per cui la famiglia chiede verità e giustizia.

Poi presentati dal giornalista di Roseto, Luca Maggitti, si susseguono sul palco a ritirare il Premio in ordine di comparizione:

  • Dario Vassallo, fratello del sindaco Angelo Vassallo assassinato pochi mesi fa nel paese campano che voleva mantenere pulito nell’ambiente e nella politica - ritira il premio senza rilasciare alcun commento;

  • Maurizio Artale, del centro “Padre nostro” di Palermo fondato da don Pino Pugliesi, quel prete che sapeva di essere persona scomoda e che venne poi ucciso dalla mafia per il suo impegno sociale, per aver intrecciato i temi di pace e di legalità dando sostegno alle fasce più deboli. Fa un appello alla politica Artale, che “sta distruggendo i sogni dei giovani nella convinzione che la politica è mafia’’;

  • Alfredo Rossini, Procuratore dell’antimafia dell’Aquila, che condivide il premio anche con tutti i suoi collaboratori e con tutte le persone dell’Aquila che gli chiedono di non abbandonare la città, di continuare la ricerca della verità sui crolli per avere qualche consolazione per i propri morti nella credenza di legalità e giustizia;

  • don Aniello Manganiello, il prete anti-camorra trasferito a Roma, suo malgrado, da ‘‘pressioni dall’alto nella Chiesa e nella politica’’- che ha ricevuto a sorpresa la presenza dei suoi ragazzi venuti in pullman da Napoli con tanto di striscione che condanna droga e camorra a morte. Nelle sue parole c’è speranza nel cambiamento, forse per i risultati ottenuti strappando tanti ragazzi alla camorra a Scampia o a quel coraggio dimostrato non comunicando i camorristi durante la sua pratica del Vangelo nel rispetto della solidarietà e della legalità;

  • Giorgio Tirabassi, per la sua interpretazione nel film ‘Paolo Borsellino’ che si sente non meritevole di tale premio considerato il suo minore apporto rispetto agli altri premiati presenti, trascurando in questo modo l’importanza dell’opera di divulgazione del film;

  • Stefania Petix, per il rigore della denuncia fatta in maniera ironica ed intelligente che consente alle informazioni di raggiungere un amplio pubblico con il sorriso. Confessa di ‘non andare d’accordo con nessun politico’ e ce lo dice - Stefania - come espressione del suo buon lavoro. A sottolineare che il giornalismo ‘‘non deve guardare in faccia nessuno’’ è anche Sandro Ruotolo mentre consegna il premio e ribadisce che l’essenza dell’informazione sta nel ‘‘dover denunciare le cose che non vanno se ami la tua terra, qualsiasi essa sia”. E qui non è mancato il riferimento all’Aquila ed alla sua ricostruzione post-sisma, sulla quale anche il bassotto, con la sua inviata di Striscia, ai nostri microfoni ribadisce il ruolo ‘che spetta a noi cittadini, che finora abbiamo bene agito per la nostra città, di continuare a vigilare sulle infiltrazioni della Camorra sempre presente dove si muovono soldi’’.

  • Ascanio Celestini, regista e artista protagonista sempre dell’impegno civile che sulla scia della frase di Borsellino propone una rivoluzione culturale prima di quella di piazza per raggiungere la legalità di cui abbiamo bisogno. Racconta una fiaba sull’ottimismo tutta a modo suo che accenna ai tagli nell’insegnamento ed alla paura dell’uguaglianza;

  • Salvatore Di Landro Procuratore Generale di Reggio Calabria, che confessa che in alcuni momenti si sente proprio l’assenza dello Stato e riafferma principi universali, quali il fatto che il potere, senza controllo, scade nell’arbitrio e nel dispotismo.

  • Alla fine il premio forse il più atteso dalla sala, quello di Roberto Saviano, un ragazzo di 33 anni privato non solo della sua libertà a causa della sua denuncia contro la mafia ma anche della maggiore soddisfazione per uno scrittore, il piacere del dialogo e del confronto con il proprio pubblico. Arriva in un corridoio misto di forze dell’ordine e scorta appena qualche minuto prima del suo intervento e va via subito dopo alla stessa maniera. A premiarlo il presidente del Premio, il magistrato Antonino Ingoia. Felice di aver ricevuto questo premio, e nella regione che per prima gli ha conferito la cittadinanza onoraria, ricorda il giudice come un professionista dell’antimafia per la sua resistenza contro la diffamazione con la consapevolezza di chi sta facendo bene il proprio lavoro e non si lascia intimidire. ‘‘Oggi chi studia le inchieste di Borsellino e Falcone sta imparando il metodo per poter capire la verità delle cose e sta difendendo la parte migliore del paese. E la vera eredità è capire che la verità e il potere non coincidono mai’’.

Per concludere la XV edizione del Premio riportiamo le parole potentissime di Agnese Borsellino, dedicate in apertura al figlio, Manfredi, di cui è orgogliosa per il modo in cui è stato capace di seguire il messaggio che il marito ha lasciato, un’eredità che oggi, malgrado le terribili verità che stanno affiorando sulla morte del marito, suo figlio raccoglie non offrendo una sterile testimonianza come vittima di una subdola guerra che gli ha tolto il padre a 21 anni, ma ‘‘come figlio modello - che insieme alle sorelle -serve quello stesso Stato che non sembra avere avuto la sola colpa di non aver fatto tutto quanto era in suo potere per impedire la morte del padre’’.

‘‘Leggendo con i miei figli qui, in ospedale - dove affronto una malattia incurabile con la dignità che la moglie di un grande uomo deve sempre avere - le recenti notizie apparse in questi giorni sui giornali, dopo alcuni momenti di sconforto, ho continuato e continuerò a credere e rispettare le Istituzioni di questo paese, perché mi rendo conto che abbiamo il dovere di rispettarle e servirle come mio marito sino all’ultimo ci ha insegnato, non indietreggiando nemmeno un passo di fronte anche al solo sospetto che può aver avuto di essere stato tradito da chi avrebbe dovuto fare quadrato attorno a lui. Io ed i miei figli non ci sentiamo persone speciali, non lo saremo mai, piuttosto siamo piccolissimi dinanzi alla figura di mio marito che, ribadisco ancora una volta anche a molti di voi che non eravate nati l’anno delle stragi, non è voluto sfuggire alla sua condanna a morte, ha donato davvero consapevolmente il dono più grande che Dio ci ha dato. Io non perdo la speranza di una società più giusta ed onesta, sono anzi convinta che sarete capaci di rinnovare l’attuale classe dirigente e costruire una nuova Italia, l’Italia del domani. Un caloroso abbraccio a voi tutti. Agnese.’’

Presenti in sala gli amministratori civici dei tre Comuni ospitanti, Roseto, Pineto e Giulianova, orgogliosi ed emozionati, come confessa Di Bonaventura per la mattinata appena trascorsa.

Emanuela Bruschi


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