Scandali italiani. L'Irpinia e l'inchiesta 'Mani sul terremoto'

Il disastro sismico dell'80

22 Aprile 2009   13:51  
Mentre si discute di norme sismiche, tecniche di costruzione, materiali flessibili e verifiche di staticità, molte sono le testate che scavano negli archivi della rete in cerca di notizie e inchieste attinenti al delicato scenario abruzzese delle ultime due settimane. Consapevoli degli enormi sprechi, e degli scandali avvenuti in passato in relazione alla gestione dei fondi per i terremotati, i media ripropongono vecchi e quanto mai attuali dossier, con lo scopo di illuminare la coscienza collettiva sui pericoli, i tranelli e le incongruenze che le amministrazioni italiane subiscono o tendono a mettere in atto quando si tratta di gestire i soldi dei contribuenti.

L'articolo che oggi proponiamo è stato tratto dal sito Irpinianelmondo.it, e descrive approfonditamente quanto accaduto in Basilicata, Campania e Puglia, in seguito all'eccezionale evento sismico che il 23 novembre dell' 80 sconvolse il Sud Italia. Fior di miliardi sono stati investiti per finanziare progetti completamente avulsi dal sostegno ai terremotati. Una vergogna che - nonostante le ingenti risorse messe in campo dal governo e dalle associazioni benefiche di tutta Italia- molti temono possa ripetersi anche in Abruzzo.   

TERREMOTO DELL’80 IN IRPINIA : "SIMBOLO DI SPRECO , RUBERIE E MALAFFARE"

Pubblicato su Irpinianelmondo.it il 9 aprile 2009

È questa la fotografia del terremoto dell’Irpinia come è rimasta nella storia della Repubblica; un’immagine che si sovrappone a quella di interi paesi rasi al suolo, di monconi di edifici, di persone in lacrime, di barelle, tende e bare. Su questa catastrofe piovono miliardi che si disperdono in mille rivoli, risucchiati dalla voracità di una classe politica che proprio sulle macerie dell’Irpinia costruisce il proprio potere. L’Irpinia è diventa l’emblema di un Mezzogiorno, sinonimo dello spreco, delle ruberie, del malaffare, della cattiva amministrazione. È il 23 novembre 1980, una lunghissima scossa della durata di un minuto e venti secondi, di magnitudo 6,8 della scala Richter, rade al suolo 36 paesi situati al confine tra la Campania e la Basilicata. 2.735 i morti, 8.850 i feriti. Il disastro naturale è di proporzioni gigantesche.

Le scosse che seminano morte e distruzione a Lioni, Sant’Angelo, Caposele, Calabritto, Conza, mettono a nudo l’arretratezza e la fragilità di quei paesi-presepe antichi e abbandonati, senza piani regolatori e senza piani di fabbricazione che ne preservassero la bellezza e tutelassero la vita di chi li abitava. La storia della ricostruzione dell’Irpinia comincia qui. Su quelle macerie proliferarono vari politici democristiani prima e socialisti dopo, si alternarono commissariati straordinari, commissioni e sottocommissioni ex articolo qualcosa, allargando a dismisura l’area di intervento del terremoto e, soprattutto, la spesa per la ricostruzione.

Nel 1988 un’inchiesta di Indro Montanelli per Il Giornale, querelato dal presidente del Consiglio Ciriaco de Mita, definito «padrino», solleva il velo sulle numerose appropriazioni indebite di denaro pubblico e apre il caso. L’inchiesta avrà come conseguenza la costituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Oscar Luigi Scalfaro che nel 1990 concluderà che i 58.600 rotti miliardi di spese già effettuate (su 70.000 stanziati) sono «finiti nel nulla» o sperperati ivi inclusa quella parte proveniente dal Fondo europeo per lo sviluppo regionale.

Dalla relazione della Commissione emerge che dopo 10 anni 28.572 persone vivono ancora nella roulotte e nei containers e 4.405 negli alberghi. Ma c’è anche una scia di sangue. Nel decennio che va dal 1980 al 1990, in Campania sono stati feriti magistrati (il procuratore di Avellino Antonio Gagliardi), uccisi consiglieri comunali di opposizione (Mimmo Beneventano ad Ottaviano), assessori e consiglieri regionali (Amato e Delcogliano), minacciati giornalisti ed eliminati funzionari di polizia come Antonio Ammaturo, che aveva capito tutto sul sequestro Cirillo. In una intervista rilasciata pochi mesi prima di essere ucciso sotto casa, al giornalista che gli chiedeva dei rapporti tra camorra e politica così Cirillo rispose: «Ci sono gli appalti del dopoterremoto.

Il politico ha bisogno di voti e spesso si rivolge al capobastone». Più volte Oscar Luigi Scalfaro è stato visto sbiancare e trasalire ogni volta che eccellenti testimoni della «sua» Commissione parlamentare d’inchiesta sul terremoto di Campania e Basilicata, gli parlavano di «imprevisti geologici» per giustificare la costruzione di strade costate all’erario centinaia di miliardi a chilometro, o di improbabili aziende di barche da diporto collocate nelle aree industriali di montagna.

Nell’inchiesta della Commissione parlamentare presieduta da Scalfaro, denominata «Mani sul terremoto» avviata nel 1994, furono coinvolte 87 persone tra cui Ciriaco de Mita, Paolo Cirino Pomicino, Vincenzo Scotti, Antonio Gava, Antonio Fantini, Francesco de Lorenzo, Giulio Di Donato e lo stesso commissario Zamberletti che aveva coordinato i soccorsi. L’epilogo della vicenda si è tradotto con la prescrizione della maggior parte dei capi d’imputazione mentre per altri reati è stata decisa l’assoluzione.

Tra i tanti sprechi e spese gonfiate ci sono alcuni casi eclatanti: la Fondovalle Sele, costata 24 miliardi di lire al chilometro, lo stadio comunale di San Gregorio Magno (paese di circa 3mila abitanti in provincia di Salerno), costato più dello stadio San Paolo di Napoli. Alcuni giornalisti riuscirono a dimostrare che Avellino era la provincia italiana dove si vendevano più Mercedes e Volvo e dove, dopo il sisma, i possessori di yacht erano passati da 4 a oltre 100. Inoltre negli anni l’area degli interventi si allarga a macchia d’olio.

I comuni effettivamente colpiti erano relativamente pochi: qualche decina i disastrati, un centinaio i danneggiati in modo più o meno grave. Nel maggio dell’81 però un decreto dell’allora presidente del Consiglio Arnaldo Forlani classifica come «gravemente danneggiati» (con un grado di distruzione dal 5 al 50% del patrimonio edilizio) oltre 280 comuni: viene ricompresa tutta la provincia di Avellino, Napoli e la popolosissima area metropolitana, 55 comuni del salernitano, 34 del potentino.
 
Entrare o meno nella lista significa soprattutto essere o no destinatari di sontuosi contributi statali. Due intere regioni, la Campania e la Basilicata, e un pezzetto di una terza, la Puglia, risultano «terremotate»: in totale i comuni ammessi alle provvidenze sono 687. Il groviglio inestricabile di leggi e leggine che a vario titolo hanno regolamentato l’opera di ricostruzione ha oggettivamente favorito una richiesta di investimenti sproporzionata alla realtà dei fatti. Il Parlamento ha sfornato trentadue provvedimenti legislativi.

 

 

 


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