Scoperta la verità sui cosmetici cruelty‑free: cosa cambia davvero adesso

07 Agosto 2025   10:03  

Una panoramica completa delle normative, delle certificazioni affidabili, delle innovazioni tecnologiche e dei rischi nascosti legati ai cosmetici cruelty‑free nel 2025.

La crescente attenzione all’etica e al benessere animale ha reso i cosmetici cruelty‑free una scelta sempre più diffusa. Tuttavia, all’interno di un quadro regolatorio stringente come quello europeo, la realtà si rivela più complessa: non tutti i prodotti in vendita possono essere considerati pienamente cruelty‑free, soprattutto quando manca trasparenza lungo la filiera produttiva.

Il termine cruelty‑free indica che né il prodotto finito né i suoi ingredienti sono stati sottoposti a test sugli animali in nessuna fase della produzione. È importante distinguere questo concetto dal termine vegan: un cosmetico può essere cruelty‑free ma contenere ingredienti di origine animale, oppure essere vegano, ma testato su animali se gli standard cruelty‑free non sono rispettati. Per verificare l’autenticità delle affermazioni sul prodotto, è consigliabile affidarsi a certificazioni riconosciute come Leaping Bunny, PETA Cruelty‑Free o VeganOK, o riferirsi a fonti affidabili come la lista LAV.

Dal punto di vista normativo, l’Unione Europea è stata all’avanguardia: dal 2004 è vietato testare cosmetici finiti sugli animali e dal 2013 il divieto si estende anche agli ingredienti e alla commercializzazione di prodotti testati su animali all’esterno dell’UE (Regolamento CE n. 1223/2009). Tuttavia, gap normativi persistono, soprattutto nel contesto della normativa REACH, che impone dati di sicurezza per le sostanze chimiche, a volte ottenuti attraverso test animali. Nel novembre 2023, la Corte ha stabilito che alcune sostanze usate esclusivamente nei cosmetici richiedono informazioni sulle proprietà pericolose, anche se ottenute tramite test animali.

Per far fronte a questi limiti, la Commissione europea ha elaborato un roadmap per eliminare progressivamente i test animali nella valutazione della sicurezza chimica, da finalizzare entro il primo trimestre del 2026. Questa mappa strategica includerà raccomandazioni per integrare i New Approach Methodologies (NAMs) in circa 15 ambiti legislativi, non solo nella normativa cosmetica ma anche nella revisione del regolamento REACH. Sebbene i progressi siano promettenti, l’adozione completa di metodi alternativi richiederà anni, data la necessità di sviluppo e validazione scientifica.

Sul fronte tecnologico, stanno emergendo diverse metodologie alternative per garantire la sicurezza senza ricorrere a test animali: modelli di pelle artificiale, test in vitro su cellule umane, modulazione computazionale, biocip (organi su chip) e altro ancora. A supporto dell’adozione di tali metodi, è stato avviato un master class gratuito online, realizzato da Humane Society International insieme a importanti aziende come L’Oréal, Unilever, P&G e Symrise, volto a formare esperti su alternative non animali nella valutazione di sicurezza.

L’analisi però non è completa senza considerare i rischi nascosti anche nei prodotti etichettati come cruelty‑free. Un’indagine dell’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) ha rilevato la presenza di sostanze tossiche — tra cui PFAS, collegate a effetti nocivi sulla salute umana ed ambientale — in alcuni cosmetici venduti nell’UE, con marchi come LH Cosmetics coinvolti. Inoltre, le affermazioni di marketing come “clean”, “natural” o “cruelty‑free” possono essere fuorvianti se non supportate da evidenze e certificazioni valide.

In sintesi, la scelta di cosmetici cruelty‑free rimane un gesto etico significativo, ma richiede consapevolezza. Il contesto europeo avanza verso pratiche migliori grazie al roadmap verso la fine dei test animali e alle innovazioni tecnologiche, ma serve vigilanza su aspetti normativi, trasparenza e reale efficacia delle certificazioni.


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