Shock in ospedale: annotato come ‘paziente omosex’ sul referto, scoppia la polemica

29 Settembre 2025   16:09  

Un uomo denuncia di essere stato contrassegnato come “omosex” su referto medico, sollevando interrogativi su privacy, diritti e consensi in strutture sanitarie italiane.

Si sente tradito, colpito nella sua dignità e trattato con discriminazione: è quanto afferma il 61enne pescarese Enzo Speranzini Anelli, che nei giorni scorsi ha reso pubblica la sua esperienza all’ospedale di Pescara. Al termine di una visita, la dottoressa incaricata avrebbe, digitando al computer, esclamato ad alta voce: “specifico paziente omosex”. Parole che sarebbero poi state inserite ufficialmente nel documento clinico.

«Un episodio simile non mi era mai capitato in nessun contesto — dichiara — men che meno in ambito sanitario, dove uno si aspetta rispetto, riservatezza e umanità da chi indossa un camice». Secondo l’uomo, quel referto dovrà essere consegnato al reparto di accettazione per le terapie e rimarrà negli archivi. «Ogni volta che sarà consultato, chiunque potrà vedere il marchio “paziente omosex”», aggiunge.

A stretto giro, la Asl di competenza ha risposto con una nota ufficiale, affermando che non è avvenuta alcuna violazione della privacy. Si sostiene che il consenso alla registrazione dell’informazione sia stato richiesto verbalmente, in presenza di testimoni, e ottenuto dall’interessato. Secondo l’azienda sanitaria, il riferimento all’orientamento sessuale non rappresenta un “marchio” offensivo, bensì un “dato anamnestico” utile, secondo la Asl, per «valutazioni epidemiologiche, eventuali profilassi e rischi di trasmissione di patologie sessualmente trasmissibili».

L’Asl difende inoltre che nessun dato sensibile sarebbe stato divulgato a terzi senza autorizzazione, e che l’informazione permane circoscritta al referto, accessibile solo all’interessato. Nonostante ciò, per l’uomo resta forte il peso dell’umiliazione: non tanto per l’uso della parola in sé, quanto per il modo plateale, pubblico e, a suo dire, ingiustificato con cui è stata pronunciata.

Il caso non appare isolato. In Italia, nel 2019, si segnalò un episodio analogo: un ospedale di Alessandria indicò l’omosessualità del paziente subito dopo le allergie, come se si trattasse di un dettaglio clinico rilevante. Anche in quell’occasione, la persona coinvolta si era domandata: perché evidenziare ciò? Che utilità ha tale annotazione se non vi è una motivazione medica concreta?

L’episodio pescarese rilancia questioni delicate: fino a che punto è lecito dettagliare orientamenti sessuali nei referti medici? Qual è il confine tra informazione clinica utile e etichettatura stigmatizzante? E come garantire che il consenso sia espresso in modo libero, consapevole e non condizionato, specialmente in situazioni in cui il paziente si trova in uno stato di fragilità?

Mentre Anelli afferma di non voler intraprendere vie legali al momento, ha annunciato l’intenzione di rivolgersi ai vertici dell’ospedale per chiedere chiarimenti e, se necessario, valutare azioni future. Il caso è ora sotto i riflettori dell’opinione pubblica e delle associazioni per i diritti civili, che dovranno vigilare affinché in ambito sanitario si mantenga un equilibrio tra la raccolta di dati utili e il rispetto della privacy, della sensibilità personale e della dignità dei cittadini.


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