Sisma e psiche. Intervista a Noemi D'Addezio

La rabbia costruttiva del terremotato

14 Maggio 2009   10:03  
Sono oltre 180 le tendopoli sparse nei territori aquilani colpiti dal sisma. Una nuova traumatica dimensione si è sostituita a quella precedente fatta di ricordi, storie, punti di riferimento esistenziali e materiali che da sempre gli esseri umani individuano per identificare le proprie vite. Nel nuovo scenario L’Aquila non esiste più. Per quanto possa essere ricostruita seguendone la fisionomia originaria la città non sarà più la stessa. Qualcosa nel continuum spazio-temporale del centro cittadino si è spezzato per sempre, portando media, terremotati e istituzioni a riferirsi al Capoluogo come a qualcosa che appartiene al passato e che difficilmente potrà essere recuperato. Quanto sia andato definitivamente perduto e quanto si possa in realtà salvare si potrà dire solo fra qualche tempo, quando il polverone emotivo della tragedia si solleverà come un sipario sugli intenti concreti, i programmi e gli scopi effettivi della Ricostruzione. Fino ad allora il clima sarà quello irreale del sogno e della tragedia.

Ma perché il risveglio sia repentino e gli animi pronti a combattere per una realtà edilizia e cittadina maggiormente consapevole, coscienziosa ed etica, è necessario aprire gli occhi sulla devastante pugnalata che il cuore amministrativo della Regione ha subito attraverso il sisma del 6 aprile scorso, quando oltre alle numerose abitazioni delle famiglie abruzzesi sono stati distrutti il Palazzo del Governo, la Prefettura, l’Ospedale, la Casa dello Studente. Simboli di uno Stato che si spezza. Che manca di flessibilità, di contatto con la realtà, di coscienza storica degli avvenimenti. Uno Stato incapace di prevenire il pericolo, e che a fatto compiuto ricorre all’oblio invece di guardarsi allo specchio. Così, martoriato, sfigurato, paradossale e istrionico com’è: un eterno adolescente che s’inginocchia soltanto di fronte alla morte della madre cui ha spezzato il cuore, per poi tornare subito e senza tanti scrupoli a far baldoria con i compagni di sempre.

L’intervista a Noemi D’Addezio, psicologa e psicoterapeuta della Asl aquilana, mette in luce l’importanza di elaborare il lutto cittadino, arrivando a percepire quel potente stato d’animo, chiamato rabbia, che se utilizzato costruttivamente conduce fuori dalla stato di vittima, dando un senso alla tragedia. Un’emozione che incanalata nella giusta direzione produce cambiamento, crescita, evoluzione. Restituire al cittadino traumatizzato (e ad oggi posto ai margini) la competenza della scelta civica e della condivisione sociale dei provvedimenti istituzionali post sismici, significa prendere atto di quella rabbia e far si che si esprima, affinché ciò che è stato venga superato, e soprattutto non si ripeta mai più nella stessa modalità.

Dottoressa D’Addezio quanto è cambiata la sua vita dopo il sisma?

“La mia vita è completamente cambiata. Si tratta di una situazione assolutamente inimmaginabile, che i servizi mediatici non riescono a trasmettere. Qui non c’è più nulla. Non ci sono case, non ci sono istituzioni , non ci sono punti di riferimento, molti non hanno nemmeno più un lavoro. La gente ha perso la propria storia, la propria capacità decisionale, i propri riferimenti ed io con loro.. Abbiamo perso i tempi, i ritmi di vita, i luoghi, tutto. Non si parla più al presente, non diciamo più ‘qui c’è L’Aquila’, ma  ‘qui c’era L’Aquila, qui c’era la banca, qui venivo a lavorare’ e così via..”

Quali sono le sensazioni che predominano nelle tendopoli? Confusione, attesa e senso di incertezza circa il proprio destino sembrano essere stati d’animo piuttosto frequenti stando alle testimonianze di quanti hanno subito il disastro.

“Non è soltanto questo … incertezza e confusione vengono costantemente rinforzate da una serie di messaggi che noi psicologi chiamiamo a  ‘doppio legame’ e ossia incongruenti tra loro, che si contraddicono, si  ‘sconfermano’ a vicenda.  Doppi messaggi del tipo ‘le case saranno ricostruite; i fondi che possiamo stanziare sono limitati’,  ‘ il centro storico verrà ricostruito; il centro storico è da abbattere completamente’, ‘ la vostra casa è agibile; nelle case mancano le utenze’ e così via… Si tratta di una comunicazione frammentata, sgretolata, esattamente come le case abbattute dal sisma, che arriva a persone già confuse, stremate dallo spavento di quanto è successo e di quanto potrebbe succedere. E’ ciò che non si conosce a spaventare di più gli uomini, l’indefinito, il misterioso, lo sconosciuto.. la stessa paura del buio lo dimostra.”

Come si svolge il suo lavoro attualmente? Quali sono le conseguenze che il disastro aquilano ha comportato nella vita dei suoi pazienti ?

“Lavoro come psicologo al Centro di Salute Mentale della Asl locale e per due anni, fino a pochi giorni prima del terremoto, ho gestito, come direttore facente funzioni, il Centro Diurno di riabilitazione psichiatrica del Dipartimento di Salute Mentale dell’Aquila. Entrambi i Centri sono ospitati all’interno di una tendopoli situata nel parcheggio del centro commerciale Il Globo. Un insediamento di circa 1200 persone. Poco dopo il sisma, con i colleghi del Centro di Salute Mentale e una squadra di operatori, ci siamo occupati del censimento dei nostri utenti  sparsi in oltre 180 campi e non so quanti alberghi sulla costa.. siamo riusciti a contattarli tutti riprendendo il nostro lavoro e le  nostre attività di sostegno domiciliare. Purtroppo, molto del lavoro fatto in passato è andato perduto.  Numerosi pazienti avevano finalmente trovato lavoro. Per mezzo di cooperative sociali erano stati inseriti all’interno di attività(guardiole dell’ospedale, trasporto farmaci, gestione piccoli negozi di souvenir..) in grado di restituire loro fiducia e dignità. Oggi si vedono privati di tutto”.

Molti si chiedono se queste persone, psichicamente sofferenti, non abbiano subito uno stress maggiore rispetto agli individui cosiddetti “sani”. Ad ogni modo sono molte le persone che si sono rivolte ad uno psicologo in seguito al sisma.

“I pazienti del Centro hanno sofferto né più né meno di tutta la popolazione aquilana. Vorrei aggiungere inoltre, che tutto questo allarmismo mediatico sul disturbo post traumatico da stress non fa che confondere le idee…. Il disagio c’è, ma non va inquadrato clinicamente, sotto forma di diagnosi. Si tratta di una problematica diffusa, che va alleviata attraverso un’operazione di sostegno psicosociale, a tutta la popolazione coinvolta. Come gruppo di psicologi della Asl stiamo cercando, assieme alla Protezione Civile,  di ottimizzare le risorse che ci giungono dal Paese. Molti colleghi che vengono qui a dare il loro apporto non conoscono la situazione territoriale, fornendo un tipo di lavoro abbastanza decontestualizzato rispetto alle effettive necessità della gente. Ciò che purtroppo alcuni colleghi provenienti da fuori pensano è di dover venire a fornire delle psicoterapie, quando qui già sono presenti specialisti in grado di assicurare questo tipo di sostegno, dobbiamo invece unire gli sforzi per un lavoro psicosociale di Ricostruzione. L’altro aspetto disturbante è la transitorietà della loro permanenza presso i Centri, la ciclicità di certi interventi, ci sono psicoterapeuti che vengono 3 giorni la settimana per poi sospendere la loro attività o essere sostituiti: anche questo è un esempio di comunicazione contraddittoria. ‘Oggi ci sono, domani non più’. Una condotta che rafforza la sensazione del lutto,della perdita, dell’incertezza. E’ importante invece trasmettere il senso della presenza, della costanza, della stabilità professionale”.

Come fare per adattarsi alla nuova realtà?

“Tutti quanti ci stiamo già adattando. Credo che l’uomo sia l’essere più adattabile del mondo. La mia speranza è che, trascorsa questa prima fase di annichilimento e confusione, nelle persone emerga un po’ di rabbia, da utilizzare costruttivamente nel processo della Ricostruzione”.

Una rabbia sana, tesa al raggiungimento di un maggiore rispetto della Cosa pubblica e della Cittadinanza …

“Si. Penso che la cosa più importante sia riconoscere a ogni cittadino la competenza decisionale che gli spetta in merito alla città in cui vive. Tutti dovrebbero partecipare alla Ricostruzione della propria città”.

Ancora una volta però i cittadini sono stati posti al margine della vita istituzionale.

“In un primo momento è stato utile, necessario. Sfollati e feriti hanno dovuto, per forza di cose, appoggiarsi ad agenti, persone e istituzioni esterne alla propria comunità, trovando sostegno e conforto. Ma oggi come oggi il secondo passo è quello di ridare a ognuno la possibilità di rendersi conto personalmente di come stiano effettivamente le cose. Prima di disinfettare o curare una ferita occorre guardarla, vederla. Ai cittadini questo è stato impedito. Tutti vengono a visitare quel che resta dell’Aquila, Berlusconi, la Cucinotta..per noi invece la città rimane chiusa, presidiata militarmente”.

Il sisma ha riaperto la questione morale abruzzese. La gente si arrabbierà davvero questa volta …

“Per il momento ancora non lo è a sufficienza. Ma spero che lo faccia presto”.




Giovanna Di Carlo


 


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