Stato-Mafia, il teste Giuseppe Falcone: "Fui esautorato dal Dap perchè troppo rigido"

09 Aprile 2015   18:21  

 Gli affidarono una sorta di mandato esplorativo per riorganizzare il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, nel 1993, chiedendogli di "prendere in mano la situazione", ma poi Giuseppe Falcone, magistrato all'epoca in servizio al ministero della Giustizia, fu esautorato da qualsiasi incarico,  al suo posto vennero nominati Adalberto Capriotti come capo e Francesco Di Maggio come vice capo del Dap.

Cosi' Falcone, ascoltato oggi come teste al processo sulla presunta trattativa Stato-mafia, ha raccontato i convulsi giorni di ventidue anni fa, in cui il ministro della Giustizia dell'epoca, Giovanni Conso, dopo averlo scelto per la sua intransigenza, gli preferi' Capriotti e soprattutto Di Maggio, morto nel 1996 e ritenuto dalla Procura di Palermo al centro del delicato meccanismo degli accordi illeciti tra pezzi di Cosa nostra e uomini delle Istituzioni per far cessare la stagione delle stragi. 

Giuseppe Falcone, oggi procuratore generale dell'Aquila, sarebbe dovuto subentrare a Nicolo' Amato, la cui inimicizia con il presidente della Repubblica dell'epoca, Oscar Luigi Scalfaro, era nota sin da quando quest'ultimo era ministro degli Interni.

Gli avvicendamenti al Dipartimento, sempre secondo le tesi della Procura, avrebbero portato, al mancato rinnovo per 334 detenuti, del regime di carcere duro del 41 bis.

Ma proprio di questo aspetto Falcone, che ha risposto alle domande del pm Vittorio Teresi, non ebbe mai ad occuparsi. Duro' solo tre giorni, il mandato affidato al magistrato: "Poi - ha detto Falcone in aula - Conso mi riconvoco' ed era sempre piu' agitato. Mi disse che si tornava indietro. Non capii mai il senso di quei miei tre giorni al Dap.

Di Maggio non aveva esperienza, ne' aveva i titoli per essere nominato".

Il teste, che ha deposto davanti alla Corte d'assise di Palermo, ha raccontato anche di avere appreso che monsignor Curioni, capo dei cappellani delle carceri, anche lui poi deceduto, "ebbe un colloquio con il presidente Scalfaro, al quale disse che era meglio evitare la mia nomina per la mia rigidita'".


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