Tasse, il giornalista Esposito a Chiodi: "Si dimetta ora, non aspetti soluzioni soddisfacenti"

07 Novembre 2011   10:26  

"Non aspetti - come dice - la 'soluzione soddisfacente' che e' solo una, quella definitiva, per la restituzione delle tasse da parte dei suoi concittadini aquilani. Si dimetta ora, governatore Chiodi da commissario per la ricostruzione dell'Aquila e dei centri del cratere, per dire con chiarezza agli aquilani che hanno ormai diritto alla stabilita', almeno nei loro conti con lo Stato, con una legge analoga a quella a suo tempo riservata alle popolazioni dell'Umbria e delle Marche". E' quanto scrive in una lettera aperta al presidente Gianni Chiodi lo storico e giornalista aquilano, Amedeo Esposito.

"Accolga questo sereno, sommesso invito, scevro da ogni partigianeria, poiche' - scrive Esposito - le viene rivolto, come puo' presumere, a nome di tutti i cittadini aquilani, nessuno escluso, i quali attendono di conoscere, anche se e' inammissibile, il loro destino che dipende, come ognuno sa, dalla sopravvivenza economica (appunto dall'equa restituzione delle tasse), oltreche' dalla ricostruzione della loro citta' com'era e dov'era. Per rialzarsi, non per 'risorgere' come si va dicendo, dopo essere stati sopraffatti dalle macerie del terremoto'. 'Cio' che abbellisce il deserto e' che nasconde un pozzo in qualche luogo', per dirla con Antoine de Saint-Exupery. Saperlo, Signor Commissario, 'dimissionario per amore' verso i suoi concittadini in questo momento piu' deboli (e dunque anche piu' disorientati e rissosi) potrebbe rappresentare per loro il 'pozzo ideale' che da tre anni cercano nell'arido e nemico deserto della burocrazia. Ed in cio' avrebbe la solidarieta', ne siamo certi, dell' 'amico dell'Abruzzo' Gianni Letta, il quale - ricorda Amedeo Esposito - con la sua felice penna di giovanissimo giornalista seppe unirsi ai coltivatori diretti in lotta per l'assegnazione delle tanto attese terre del Fucino. Non vi fu nulla di esasperato in quel che scrisse, ma di certo fu fermo e deciso contro anche coloro che quelle istanze portarono in Parlamento, non meno che entro il governo del tempo. Aver letto delle sue determinazioni, maturate fuori da ogni contesto istituzionale per non essere costretto a cambiare la verita', ha convinto tanti a ritenere che il suo sarebbe un gesto di vera saggezza. Si dimetta, dunque, Signor Commissario - conclude la lettera dello storico e giornalista - condividendo cosi', senza far torto ad alcuno, con l'autorita' che le compete, le ragioni incontrovertibili dei suoi concittadini che anelano ad uscire dal loro profondo 'male oscuro'".


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