Telecamere antibulli e 5 in condotta. Meglio punire che curare?

Identikit di un ragazzo ''difficile''

20 Gennaio 2009   13:26  
Palpeggiamenti, soprusi, violenze, accoltellamenti e sprangate, cellulari sempre pronti ad immortalare ogni sorta di bravata, e soprattutto tanto, troppo disincanto. E' questo il ritratto delle scolaresche italiane che i media restituiscono alla collettività. Mai un episodio da onorare, un atto di solidarietà da diffondere, un comportamento da premiare ed esaltare. Stando al racconto televisivo le nuove generazioni non hanno rispetto, per se stesse, per la famiglia, per gli insegnanti, e chi più ne ha più ne metta. Il giovane è quello che non lascia il posto all'anziano sull'autobus, quello che butta la gomma a terra o che con fare furtivo la appiccica sotto il banco, quello che non sa dire buongiorno e parla a voce alta, irreggimentato dalle mode e ispirato dalla musica satanica.

Il bullo poi è sempre figlio degli altri, possibilmente straniero o nato e cresciuto in qualche lorda periferia italiana al confine con il nulla o la malvivenza. Sempre pronto ad irretire, persuadere o minacciare i nostri figli che invidia con fare distruttivo. Che fare allora con lui? Seguirlo tramite la consulenza di uno specialista? Parlare ciclicamente con la famiglia al fine di creargli attorno una rete protettiva che contenga le tensioni che rivolge contro se stesso e chi lo circonda? Punirlo mediante l'educazione costringendolo magari a ripulire i muri che imbratta o ad aggiustare gli oggetti che scaglia addosso ai compagni? Evitare di lasciare incustodite scolaresche e aule dando un supporto a docenti e bidelli? Niente di tutto questo. Perlomeno non in prima analisi. Occorre fermare il bullo . Sorvegliarlo, minacciarlo di esclusione, bocciarlo, mandarlo via: se la vedrà un altro insegnante ammesso che abbia la forza e la voglia di tornare a scuola.

TELECAMERE E BOCCIATURA COME DETERRENTI

Contro il bullismo e la violenza di alcuni studenti il ministro dell'Istruzione Maria Stella Gelmini propone telecamere e bocciatura con il 5 in condotta. Si tratta di un sistema che dovrebbe funzionare da deterrente contro quanti pensano di poter dare sfogo ai propri impulsi durante le ore di scuola. Occhio elettronico e perdita dell'anno scolastico dovrebbero, secondo tale approccio, dissuadere i bulli dal deviare, e proteggere gli altri studenti dalle malefatte dei temibili compagni di classe. Una soluzione che non dispiace al Coordinamento genitori "democratici", i quali per mezzo del presidente Angela Nava si sono detti favorevoli alla presenza del grande fratello negli edifici scolastici: "In un clima di violenze che si ripetono le telecamere sarebbero accolte con favore dalle famiglie. Anche se questo ci fa un po’ paura: vuol dire che ormai i modelli educativi esistenti non bastano più a contrastare il bullismo". Di parere affine ma più sospettoso il presidente dell' Age, Davide Guarnieri, che accogliendo il ricorso alle telecamere ricorda come la scuola sia prima di tutto luogo educativo volto a prevenire certi comportamenti più che a reprimerli. Un tiepido si giunge anche dal presidente dell' Associazione nazionale presidi, Giorgio Rembado, il quale si dice non contrario allo "strumento", indicandolo come utile ma non risolutivo. Assolutamente contraria l'opposizione: il ministro ombra alle politiche giovanili del Pd Pina Picierno muove aspre critiche al provvedimento espresso dalla Gelmini, esortandola non senza una punta di ironia ad occuparsi del "reperimento delle risorse per la garanzia costituzionale del diritto allo studio e della sicurezza degli edifici scolastici", piuttosto di "proporre improbabili soluzioni al bullismo trasformando le classi nel set del Grande Fratello".

IL BULLO CERCA ATTENZIONE, ANCHE QUELLA DELL'OCCHIO ELETTRONICO

Spesso confuso da media e istituzioni con il teppista o il "vandalo"(la cui valvola di sfogo non è il coetaneo, ma i simboli del mondo adulto), il bullo è in realtà un soggetto "seriamente problematico", sprovvisto di empatia e autocontrollo, che reagisce con l'aggressione alla frustrazione delle proprie aspettative. Senza nulla togliere al dolore e alla paura subita dai coetanei, occorre considerare il comportamento di tali soggetti come al limite della psicopatologia. Si tratta di aspetti comportamentali che possono infatti rappresentare i segnali di un vero e proprio disturbo della personalità. Tra gli adolescenti sempre pronti a subire il fascino degli eccessi, questi ragazzi considerati troppo reattivi e vivaci possono risultare popolari, ma nell'età adulta la medaglia si rovescia e la problematica emerge per quella che è, portandoli a scontrarsi con un tessuto sociale che non sanno affrontare, che li squadra cinicamente e che spesso di riflesso rifiutano.

Quando non trae origine dalla problematica psicologica, il bullismo viene spesso ricondotto a contesti familiari dove la devianza viene incoraggiata, e l'educazione ricevuta contrasta nettamente con quella fornita e riconosciuta dalla collettività. Che sia un malessere interno o una questione sociale la sostanza non cambia: il bullo non sa comunicare nè esprimere la propria natura come i compagni, e procede per gesti estremi, provocatori, spesso insensati ma di effetto, per imprimersi nella mente di chi avverte come troppo distante da sè. Spesso autodistruttivo, non teme il 5 in condotta che va a confermare la sua natura di "irriducibile" tantomeno la telecamera capace di immortalare le sue gesta. La vendetta del sistema semmai lo esalta, lo carica, lo giustifica.

"COMUNICAZIONE E CONDIVISIONE LE STRADE DA PERCORRERE"

Secondo la dottoressa Maria Beatrice Toro,direttore scientifico della “Fondazione Movimento Bambino”, l’ipotesi di rispondere all'episodio di bullismo in modo esclusivamente sanzionatorio deve essere superata: "il desiderio dei ragazzi, anche quello delle vittime, non è quello che i bulli vengano puniti, quanto quello di vivere liberi dalle loro vessazioni, ripristinando delle modalità di dialogo che consentano loro di stare insieme senza correre il rischio di essere trattati in modo violento o catalogati come perdenti da umiliare".

In un dossier sul disagio adolescenziale la psicologa e psicoterapeuta punta su dialogo e condivisione per ridimensionare e curare il bullismo giovanile: "ci sono Paesi come l’Australia, dove il bullismo è ben conosciuto grazie alle numerose ricerche svolte sul campo, nei quali ragazzi, genitori, insegnanti hanno l’abitudine di comunicare in tanti modi, dalle lettere all’sms, riunirsi,confrontarsi per condividere un codice di condotta unitario. In tale modo si crea un clima di collaborazione e di dialogo e può emergere il ruolo più positivo del gruppo, che è anche quello di contenere le aggressività e convogliarle in modalità espressive accettabili".

Il bullo non va pertanto evitato, temuto, o giudicato, ma affrontato, coinvolto, conosciuto. Attraversato e neutralizzato dallo sguardo consapevole e fermo di una Comunità sinceramente interessata al suo recupero. Telecamere e bocciatura non possono fungere da deterrente per quanti cercano l'ebbrezza della sfida e mostrano di non amarsi. Il capitale umano fornito da insegnanti presenti e autorevoli e la disponibilità delle famiglie a riconoscere il problema del figlio, sono le uniche strade percorribili affinchè la punizione non assuma il sapore della vendetta istituzionale e dell’esclusione sociale tanto rimproverate al sistema americano.




Giovanna Di Carlo

 

 


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