Toni Capuozzo e quel reportage terra terra...

16 Giugno 2010   14:23  

Dal 17 al 20 giugno la città di Atri sarà la suggestiva cornice del Festival del Reportage, Il suo direttore è nientemeno che Toni Capuozzo, punta di diamante della scuderia dei giornalisti Mediaset.
E a tal proposito, per completezza d'informazione, ripubblichiamo la riflessione di un aquilano, scritta dopo aver visto la trasmissione ''Terra'' di Toni Capuozzo del 19 novembre 2009, sulla miracolosa ricostruzione del capoluogo d'Abruzzo  a seguito del sisma del sei aprile.

Ieri sera ho visto la trasmissione Terra e sono rimasto di sale.

'' Sono uno qualunque. Uno di noi, di questa grande famiglia ferita, abitante di un contesto non più riconoscibile.

Una delle mie poche virtù è stata sicuramente la pazienza: ed è sotto questo ombrello che mi sono riparato dalla pioggia dei presunti interventi fattivi e tangibili che sono stati la risposta operativa dell’Italia e del suo braccio esecutivo nella mia città dopo il disastro, perché quello è stato ed è ancora.
L’esodo verso la costa, le tende, l’autonoma sistemazione, le ordinanze, i manifesti con “gli strumenti per ripartire”, il piano C.A.S.E., i Map, i Musp, il problema del Centro Storico, la micro zonazione, la ricostruzione leggera e no.
Questo è stato il nostro passato più recente ed è il nostro presente. Questa è la storia ultima, di una città che era sconosciuta ai più e che brillava di una fioca ma propria luce, di cui oggi solamente, si prova nostalgia.

Sono uno qualunque, di quelli che lavorano ancora qui, che è uscito dalle macerie della sua abitazione, che si fatto un paio di passate in ospedale, che ha lavorato maggio e giugno con un amico e collega in un garage o con un portatile in macchina, che si è posto mille domande e che non ha protestato, quando le risposte che venivano dall’alto, dagli spacciatori dei presunti “strumenti per ripartire”, erano evasive o non condivisibili.
Faccio l’architetto…. anzi in genere rispondo, a chi me lo chiedeva anche prima, che - cerco di fare l’architetto.
Ieri sera ho visto la trasmissione Terra e sono rimasto di sale.

Il cronista, a braccio, ha imboccato gli ascoltatori di tutta Italia con un prologo di notizie rassicuranti circa i risultati ottenuti ad argine della catastrofe, che potevano sembrare basse montature di una certa televisione allineata, se non fossero state invece provate dall’entusiasmo e dalla gratitudine degli intervistati. Somma meraviglia anche dello staff di Terra. Un risultato positivo da portare sicuramente all’attenzione del Paese. Così diceva il conduttore.

Posto che Capuozzo è stato forse l’unico che ha, diciamo, zummato più degli altri sul centro storico, non evitando, dico io, certe panoramiche scomode che avrebbero dato all’Italia la vera e cruda immagine dell’accaduto: posto questo, l’ottimismo registrato ieri in trasmissione da parte dei pochi fortunati inquilini delle casette governative, degli studenti intervistati, dei commercianti che non si sono arresi, non è sicuramente il polso della situazione.

E allora forse è il caso di lanciare una boa in questo mare di ottimismo. Fornire argomenti “altri” su cui imbastire magari “altre” e diverse trasmissioni televisive.

Parlando di ieri, a proposito della puntata di Terra e parlando a chi l’ha seguita, dico subito che 4.000 contenti su circa 70.000 abitanti non mi sembra un grande risultato, e quando sarà completato l’ultimo di questi disastri urbanistici, i contenti saranno 15.000 a fronte, sempre, dei circa 70.000.

Diciamo che le ordinanze per la ricostruzione sono ancora in via di definizione (gli ultimi chiarimenti, assolutamente ancora non esaustivi, sono del 16.11.09) e che la trafila della presentazione dei progetti, passa attraverso le forche caudine di tre entità non meglio definite: fintecna, reluis, cineas, che controllano, analizzano, e smembrano, in mere cifre, il nostro lavoro sul campo. Giudicano e “osservano”, cioè rimandano indietro, dalle scrivanie di mezza Italia (cineas), il nostro operato professionale, giurato o asseverato, trattandoci di fatto come dei maldestri ladruncoli. Diciamo che il centro storico è stato blindato fino alla metà di giugno, sotto la scusa dello sciame sismico, che impediva la “messa in sicurezza” di fabbricati ancora in buono stato di conservazione ma non il recupero dei beni. Ti davano la possibilità di recuperare parte di ciò che ti era stato strappato e il nostro cervello, concentrato su ciò che d’indispensabile ti veniva dato modo di riprendere, non si faceva altre domande.

Diciamo che due giorni dopo il terremoto 150 architetti e 220 ingegneri aquilani si sono messi a disposizione del D.P.C. per andare quanto meno a verificare, visionare l’entità del disastro, magari a fare solo da manovalanza, ma esperta di un territorio  conosciuto palmo a palmo, alle schiere di esperti fasulli che già ingombravano le sale di controllo e comando. Nessuna risposta.
Diciamo anche che chi si è presentato, all’indomani dell’accaduto, con un progetto preconfezionato in tasca e ci ha rassicurato circa la possibilità di saltare la “fase container”, ha di fatto provocato delle vane aspettative e psicologicamente ha scollato il fattore tempo dall’entità del problema.

Questo il punto. Tutto il “sistema salvagente” , o D.P.C. che sia, nei primi mesi successivi, ha fatto di tutto per negare la corrispondenza più che proporzionale tra il disastro, tempo e il denaro per farvi fronte. Come? Disperdendo gli spettatori, non dando visibilità all’estensione della tragedia, mettendo in cantiere il piano C.A.S.E.,  blindando il centro storico.
…..
Mi accorgo adesso del fare scomposto di queste poche righe e quindi in nome della mia pazienza mi fermo e mi passa per la testa di aspettare la seconda puntata di Terra per vedere se Capuozzo ha la faccia per parlare anche di questo.

Mi ricordo poi di una giornalista e di una telecamera gli ultimi giorni di luglio, uscito da un palazzo che stavamo puntellando. Ci aveva colto una “scossetta” all’interno del cantiere ed eravamo rimasti impietriti mentre pioveva solo polvere e tanta fortuna. La giornalista mi aveva chiesto lumi sulla situazione ed io, un po’ emozionato dall’occhio meccanico che mi fissava, ero riuscito comunque a rendere un quadro reale ed abbastanza obbiettivo di ciò che stavamo vivendo sul campo,  spaziando dai problemi del centro a quelli delle periferie e riferendo anche delle mie preoccupazioni circa l’approccio all’enorme problema ed alla scarsa visibilità mediatica data al “cuore del problema”, e cioè la mancata documentazione televisiva sull’effettiva entità dei danni e sul fatto che si parlava ancora ed impropriamente di terremoto d’Abruzzo. A telecamera spenta ed intervista finita chiesi alla gentile giornalista se a suo avviso questa chiacchierata sarebbe andata in onda.
Mi fu risposto - Non ne sarei così sicura… -.

Bhè, è per questo motivo che non voglio smettere, non voglio più aspettare il cambiamento di rotta, ora che siamo dimenticati, ora che sappiamo che anche i giornalisti del G8 venivano fatti passare in percorsi predefiniti ed allungati ad arte che, come le rotaie di un trenino teleguidato da luna park, ti facevano ammirare i contesti multicolori ma non le macchine puzzolenti e maltenute che li muovevano. Si passava, attraverso i segni tangibili della ricostruzione, a Cese, ignorando i disastri del centro. Non il centro aperto al pubblico, il percorso da zoo-safari di C.so Federico II fino in Piazza Duomo ed oltre. Non la fotografatissima Chiesa delle Anime Sante, emblema dello sforzo e della professionalità, solo e soltanto di chi ci ha così alacremente lavorato. Vorrei continuare a parlare di ciò che non si vede. Di tutto quello che non appare o che è ci è stato nascosto dalla (in questo efficientissima e pilotata) macchina mediatica.

Da tutta Italia, organizzati in autobus, sciami di turisti vengono a provare le piccole scosse emozionali del panorama ufficiale del post terremoto. Si fermano a Viale Crispi, breve caffè al chioschetto e poi, in falso piano, attraverso il corso basso, in sicurezza fino in Piazza. Qualche clik alle Anime Sante ed al suo ombrello di fibra, qualche sbirciatina attraverso le transenne che opportunamente celano i disastri dimenticati e poi una passeggiata lungo i portici e magari una puntata a S.Bernardino ad ammirare lo scempio della puntellatura “in appoggio” della Edmondo De Amicis. Nessuno di loro e purtroppo anche di noi si rende conto, per esempio, delle condizioni del Duomo. Il Duomo della Città. Pensiamo al Duomo di Firenze, Di Siena, Di Venezia. Sicuramente il nostro è di secondaria fattura architettonica ma non di certo secondario quanto a significato simbolico. Il Duomo dell’Aquila, la cattedrale di S.Massimo, è nelle stesse condizioni dal sei di aprile se non in uno stato peggiore. Nulla è stato fatto.

Perché?

Non riesco a dare una risposta che non possa essere letta come strumentale e demagogica. Dico solo che la ferita del Duomo non è stata sanata ma neanche fasciata.
Giace come un ferito, in una guerra di decimati eserciti dove l’ufficiale medico è morto eroicamente sul campo? Se fosse così non ci sarebbe nulla da eccepire.

Il fatto è, secondo la mia personale opinione, che il danno è prospetticamente non avvertibile. Lontano dagli occhi lontano dal cuore, si dice, e intanto gira la giostra delle assegnazioni del prestigioso incarico di restauro. Da Piazza Duomo non si vede.
L’occhio attento che si avvicina alle transenne del Bar Nurzia e guarda verso ovest scorge solo assenza di volume. La verità è che la Cattedrale è in condizioni disastrose e non è stata neanche coperta.

Basta.

Ognuno faccia la sua piccola e positiva rivoluzione silenziosa, perché, ricordando altre tragedie come le due guerre mondiali del secolo scorso, e paragonandole, almeno come risultati sul territorio, a quello che ci è successo il 6 d’aprile, si potrebbe fare questa considerazione: lo stato maggiore dell’esercito italiano è stato sempre inadeguato e poco preparato dal punto di vista tattico-strategico. Le due guerre sono state però una infinita serie di personali atti di eroismo ed abnegazione del singolo fante.
Io mi sento uno di quei fanti quando ripenso all’ultima trasmissione di Bruno Vespa (aquilano), trasformata quasi in un soliloquio del Presidente del Consiglio in merito ad argomenti altri pur in presenza del Sindaco dell’Aquila. Mi sento uno di quei fanti quando penso alla mia casa, alle bare allineate in caserma, alle facce bruciate dei miei  concittadini, attoniti spettatori di tutta quella forzata pace eterna. Quando penso alle assurde imposizioni e ai rossi perimetri di comodo, al contesto che ormai è solo storia di uomini e non di luoghi, a questa città di visi e di occhi e non più quella di strade e palazzi.

Alla prossima settimana, Capuozzo. Guarderò solo quello che mi mostrerai.

F.


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