Un'ordinanza maldestra che mina la credibilità dell'inchiesta

da Repubblica.it il commento di Carlo Bonini

25 Dicembre 2008   08:27  
di CARLO BONINI

CON LA TERZA ordinanza in nove giorni (del 15 dicembre è il provvedimento di cattura; del 22 dicembre la liberazione di Guido Dezio; di oggi quella di Luciano D'Alfonso), il giudice dell'indagine preliminare Luca De Ninis allunga sulla vicenda pescarese un'ombra definitiva.

Nel tentativo affannoso di rimettere insieme i pezzi di ciò che non si può più aggiustare, il magistrato - evidentemente tormentato dalla decisione che ha assunto, dalle conseguenze che verosimilmente porterà con sé - si avventura in un'ennesima, fatale, capriola. Prova a sostenere in un ultimo provvedimento tutto e il suo contrario: di non aver contraddetto le conclusioni della pubblica accusa (cui ribadisce ora piena adesione); di non aver corretto se stesso e il proprio giudizio; di riconsegnare dunque alla libertà l'ex sindaco soltanto perché non più capace di inquinare le prove (una condizione, questa, in cui, per altro, Luciano D'Alfonso si trovava già il 9 dicembre scorso, quando, ancora da uomo libero, aveva consegnato ai suoi magistrati la propria lettera di dimissioni, soltanto per ottenerne, proprio dal gip, una sdegnata censura - "dimissioni strategiche").

L'ordinanza del gip è maldestra. A tratti persino stupefacente, per gli argomenti tecnici cui fa ricorso.
Accade infatti che per otto, delle nove pagine che motivano il provvedimento, il magistrato spieghi di non aver in realtà cambiato idea su quanto raccolto nell'istruttoria dal pubblico ministero Gennaro Varone. "In termini di gravità indiziaria - scrive - il quadro accusatorio, già integralmente condiviso da questo gip, rimane nel suo complesso confermato e, anzi, sotto taluni aspetti rafforzato". Di essere stato insomma male interpretato quando, nel rimettere in libertà Dezio (presunto sodale di D'Alfonso nella congerie di corruzioni di cui si sarebbero resi responsabili) ha parlato di "ridimensionamento del quadro indiziario", di "affievolimento" e "svilimento" delle due principali ipotesi accusatorie: l'associazione per delinquere e la corruzione. Ma per compiere un passaggio di questa portata (De Ninis libera un indagato della cui colpevolezza ora sarebbe sempre più convinto) e superarlo, il gip ricorre a una sin qui ignota categoria del diritto e della logica. "La valutazione della gravità concreta degli indizi di colpevolezza in relazione ai riflessi che ne derivano sul pericolo di inquinamento probatorio". "Mi riferivo a quella - argomenta il magistrato - quando parlavo di ridimensionamento del quadro indiziario".


In verità, a cosa davvero si riferisca il magistrato non è chiaro. Normalmente, gli indizi o esistono o non esistono. Una corruzione o un'associazione per delinquere o sono sorrette da indizi gravi e concordanti o non lo sono. Ma non per De Ninis, evidentemente.

Non è tutto. Per tornare a sostenere che gli indizi di una corruzione esistono (nel liberare Dezio aveva parlato di "necessaria riqualificazione delle condotte", e dunque di presunte corruzioni che scolorivano in "finanziamenti illeciti dei partiti"), il gip spiega che, nelle ventiquattro ore successive alla "appassionata difesa dell'ex sindaco", nuove testimonianze prodotte dal pm ne hanno nuovamente contraddetto la sostanza, ridando fiato all'accusa.

In realtà, non esistono nuove testimonianze. Perché quello che accade dopo la liberazione di Dezio è solo il disperato tentativo di un pm di riconvocare testimoni di fronte a sé per puntualizzare e ribadire quel che hanno già detto in istruttoria: D'Alfonso avrebbe mentito. A cominciare dai lavori di ristrutturazione gratuita del proprio appartamento.

E' vero dunque dell'altro. Che il gip sente di doversi giustificare con la Procura della Repubblica che nel suo parere contrario alla scarcerazione di D'Alfonso lo ha accusato di uno sguardo superficiale agli atti istruttori. Cosa che del resto, almeno in una circostanza, il magistrato finisce con l'ammettere. "In un fascicolo processuale di 30 faldoni - scrive - un dettaglio francamente mi è sfuggito". Un dettaglio che, per l'accusa, rafforzerebbe l'ipotesi di corruzione o, quantomeno, di illegittimità amministrativa in uno degli appalti che l'ex sindaco avrebbe barattato. Cambiare idea non è colpa di cui vergognarsi. Commettere un errore è umano e fisiologico. Negare che sia accaduto l'uno o l'altro può essere esiziale. Luca De Ninis sembra purtroppo aver scelto quest'ultima strada. E l'inchiesta di Pescara, quale che ne sia il suo esito futuro, non potrà che rimanerne gravemente compromessa. A cominciare dalla sua credibilità.

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