Vi racconto la fede di Obama

di mons. Giovanni D'Ercole

19 Febbraio 2011   13:01  
Mi è capitato di prendere parte la scorsa settimana ad un evento americano che nella cattolica Italia sarebbe oggi inimmaginabile:il National Prayer Breakfast , incontro che si ripete da 59 anni e che raccoglie deputati e senatori americani con membri del governo federale e rappresentanti della politica, della cultura e delle religioni provenienti dal mondo intero.

In verità ogni giovedì in una sala del Senato, non lontano dalla Casa Bianca, si tiene il Prayer Breakfast a cui prendono parte senatori e membri del Congresso democratici e repubblicani: una singolare colazione che non è di lavoro ma di “preghiera”. Un modo per cercare di capirsi e di ricercare l’intesa al di là delle differenze politiche facendo appello al messaggio universale di Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio incarnato per i cristiani e personaggio modello di comunione e di pace per altri appartenenti ad altre confessioni religiose.

Ma il giovedì della prima settimana di febbraio ogni anno diventa un evento straordinario per il numero di partecipanti, per la presenza di personalità del mondo e soprattutto perché interviene il Presidente degli Stati Uniti. Se fosse possibile replicare il Nationa Prayer Breakfast in Italia, ne guadagnerebbe la nostra politica, ma da noi purtroppo la fede, sempre più, è da confinare dentro le Chiese e guai a farne cenno in pubblico: sarebbe attacco alla laicità.

Eppure gli Americani hanno appreso la fede cristiana proprio da quella stessa Europa che di recente, grazie a stati cattolici tra i quali il Portogallo l’Irlanda, la Spagna e il Belgio, ha respinto la mozione presentata dall’Italia sugli attacchi ricorrenti ai cristiani, la cristianofobia.

Che succederebbe se un giorno il nostro capo di stato o di governo parlassero così in pubblico, come il Presidente Barak Obama? Il quale ha affermato che se in famiglia non ha avuto una vera educazione religiosa, da giovane ha cominciato ad approfondire la fede e a frequentare la comunità cristiana sino ad accettare “Gesù come Signore e Salvatore della mia vita”.

La fede – ha detto – è stata e rimane il pilastro della mia vita, che si è approfondita poi con l’esperienza della Presidenza e c’è una parola del Vangelo che mi guida: “Cercate prima il regno di Dio e il resto vi sarà dato in sovrappiù”. Si è chiesto poi: “Cosa domando a Dio innanzitutto nella preghiera? La pazienza”.

E “la mia preghiera si dirige in tre direzioni, come tre precise categorie: prego perché io possa aiutare chi soffre. Non passa giorno che non ci sia almeno una persona che mi chiede aiuto. Ho sempre davanti a me il testo di Isaia del servo sofferente e la passione di Gesù. Prego inoltre perché io possa essere umile nella mia condotta. Il libro di Giobbe mi ispira: Noi non possiamo intendere tutti i misteri di Dio: per questo dobbiamo rimanere umili dinanzi a Lui. E infine prego perché io possa camminare a fianco di Dio. Ogni sera devo chiedere perdono a Dio per la mia incapacità di corrispondere alla sua parola. E Gli chiedo di aprire sempre nuove vie che io possa seguire, perché voglio dare a Dio nuove possibilità nella mia vita”.

Ha confidato che tutte le mattine nella stanza ovale della Casa Bianca “con due colleghi deputati preghiamo ispirati dalla parola di Dio. E’ un tempo meraviglioso al quale non rinuncio”. Ha concluso così: “Il mio vivo desiderio è essere corretto con Dio e con il popolo americano”. Dobbiamo andare a statisti come De Gasperi e il sindaco di Firenze La Pira per riascoltare parole del genere.

Non so se alla preghiera segue sempre nelle scelte politiche di Obama un’azione coerente, ma certo il coraggio di dire in pubblico la sua fede è un gesto che traduce il senso vero della “laicità”e della libertà radicata nel popolo americano, ben lungi dal laicismo che da noi sembra sempre più irretire le coscienze. Quanto vera è l’affermazione che Randal Wallace, scrittore e regista, aveva fatto poco prima:” la fede è fondamentale nella costruzione di un destino di libertà”.

* Vescovo ausiliare dell'Aquila

Testo di un intervento pubblicato sul settimanale "Il Punto"

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