Crocetta fa ricorso contro l'aumento del bollo per finanziare la ricostruzione abruzzese

Il Pdl aquilano: ''Sciacallaggio!''

26 Agosto 2013   12:33  

Il presidente della Regione Sicilia Rosario Crocetta ha  fatto ricorso alla Corte Costituzionale contro il finanziamento della ricostruzione dell’Aquila tramite l’aumento dell’imposta di bollo.

La legge è quella del 24 giugno 2013 che convertiva il decreto legge “Disposizioni urgenti per il rilancio dell’area industriale di Piombino, di contrasto ad emergenze ambientali, in favore delle zone terremotate del maggio 2012 e per accelerare la ricostruzione in Abruzzo e la realizzazione degli interventi per Expo 2015”.

Il ricorso di Crocetta riguarda solo l’articolo 7 bis che rifinanziava proprio la ricostruzione privata nei comuni della Regione Abruzzo colpiti dagli eventi sismici del 2009. Aumentando l'imposta del bollo, al fine di generare maggiori entrate per 98,6 milioni di euro nel 2013 e di 197,2 milioni di euro dal 2014 in poi.

Crocetta contesta il fatto l’imposta sul bollo è secondo lo Statuto della Regione Sicilia, ''un tributo erariali di spettanza regionale'', e dunque vanno spesi in Siclia e non altrove. Una decisione pertanto incostituzionale, in quanto viola lo Statuto d’autonomia della Regione Sicilia.

La notizia, pubblicata sul quotidiano Libero a firma di Fosca Bincher già provoca veementi reazioni in Abruzzo. Il coordinatore provinciale del Pdl Alfonso Magliocco definisce ad esempio la decisione del governatore Crocetta un vero eprorio atto di sciacallaggio''.

''Basta sciacallaggi! Crocetta vuole fare cassa sul terremoto dell’Aquila…faccia retromarcia oppure devolva le risorse dei beni confiscati alla mafia!

Secondo Crocetta essendo l’aumento dell’imposta valido su tutto il territorio nazionale (la legge non fa distinzioni), tale surplus dovrebbe rimanere nelle casse della Regione Sicilia così come previsto dall’autonomia statutaria dell’ente e non può essere destinato alla ricostruzione dell’Aquila.

Ora, premesso che l’aumento disposto è finalizzato al ripristino dei danni causati dal sisma del 2009 e che, altrimenti, non vi sarebbe stato, sembra assurdo che Crocetta rivendichi per la Sicilia risorse che diversamente non sarebbero mai esistite.

Si tratta di un atto di sciacallaggio vero e proprio che non ha bisogno di ulteriori giustificazioni e che forse nasconde la necessità di fare cassa, in una Regione che non spicca certo per efficienza e conti in ordine e che pesa sulle spalle di TUTTI GLI ITALIANI!

Inoltre, se l’autonomia finanziaria prevista dalla costituzione (Regione a statuto speciale) non permette uno slancio di solidarietà nei confronti dei cittadini aquilani, Crocetta ci spieghi il perché tale ragionamento non funzioni al contrario e , quindi, risulti un atto dovuto il trasferimento di risorse da parte dello Stato (e quindi pagati con i soldi di tutti i contribuenti italiani) per scongiurare il default della Sicilia (900 milioni di euro nel 2012).

Oppure ci dica se il Belice è stato ricostruito soltanto con risorse locali oppure grazie all’intervento solidaristico di tutti gli italiani, quella stessa solidarietà che ora viene negata all’Aquila!

Ci aspettiamo da parte di Crocetta una retromarcia immediata in grado di ripristinare in parte un principio di giustizia ed equità su cui siamo certi i cittadini siciliani saranno d’accordo!

In caso contrario e a giusta compensazione del danno inferto ai cittadini aquilani, chiederemo che tutte le risorse derivanti dai beni confiscati alla mafia vengano destinati alla ricostruzione dell’Aquila e del suo territorio, in quanto il far parte di uno Stato non prevede solo diritti ma anche e soprattutto doveri….e la ricostruzione dell’Aquila, così come avvenuto in casi analoghi, è un dovere di tutti!''

 

E a proposito di Sicila, terremoti e ricostruzioni, a seguire un esplicativo articolo del Sole 24ore a firma di Giacomo di Girolamo

BELICE, 45 ANNI DOPO IL TERREMOTO SI PARLA ANCORA DI RICOSTRUZIONE

di Giacomo di Girolamo


Quarantacinque anni e sentirli tutti. Era la notte tra il 14 e il 15 gennaio del 1968 quando un violento terremoto devastò la Sicilia sud - occidentale.

Gibellina, Salaparuta, Vita, Poggioreale, Santa Ninfa, paesi di povera gente, scomparvero dalla carta geografica. Altri, come Calatafimi e Salemi furono rasi al suolo.

370 persone morirono sotto le macerie. I senza tetto furono 90mila.

Gli inviati del telegiornale scoprirono che esisteva anche questo pezzo d'Italia, povero, poverissimo, di pastori e latifondi, di gente umile, dall'italiano stentato, i volti scuri: il Belìce, con l'accento grave sulla i.

Parola piana, come la valle, che prende il nome dal fiume che la attraversa. Bèlice chiamarono invece questo posto giornalisti distratti, sbagliando, spostando l'accento, e così rimane tutt'ora.

E l'usurpazione dell'accento del nome fu la prima di una serie di violenze, di distrazioni, che la Valle del Belice subisce ancora oggi.

45 anni e sentirli tutti, sentire ogni anno gli stessi impegni non mantenuti, le stesse promesse, gli stessi scandali. Assistere ogni anno allo stesso rituale stanco di appelli, commemorazioni, rimostranze.

E mentre il Belice cambia accento, c'è quella parola, ricostruzione, che in questa terra ha cambiato significato. Ha a che fare con qualcosa di immobile, impercettibile.

Cosa si fa nel Belice, da 45 anni a questa parte? Si ricostruisce, si ricostruisce sempre.

Prima si sono fatte le città nuove, a Gibellina furono anche chiamati gli artisti per fare il museo a cielo aperto oggi famoso in tutto il mondo.

Poi le città nuove sono andate abbandonate perchè sono invivibili, perchè non c'è lavoro, perchè non c'è vita.

E si ricostruisce. I Sindaci della Valle del Belice, come ogni anno, hanno fatto il conto di quanto manca, ancora oggi per completare la ricostruzione: 390 milioni di euro.

Tanto costano i punti di sutura per quella che ogni anno viene definita "una ferita aperta".

Eppure questo è un anniversario un po' più ottimista per gli abitanti della valle. Nell'ultima legge di stabilità, approvata poco prima di Natale, sono stati stanziati ben 45 milioni di euro.

Si aspetta il decreto del Ministero delle Infrastrutture che stabilisca la ripartizione tra i 14 paesi della valle.

Per trovare questi soldi è stato necessario tagliare il Fondo per lo Sviluppo e la Coesione, senza dimenticare che è ancora vigente un'accisa di 10 lire sul prezzo della benzina applicata per reperire fondi nell'immediatezza della tragedia.

Il conto di quanto è stato speso finora si perde nei rivoli delle mille ragionerie in cui si sono dispersi i fondi pubblici. Si sa per certo che tra il 1968 e il 1995 lo Stato Italiano ha erogato 2.272 miliardi di vecchie lire. Ma la spesa autorizzata era ancora più alta. 3.100 miliardi di lire. Ed è proprio questa differenza, i 390 milioni di euro, che si combatte la nuova partita.

"Eppure bisogna guardare oltre il terremoto - dice Nicola Catania, coordinatore dei sindaci del Belice - perchè qui al Belice non c'è sviluppo".

E' l'occupazione il vero terremoto del Belice, quella giovaniel dati alla mano è al 50%.

Un ragazzo su due non ha lavoro. I paesi vecchi sono distrutti, quelli nuovi sono abbandonati e spettrali. Il costo delle case al metro quadro è il più basso in Italia, oscilla dai 300 ai 600 euro.

E infatti nel Belice, di giovani non se ne vedono più: "Sono disorientati - spiegato il vescovo della diocesi di Mazara del Vallo, Domenico Mogavero- perchè non hanno prospettive. Eppure questa terra ha bisogno di loro".

Adesso si tratta di passare dalla parola "ricostruzione" alla parola "operatività". "Se è vero che negli anni immediatamente successivi al disastro sono stati compiuti non pochi errori, soprattutto politici, ai diversi livelli, questo non può costituire una ragione per aspettare giustizia passivamente - commenta Mogavero -.

E' assolutamente vero che il domani di questa magnifica ma sfortunata Valle è tutto e solo nelle nostre mani, purché siamo capaci di valorizzare e mettere a frutto le risorse".

La verità amara la dice Monsignor Antonio Riboldi, che era parroco a Santa Ninfa quando ci fu il terremoto: "Si è fatta fatica a rimettere in piedi i paesi, ma lo sviluppo non è mai iniziato". 45 anni dopo nel Belice, il domani sembra non arrivare mai.

 


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