ABRUZZO 3.32 I segni del terremoto

Presentazione del volume fotografico a Pescara

08 Ottobre 2010   09:57  

Il volume  "ABRUZZO 3.32 I segni del terremoto" sarà presentato sabato 9 ottobre alle ore 17 presso l'Auditorium - Caffè Letterario - Museo Genti d'Abruzzo di Pescara.

Il volume di 296 pagine è in formato 24 x 30 e contiene circa mille fotografie.

 

''A volte delle immagini possono valere più di mille parole. E' così che commenta Nazario Pagano, Presidente del Consiglio Regionale.

Per questo motivo saluto con soddisfazione il volume fotografico “Abruzzo 3:32. I segni del terremoto”, un’ulteriore

testimonianza del dramma vissuto lo scorso anno dalla nostra regione.

 

È un’opera che non si limita a documentare le devastazioni prodotte dal sisma del 6 aprile

2009, ma mostra in maniera inequivocabile la forte volontà di rinascita che ha caratterizzato

fin da subito la popolazione aquilana colpita dal terremoto. Un segno di speranza, ma

anche un monito a non dimenticare. Un’opera meritoria che, nel contribuire a mantenere alta l’attenzione verso la tragedia che ha colpito la nostra terra,

pone l’accento soprattutto sulla grande volontà e generosità di tutti coloro che finora

hanno dedicato tante energie e tanta parte del proprio tempo per far rinascere dalle macerie

una nuova vita''. 

 

La prefazione è curata da Giustino Parisse.

 

''Nelle ore e nei giorni che seguirono la scossa delle ore 3.32, nella notte fra il 5 e il 6 aprile del 2009,

mi rifiutai di guardare la televisione e non mi passò nemmeno per un attimo in mente l’idea di

scattare delle foto alle macerie della mia Onna. In quella prima settimana ebbi come un rifiuto.

Quando uno dei più noti giornalisti italiani, Bruno Vespa, mi chiese – mentre eravamo fra le case

cancellate del borgo al centro della conca aquilana – «Giustì, cosa vorresti fare adesso di tutto questo?»

io risposi: «vorrei che questi resti sparissero in un attimo, questa non è Onna, questi non sono più

i miei luoghi».

 

Eppure, mentre mi sforzavo ogni minuto di rimanere lucido per evitare di cadere nella disperazione

più cupa e senza ritorno, ci fu un episodio che mi convinse che la mia vita futura sarebbe stata, a

Dio piacendo, quella di ricostruire ciò che il terremoto ci aveva “rubato”. E non parlo solo delle case

o dei beni materiali ma anche di quel senso di comunità che faceva leva sulle tradizioni, sul senso

di appartenenza, sui segni che la storia ci aveva lasciato a ogni angolo. Da quasi due anni avevo

ristrutturato un vecchio pagliaio e là dentro avevo sistemato una biblioteca di circa 5000 volumi

(1000 dei quali sull’Abruzzo) e un archivio con le carte relative alle vicende di Onna degli ultimi

40 anni. I libri erano stati attentamente catalogati in un file. Il locale della biblioteca, pur fortemente

danneggiato, non era crollato. La prima cosa che recuperai, grazie ai vigili del fuoco, fu il computer

che conteneva foto, testi scritti, filmati, la gran parte dei quali realizzati da mio figlio Domenico.

In un file trovai una serie di foto che Domenico aveva scattato un mese e mezzo prima, a metà febbraio.

C’era stata una nevicata e lui decise di uscire e fermare le immagini di Onna sotto la coltre bianca.

Quei flash suscitarono in me una emozione fortissima: sia perché erano opera di un ragazzo che non

c’era più e sia perché guardandoli attentamente notavo una passione e un amore per quegli scorci

che sottolineavano il sentimento di chi li aveva realizzati.

Di fronte a quelle foto dissi a me stesso che l’impegno a ricostruire Onna avrebbe avuto una spinta

in più, quella di onorare la memoria di Domenico, della sorella Maria Paola e di mio padre Domenico

e di tutti i 40 onnesi inghiottiti nel pozzo della morte. Decisi di pubblicare quelle immagini nel libro

“Quant’era bella la mia Onna” che raccoglieva gli articoli che avevo scritto dal 14 aprile del 2009

al luglio dello stesso anno. Chiesi a un amico, Carlo Cassano, di partire da quelle immagini ritrovate

per fotografare gli stessi angoli dopo il passaggio della scossa distruttrice.

Mi resi conto che anche le macerie parlavano: avevano un linguaggio diverso ma comunque significativo.

E da allora, pur se in maniera occasionale e confusa, ho raccolto più foto possibili del prima

e del dopo in una sorta di furore memorialistico che mi sembrava e mi sembra l’unico modo di

catturare quel poco che ci è rimasto. Quel lavoro continua e sta documentando i primi timidi passi

della rinascita.

Bruno Colalongo ha avuto la cortesia di illustrarmi in anteprima il contenuto di questo libro

fotografico dove ci sono mille immagini dell’Aquila, Onna, Paganica, Villa Sant’Angelo e degli altri

paesi che oggi appaiono senza tempo e in abbandono. Sono, appunto, i segni del sisma che per chi

li sa leggere al di là delle apparenze sono anche il grido di dolore iniziato quella notte e che forse mai

finirà almeno nei cuori e nelle coscienze di chi dal terremoto non uscirà più.

Sono convinto che questo primo libro fotografico avrà negli anni a venire più di un seguito. L’ho

detto più volte e lo ribadisco. Ho un solo sogno ormai: non quello di morire felice (quest’ultima è una

parola che ormai non mi appartiene) ma almeno sereno. E la serenità sarà vedere L’Aquila e suoi

borghi ricostruiti. Chissà se fra dieci o quindici anni qualcuno mi chiederà di scrivere poche righe

in un libro che mostra la mia Onna rinata e più bella di prima. Sarà una grande emozione e forse

mi verrà da piangere come mi capita spesso da quella notte che ha spezzato tante vite. Ma saranno

lacrime luminose''. Onna, settembre 2010

 


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