'' Gentili redazioni, vi scrivo a proposito della situazione “alloggi per gli studenti” che è il problema dei problemi per l’Università.
Oggi ho letto i vostri comunicati che riguardano la conferenza stampa alla presenza della Regione Abruzzo che ha dato un suo primo apporto alla soluzione del problema.
Io capisco quanto sia difficile dipanare questa matassa aquilana creatasi con il sisma del 6 aprile, ma comprendo anche come alcune soluzioni, seppur degne di nota, vista la situazione, siano in realtà poco attente alle esigenze dei giovani, in generale. Io sono convita che tanti ragazzi sceglieranno ancora L’Aquila e si adatteranno a tanti sacrifici, ma come madre vedo anche che nessuno si è posto in maniera davvero realistica nei confronti del problema.
La formazione Universitaria coincide con un periodo formativo globale dei ragazzi e la scelta della sede ove studiare spesso è dettata da fattori completamente avulsi da quelli che stiamo considerando. I ragazzi, sia che siano fuori sede che in sede, durante il percorso Universitario si formano come uomini e donne intessendo relazioni tra di loro che li segnano per la vita. E’ pur vero che anche il terremoto li formerà come uomini e donne di questo secolo, ma a loro non possiamo chiedere sacrifici più grandi di quello che riescono a comprendere o semplicemente a concepire.
I nostri ragazzi Universitari sono ora, per gran parte fuori sede (Aquilani e non). Fuori sede forzati da un evento naturale e distruttivo che ha fatto perdere loro amici, parenti, case, certezze. Noi come genitori non possiamo sottrarli ai sacrifici, è giusto che li facciano per non pensare, ancora una volta, che i loro genitori li salveranno continuando a farli vivere nella bambagia.
Ma io non ho dimenticato chi ero 30 anni fa, forse perché il periodo a L’Aquila, come studente fuori sede, è stato il periodo più bello della mia vita, così bello che sono rimasta in questa città. Penso spesso a cosa avrei fatto a quell’età se la città dove mi stavo formando avesse subito un terremoto. Non so, ma se ripenso all’attaccamento che avevo con le mie aule, le mie biblioteche, i miei professori, i locali serali (ben pochi all’epoca), le serate con i miei colleghi di ventura, il sapore di libertà che avevano i miei fine settimana lontani della mia famiglia, bè, penso che l’avrei riscelta. La casa nella quale vivevo, a via Strinella, è intatta dopo il terremoto e sarei tornata lì, ospitando qualche mio amico meno fortunato di me. Mi sarei anche chiesta dove avrebbero alloggiato i miei colleghi, aquilani e non, e a saperli lontani, magari a Rocca di Mezzo o a Cagnano, o a Barete o a Montereale, mi avrebbe gettato in uno sgomento che forse, mi avrebbe fatto cambiare idea.
E forse avrebbero cambiato idea anche quelli che, meno fortunati di me, avrebbero dovuto “accontentarsi” di un posto letto a 130 Euro in un piccolo paese senza neanche avere l’assicurazione di un trasporto che, senz’altro verrà, ma sicuramente non sarà né serale né tanto meno notturno.
I miei amici mi avrebbero detto: “Devo andare in un paese che non conosco, dove pago l’affitto e non avrò la possibilità di incontrare la sera i miei colleghi né i miei professori.” Sì, perché L’Aquila era anche questo. Una città dove alla sera incontri nei luoghi che , sono certa, risorgeranno (magari non in centro) , professori e amici, una città nella quale capita, al Boss, la sera, di parlare di una lezione del mattino con il tuo prof o con i tuoi colleghi, davanti ad un bicchiere di vino. L’Università porta i giovani a socializzare, a confrontarsi, anche a fare baldoria, ma questa è la vita Universitaria. I miei amici sarebbero andati via tutti, se la sola possibilità concreta fosse stata quella di dividersi da questa partecipazione.
Poi, non sono maliziosa, ma mi chiedo come mai questi alloggi nei paesi limitrofi non siano stati disponibili da subito per le famiglie aquilane. 300 famiglie, più o meno (togliendo le foresterie forse 250) avrebbero potuto alloggiare in case sicure (???) sin da ora e avvicinarsi ai loro luoghi di lavoro, invece che essere costrette a percorrere chilometri trafficatissimi, quelli che li separano dal loro lavoro.
Non sono maliziosa, ma mi chiedo come mai l’affitto per gli studenti sia a posto letto, invece che a metri quadrati. Mi chiedo se una casa di 60 metri quadri, con due camere che magari possono ospitare 4 studenti, sia giusto che venga affittata a 520 Euro mensili, per un anno, in un luogo dove, forse, a dire tanto, ne avrebbero guadagnati 300 e neanche per l’intero anno. Ma forse sto diventando maliziosa. E allora mi chiedo come mai sia possibile che camere alla Guardia di Finanza siano forse destinate ad Aquilani che hanno bisogno di tutto, ma anche della loro quotidianità, che non è da sottovalutare. Sento tanti che vorrebbero finalmente cucinare, rassettare la casa, fare il bucato nella propria lavatrice e non stare più in una camera dove si dorme solamente, senza alcuna intimità. Allora perché non vedere quali famiglie vogliono tornare, seppur in paese? E magari rendere disponibili i posti letto della Guardia di Finanza per i ragazzi Universitari (fuori sede e non) per farli vivere assieme? Per farli socializzare, scambiare, studiare insieme, innamorare? Perché no, questo?
Perché c’è stato il terremoto che ha cambiato la città e paghiamo tutti, ma noi adulti dobbiamo pensare anche ai nostri figli. Noi adulti per questi ragazzi che hanno pagato il prezzo più alto per il terremoto, perché in 55 sono rimasti sotto le macerie, dobbiamo fare di più.
Io ci penso in continuazione e, se avessi una casa agibile, adotterei uno studente, gratuitamente, perché la solidarietà non sono chiacchiere.
Nulla posso fare perché non ho una casa, ma lancio un appello a tutte le mamme che hanno una casa agibile: adottate uno studente, vi arricchirà la vita. Alcune mamme di Rieti lo hanno fatto, sono ringiovanite.
Dove la politica non può arrivare, arrivano le singole persone che capiscono, si adeguano, amano.
Chiunque sente di voler aderire a questo appello può scrivermi
Giusi Pitari