'Afrique': solidarietà abruzzese a sostegno delle donne africane

Riflessioni di Iovenitti sula vita e la morte

03 Luglio 2008   03:31  

Sono molti, numerosissimi in verità, ad aver speculato sui concetti di vita e di morte.Probabilmente è dall’inizio dei tempi che l’essere umano tenta di inquadrare, comprendere quasi a volerlo controllare, il fenomeno misterioso della fine di un’esistenza, che non può mai essere indagato in prima persona senza che si smetta di respirare per sempre. Ma fin quando si rimane seduti dietro la propria scrivania, con alle spalle una vasta e confortante biblioteca, nella propria casa o in un comodo ufficio, al riparo dalle realtà scomode e traumatiche del mondo, non potranno che essere partoriti resoconti astratti e parziali, inadatti a descrivere, ammesso che si possa, il momento finale, quello che gli ottimisti e i religiosi chiamano trapasso. E che dire invece della vita? Quando si è realmente vivi? È soltanto lo stato di salute a dimostrare il grado di energia vitale di una persona, o sono forse l’atmosfera, lo stile di vita, i sogni, le aspettative  i traguardi esistenziali raggiunti o negati a decretare in ultimo se abbiamo vissuto da vivi o da morti? Per molti di noi occidentali il problema non si pone, aldilà delle imperscrutabili sorprese del destino e delle difficoltà che pure viviamo e subiamo nel corso dell’esistenza, facciamo di solito il nostro percorso immaginando di morire in un giorno parecchio distante da questo, in età molto avanzata, e se possibile circondati dall’affetto dei nostri cari, nella nostra casa pulita, dove acqua ed elettricità sono ormai risorse assodate. Ma sono molte, troppe, le persone che nel mondo si vedono negare persino il diritto di proiettarsi nel futuro, così dolorosamente impegnate a sopravvivere al presente. L’Africa, la terra madre di tutti i popoli, sperimenta la morte come costante della vita. E persino quando si nasce, una data di scadenza troppo ravvicinata mortifica la meraviglia della procreazione. Pietro Iovenitti, medico e ginecologo aquilano, fondatore insieme al professor Giuseppe Carta del progetto “Afrique” e direttore sanitario del Centro ospedaliero ginecologico "San Luigi Orione" di Anyama, in Costa d’Avorio, s’impegna quotidianamente nella lotta per la vita facendoci partecipi di ogni piccolo progresso raggiunto, e delle difficoltà- ancora profonde- che gli africani sono costretti ad affrontare giorno dopo giorno. In suo recente intervento qualche mese fa, il medico abruzzese ricordava quanto ancora ci fosse da fare in una Terra dilaniata dalle malattie e dalla povertà ancora in evidente trend di crescita, e di come le “vittime predestinate” di tale crisi fossero soprattutto le donne, future madri allo scuro delle proprie condizioni fisiche e di quelle dei nascituri. Dal commento di Iovenitti in occasione della scorsa Pasqua: “Da qualche giorno abbiamo istallato un apparecchio per la mammografia donatoci da una comunità di suore che lo avevano ricevuto in regalo dall’Italia e che non sapevano come e dove utilizzare. Invece per noi è stato utilissimo, per cui lo abbiamo revisionato e istallato nella nostra radiologia visto che in tutta la Costa d’Avorio ci sono solo quattro-cinque apparecchi di questo tipo funzionanti. Si parla di un 7% di sieropositivi in Costa d’Avorio, ma la patologia è certamente sottostimata in quanto poche donne si sottopongono al test per l’Hiv e quasi nessun uomo. La donna evita di fare il test per paura, in caso di sieropositività, di essere allontanata dalla famiglia e dalla società, mentre l’uomo non lo fa per la paura di perdere il suo ruolo di supremazia. Nel nostro ospedale sino a oggi inviavamo le donne gravide e quelle da sottoporre a intervento chirurgico presso un centro di depistaggio dell’Hiv in una struttura poco lontana, ma poche di loro ritornavano con il risultato del test in quanto quest’ultimo non è obbligatorio, ma facoltativo. In questo modo noi, le ostetriche e le infermiere siamo esposti a un alto rischio di contagio non conoscendo quasi mai lo stato di immunità delle donne che curiamo. Per tale ragione e per aumentare il tasso di donne che si sottopongono al test stiamo cercando di impiantare un centro di depistaggio direttamente nel nostro ospedale e sembra che ce la faremo nei prossimi mesi.[…]. Spesso, oltre a tante malattie infettive, anche le malformazioni fetali restano disconosciute e alcune donne si trovano a partorire un figlio affetto da anomalie anche incompatibili con la vita. In Italia l’ecografia mette alla luce gran parte delle malformazioni già al secondo trimestre di gravidanza, mentre qui in Africa la maggior parte delle donne non ha accesso all’ecografia e quindi la diagnosi di malformazioni non risulta agevole”.Nonostante l’evidente e coscienzioso impegno da parte degli operatori dell’ospedale San Luigi Orione di Anyama, la quotidianità manifesta di frequente tutta la sua crudezza rendendo necessarie riflessioni esistenziali atte a stemperare le forti emozioni che persone profondamente calate nella propria missione non possono non provare. Così riflette sulla realtà che lo circonda e che ha scelto di vivere in prima persona Pietro Iovenitti nell’ultimo intervento che ci è pervenuto: “Tra la vita e la morte il limite è impercettibile e durante una stessa giornata possono verificarsi avvenimenti diametralmente opposti. Il 10 giugno 2008 la bellezza della vita si è scontrata frontalmente con la crudeltà della morte […]. La vita, in fin dei conti, è uno stato temporaneo in cui le cose belle superano le difficoltà. La morte, anche da vivi, è la condizione fisica o mentale in cui i dispiaceri, le difficoltà oppure i pericoli annientano in maniera quasi irreversibile i pochi sprazzi di benessere. Si può quindi vivere da morti, ma non morire da vivi. “Il 10 giugno scorso – prosegue il medico - la vita mi ha ricordato prepotentemente questi concetti. Alle ore 8,30 una giovane donna di 27 anni lascia l’abitazione dove presta servizio come collaboratrice domestica per recarsi in uno dei tanti centri di sanità che ad Abidjan offrono gratuitamente il test per il dépistage dell’Hiv. La giovane donna esce di casa con in mano un piccolo borsello rosso e un corto rosario di legno scuro stretto tra le dita. Prende un taxi anch’esso di color rosso e si dirige verso un quartiere poco distante. Arrivata al piccolo complesso sanitario la donna aspetta il suo turno e dopo circa venti minuti le viene prelevato un po’ del suo sangue. Il test è rapido […]. Impaziente attende che qualcuno possa spiegarle cosa sta accadendo e i suoi piedi infilati in un paio di sandali rossi scivolano nervosi sul pavimento coperto di sabbia e terra. Il medico apre una busta e legge alla giovane donna il risultato del test. La condanna a morte. Lei, orfana dall’età di 14 anni, tremante e sola, torna nella casa che tiene in affitto per 15 euro al mese in uno dei quartiere più poveri e popolati di Abidjan”. Lo stesso giorno, racconta ancora Iovenitti, “una famiglia fortunata festeggia il primo mese di vita della loro prima figlia. La serata si svolge in casa di fronte a una tavola imbandita con vari tipi di formaggi e salumi, il tutto accompagnato da un’ottima bottiglia di vino bianco. I genitori europei della piccola avevano deciso di farla nascere in Africa, dove avevano stabilito di passarci una parte della loro vita. Avevano voluto abbracciare quanto di bene e di male quel paese poteva offrire, le gioie, ma anche i pericoli. Festeggiano ora la vita e non la morte, e possono farlo, e sono fortunati di poterlo fare. “La vita sceglie a caso e la morte fa altrettanto. Ma la vita spesso ignora la morte o fa finta di non volerla incontrare. La piccola appena nata conosce già il suo destino, chi nasce nella morte anche. La piccola che un giorno mangerà una tavoletta di cioccolato dovrà però sapere che quel cacao proviene da un paese morto, che il cacao viene coltivato spaccandosi la schiena sotto il sole per appena 30 euro al mese. La piccola dovrà conoscere che la figlia di quel contadino si ammalerà spesso di malaria e forse un giorno di Aids e che forse non riuscirà a vivere più di 45 anni. La piccola sgranocchiando quella tavoletta di cioccolato dovrà pensare a tutte queste cose e solo così potrà apprezzare sul serio quanto può essere bella la vita.[…].Pietro Iovenitti è senz’altro un esempio di quanto la nostra permanenza sulla Terra possa acquisire un senso solo se spesa con coraggio e consapevolezza, se come lui stesso afferma “la vita è uno stato temporaneo in cui le cose belle superano le difficoltà”, siamo vivi solo fino a quando possiamo sperimentare la vita senza morirne, senza che il peso della miseria oscuri il miracolo dell’esistenza.

Ed è proprio questo che il nostro medico aquilano è andato a fare: spostare l’ago della bilancia, equilibrare il peso del dolore in modo che la leggerezza e la bellezza della vita possano tornare a manifestarsi negli occhi delle future madri dell’Africa.


Giovanna Di Carlo

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