Si riaccende in Argentina il dibattito sull'aborto, dopo che una bambina di 11 anni, rimasta incinta dopo essere stata violentata dal marito della nonna, è stata costretta a partorire perché le autorità si sono rifiutate di concedergli l'interruzione di gravidanza a cui aveva diritto.
Lucia, nome di fantasia, ha scoperto di essere incinta il 23 gennaio nel pronto soccorso nella sua città natale, nella provincia settentrionale di Tucumán. Una settimana dopo, è stata ricoverata nell'ospedale Eva Perón perché per due volte ha tentato di togliersi la vita.
Ma Gustavo Vigliocco, responsabile sanitario di Tucumán, ha insistito affinché non venisse praticato l'aborto. "Sono vicino sia al bambino che a sua madre, il feto vuole continuare la sua gravidanza", aveva detto in un'intervista radiofonica, spiegando che la ragazza poteva continuare la gravidanza perché pesava più di 50 chili.
Avendo ritardato l'azione legale fino alla 23esima settimana di gravidanza di Lucía, le autorità sanitarie hanno deciso martedì di effettuare un taglio cesareo. La decisione ha seguito un ordine del tribunale di prendere provvedimenti immediati, data la durata della gravidanza.
Cecilia Ousset, la dottoressa che ha eseguito la procedura a fianco del marito e collega medico, Jorge Gijena, ha dichiarato: "Abbiamo salvato la vita di una ragazza di 11 anni che è stata torturata per un mese dal sistema sanitario provinciale". E ha accusato il governatore di Tucumán, Juan Manzur, di usare il bambino per scopi politici. "Per ragioni elettorali le autorità hanno impedito l'interruzione legale della gravidanza e hanno costretto la bambina a partorire - ha detto - Le mie gambe tremavano quando la vedevo, era come vedere mia figlia più piccola. La bambina non ha capito affatto cosa stava per succedere".