Dopo quattro anni di processo per la morte di una paziente Covid, il tribunale dell'Aquila ha assolto l'infermiere Pietro Ciamacco.
Pietro Ciamacco, infermiere 46enne originario di Introdacqua, è stato assolto dall'accusa di omicidio colposo legata alla morte di una paziente Covid. Dopo quattro anni di processo, il giudice del tribunale dell’Aquila, Tommaso Pistone, ha dichiarato che "il fatto non sussiste", liberando Ciamacco da ogni responsabilità per il decesso avvenuto nel novembre 2020 nel reparto ex G8 dell'ospedale San Salvatore dell'Aquila, durante l'emergenza pandemica.
Subito dopo la lettura della sentenza, Ciamacco ha abbracciato il suo avvocato difensore e ha espresso sollievo: "Finalmente questo incubo è finito. Sono stati quattro anni di sofferenza, ma oggi la mia figura professionale viene riscattata. Ho sempre saputo di essere a posto con la coscienza". L'infermiere ha anche voluto ringraziare chi gli è stato accanto, dai colleghi al suo legale, specificando però che la gioia per l’assoluzione è mitigata dalla consapevolezza della perdita di una vita umana: "Non posso essere completamente felice, perché una persona è comunque morta, e questo mi rattrista profondamente".
Le accuse contro Ciamacco si basavano sul presunto abbandono della paziente, che avrebbe portato alla sua morte per negligenza. Secondo l'accusa, l'infermiere non avrebbe vigilato adeguatamente sulla donna, ricoverata in terapia intensiva, e non avrebbe agito tempestivamente per evitare il tragico esito.
Durante il processo, il difensore di Ciamacco, l’avvocato Alessandro Scelli, ha evidenziato una grave carenza strutturale della struttura sanitaria. "Il reparto era privo di un interfono, un dispositivo che avrebbe consentito a Ciamacco di comunicare con l'esterno senza uscire dalla stanza e chiudere la porta dietro di sé", ha sottolineato Scelli, puntando il dito sulla non idoneità del reparto dove avvenne il decesso.
Nonostante l'assoluzione in sede penale, la vicenda non si conclude qui. L’avvocato delle parti civili, Carlotta Ludovici, ha dichiarato di aver avviato una causa civile contro la Asl 1 per il risarcimento del danno subito dalla famiglia della vittima. "Il processo penale si è concluso oggi, ma in un'altra sede cercheremo di accertare le responsabilità della struttura sanitaria. Abbiamo già intrapreso le azioni necessarie per ottenere giustizia", ha affermato Ludovici.
Il caso ha riacceso il dibattito sulle condizioni dei reparti ospedalieri durante il picco dell'emergenza Covid-19, in cui molti operatori sanitari si sono trovati a lavorare in situazioni estreme e con risorse insufficienti. Molte strutture, come quella in cui lavorava Ciamacco, non erano dotate di sistemi adeguati per garantire la sicurezza dei pazienti e del personale, una problematica che è emersa con drammatica chiarezza durante il processo.
L’inchiesta, durata anni, ha sollevato numerosi interrogativi sulla gestione delle emergenze sanitarie e sulla preparazione delle strutture ospedaliere italiane a fronteggiare situazioni di crisi. Sebbene la sentenza abbia stabilito che non ci sono state colpe da parte dell’infermiere, restano aperte questioni di responsabilità più ampie legate alle carenze strutturali e organizzative.
La famiglia della vittima, profondamente colpita dalla perdita, ora guarda al prosieguo della vicenda legale in sede civile per ottenere il riconoscimento di eventuali responsabilità della struttura ospedaliera e un risarcimento per il danno subito.
La chiusura del processo penale rappresenta comunque un momento di grande sollievo per Ciamacco, il quale ha vissuto anni di attesa e incertezza sulla propria vita e carriera professionale. Ora, con la sentenza favorevole, l'infermiere potrà finalmente guardare al futuro con la consapevolezza di essere stato scagionato da accuse che lo avevano segnato profondamente.