Belice. Storia del dramma che sconvolse la Sicilia

Il terremoto visto con gli occhi del 68

23 Aprile 2009   15:34  
Nel nostro viaggio a ritroso nel tempo in cerca degli eventi sismici che hanno sconvolto l'Italia, scoprendone pecche e virtù, proponiamo oggi uno spaccato del terremoto che colpì la valle del Belice 41 anni fa. Un “sisma dentro il sisma” se si considera l'atmosfera di ribellione e cambiamento psico-sociale che all'epoca permeava qualsiasi accadimento collettivo. Con gli occhi del 68, dietro l’irriverente frangia dei giovani capelloni accorsi in Sicilia per aiutare gli sfollati, la Gazzetta del Mezzogiorno ripercorre le tappe più significative del disastro sismico che sconvolse l'ex colonia della Magna Grecia, la terra di Sciascia e Pirandello, la stessa di Falcone e Borsellino, eroi di un'Italia ancora oggi alla ricerca di un'unità nazionale in grado di esaltarne l'anima collettiva.

1968 - Il terremoto in Belice

Tratto dalla Gazzetta del Mezzogiorno.it (sezione "La nostra Storia")

Dalle 13.29 di domenica 14 gennaio alle 23.20 di lunedì 15, sedici violente scosse di terremoto distruggono gran parte della valle del Belice, un triangolo fra Palermo, Marsala e Agrigento. I paesi di Gibellina, Montevago e Salaparuta sono rasi al suolo, cancellati. Gravemente danneggiati Poggioreale, Salemi, Santa Ninfa, Santa Margherita Belice, Roccamena. I morti si contano a centinaia: 133 a Gibellina, 122 a Montevago, decine e decine altrove per un totale di 351 vittime. I sinistrati superano i centomila, per quattro, cinque giorni a migliaia si aggirano fra le macerie alla ricerca di congiunti dispersi e per salvare qualcosa rimasto indenne nello scempio. Le cronache dei sei inviati della Gazzetta sono talmente strazianti che spesso vengono riproposte. Vi sono casi di gente estratta viva dalle macerie dopo quattro giorni. La storia della piccola ‘Cuccureddu’, unica superstite di un’intera famiglia salvata dopo 60 ore, fa il giro del mondo.

Il dramma della Sicilia commuove tutta la comunità. Aiuti e soccorritori arrivano da ogni parte d’Italia e d’Europa. Sono soprattutto giovani e, di nuovo, molti sono i tanto disdegnati ‘capelloni’ subito denominati ‘angeli delle macerie’. Il 20 gennaio, in un caos indescrivibile fra uomini e mezzi inviati per i soccorsi senza alcun coordinamento, la valle del Belice viene investita da una pioggia torrenziale, la temperatura scende notevolmente ed il fango finisce l’opera di distruzione. Numerosi accampamenti e tendopoli, approntate dall’Esercito, gli unici a dimostrare un minimo di organizzazione, vengono spazzate via dalla furia del vento. E’ una persecuzione. Il 24, gli inviati della Gazzetta, annunciano che in Sicilia è in corso un vero e proprio esodo: in ventimila sono già emigrati e la mafia compra terra e bestiame per due soldi. Ma non saranno solo i mafiosi a macchiarsi di sciacallaggio.

Per agevolare l’opera di sgombero delle zone disastrate, il Governo delibera che chiunque volesse lasciare la Sicilia per altre zone del Paese, poteva viaggiare gratis. Non l’avesse mai fatto. All’improvviso, in mezzo al dramma umano dei siciliani, al dolore, allo strazio di chi ha visto morire i propri congiunti, la classe politica trova il modo per immiserire anche un piccolo gesto di solidarietà: Così, con un viaggio gratis – scrive l’Unità, cioè l’organo nazionale del PCI, non un qualunque ‘foglio’ regionale del Partito - i sinistrati stessi ora se ne vanno ‘cacciati’ dalla disperazione e dalla gelida furbizia di chi offre il biglietto perchè si tolgano dai piedi e non se ne parli più. Immediata la replica: E’ un commento ignobile - risponde il ministro dei Trasporti Oscar Luigi Scalfaro - mi sono sentito rivoltare lo stomaco. Possibile che per i comunisti non c’è nulla da rispettare? Possibile che anche le sciagure di questo popolo martoriato dal terremoto debba essere motivo di speculazione? Ci sono molti modi per fare gli avvoltoi, ma questo è forse il peggiore e non poteva che avere il marchio comunista.

L’episodio non vuole mettere in evidenza gli errori degli uni o i meriti degli altri ma intende dimostrare, ancora una volta, quanto fosse profonda la spaccatura fra il paese reale ed il mondo politico e perchè accade il Sessantotto. La gente vuole trovare delle motivazioni nella vita, partecipare al processo produttivo e sociale; i giovani si sentono frustrati ed esclusi da ogni forma di evoluzione civile, privi di qualunque prospettiva. Il pianeta è diventato un ‘villaggio globale’, l’introduzione del computer negli uffici e nelle fabbriche sta cambiando rapidamente il modo di vivere, la stessa qualità della vita, e la classe politica europea è sempre ferma ai ‘blocchi’ contrapposti o, peggio ancora, in Italia, al frontismo degli anni Cinquanta.

Ecco il Sessantotto: la ribellione contro il conformismo, la contestazione contro una generazione che non vuole o non riesce a distinguere le sfumature, le differenze; che difende privilegi, baronie, incapace di offrire una speranza, una ragione ai sacrifici di tutti ed alle attese dei giovani. Ma torniamo al terremoto nel Belice o meglio, agli sciacalli ed agli avvoltoi. Dopo altre 65 scosse di assestamento, gli esperti decidono che per meglio iniziare l’opera di ricostruzione dei paesi completamente devastati, non c’è che una soluzione: spianarli con la dinamite. Nel giro di qualche settimana, le tendopoli fanno posto alle baraccopoli, alle case prefabbricate. E’ una soluzione provvisoria, si dice. Presto, molto presto, le baracche, i vagoni ferroviari, saranno sostituite da case in muratura. Le nuove e funzionali cittadine di Gibellina, Montevago e Salaparuta saranno l’orgoglio della volontà di rinascita della Sicilia e vanto del Governo di centro-sinistra. Moro, Nenni ed il capo dello Stato Saragat, hanno visto con i propri occhi l’immensità del disastro e della miseria dei luoghi. Neppure il tempo di far giungere sul posto le prime case prefabbricate che la valle del Belice si popola di una nuova fauna: imprenditori-avvoltoi si aggirano rapaci su tante rovine per ottenere gli appalti e faccendieri-sciacalli si avvicinano ringhiosi alle carni martoriate dei terremotati, per riscuotere tangenti. E’ una garasenza esclusione di colpi e chi, fra le due specie di predatori, sia stato più crudele, è difficile dirlo.

Per danni accertati da un minimo di 200 ad un massimo di 250 miliardi, il Governo di un Paese ‘ricco e generoso’ in piena ripresa economica, tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo, vara un decreto che stanzia 270 miliardi per la ricostruzione e 57 miliardi per le prime provvidenze urgenti. Per sciagure di simili proporzioni, anche il cittadino più sprovveduto è indotto a credere che gli oneri non possono che pesare sull’intera comunità, la quale contribuisce in maniera proporzionale alle proprie ricchezze. Invece no! L’ illuminato Governo italiano decide di reperire i fondi necessari stornando subito 50 miliardi dalla legge per la ricostruzione delle case malsane  rimandando di un anno il finanziamento del piano verde, bloccando, sempre per un anno, il finanziamento della Cassa per il Mezzogiorno ed infine prorogando, a tutto il 1970, la maggiorazione di 10 lire sul prezzo della benzina istituita dopo l’alluvione di Firenze.

Com’è lampante, l’ equità del contributo comune è talmente imparziale che non una sola voce s’indigna. Nessuno, nemmeno quei meridionalisti... afflitti da vittimismo cronico osano accennare un minimo di protesta di fronte ad una così evidente sperequazione fra il recupero delle provvidenze per Firenze - rinvio di un anno del piano economico nazionale e aumento della benzina - e il reperimento dei fondi per il terremoto del Belice. In seguito, però, tutti sapranno trovare l’unità necessaria nel condannare quei terroni che, inseriti ormai in un sistema di corruzione che non conosce confini, di quei fondi, faranno scempio.Senza considerare le centinaia di milioni raccolti in pochi mesi da quotidiani, settimanali e associazioni varie - soltanto la sottoscrizione della Gazzetta è di oltre 67 milioni - undici anni dopo, nel 1979, il Governo aveva già speso, per la ‘ricostruzione’, circa 900 miliardi - qualcosa come 5mila miliardi del 1992 - e, nelle baracche ormai fatiscenti, vivevano ancora 8.600 famiglie. Alle vibrate denunce di un prete coraggioso, Don Riboldi, il Governo prende nuovi impegni: vengono sostituite le vecchie baracche; si dispongono, fino a perderne il conto, provvidenze su provvidenze; vengono assegnati appalti su appalti; si riscuotono tangenti su tangenti. Siamo ormai alla catena di montaggio della corruzione. Ma, finalmente, nel gennaio del 1993 si può constatare con soddisfazione: le famiglie terremotate che continuano a vivere nelle baracche della valle del Belice, sono... appena 1.500!
       


La puntata integrale della Storia siamo noi sulla ricostruzione del Belice

Gli approfondimenti precedenti sull' Irpinia e il Molise

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