Berengo Gardin fotografa l´artista Marcello Mariani

17 Gennaio 2007   12:55  
"Ho sempre fotografato l´Italia, perchè bisogna raccontare ciò che si conosce. Non sono un creativo e neanche un artista, ma uno che registra quello che vede. Sono solo un manovale dello sguardo" Il manovale che racconta è Gianni Berengo Gardin, ligure classe 1930, uno dei più grandi fotografi italiani. Qualche anno fa, invitato dall´Istituto cinematografico La lanterna magica, aveva svelato con i suoi scatti L´Aquila come nessuno l´aveva mai vista. Un racconto di una città racchiusa nella cerchia dei suoi monti che sviluppandosi spirale è arrivato a dipingere di ombre e di luci le geometrie dei palazzi storici, ha attraversato le piazze, i vicoli e i mercati ovvero la vociante quotidianità della vita civile. Si è infine soffermato con la discreta arte del catturare istanti che non si ripetono, su volti, gesti e sorrisi che sono la materia di cui è fatta una città in cui valga la pena di vivere. Ed è tornato a L´Aquila Berengo Gardin, per aggiungere un nuovo capitolo a questo racconto. Questa volta il maestro del bianco e nero ha deciso di seguire e documentare la vita quotidiana di un maestro del colore come Marcello Mariani, il cui laboratorio di Via Sassa, a metà tra un silenzioso eremo e una ribollente fùcina alchemica, ha già attratto importanti fotografi. Il ritratto di Marcello Mariani si aggiunge dunque a quelli, firmanti da Berngo che hanno avuto come protagonsiti grandi artisti come Lucio Fontana, Emilio Vedova e Giorgio De Chirico. Il suo soggiorno all´Aquila è stato anche l´occasione per una lezione agli studenti dell´Accademia dell´Immagine, che ospita una mostra permanente a lui dedicata. Una lezione più di vita che di tecnica, e ascoltandolo si è scoperto che le due cose per un fotografo sono intimamente connesse. "Non amo la foto a colori - afferma - perchè ho succhiato latte in bianco nero". Aggiunge di essere troppo vecchio per appassionarsi al digitale, a cui Berengo preferisce l´alchimia artigiana dell´istante che si impressiona sul negativo. Gianni Berengo Gardin, in cinquant´anni di carriera ha scattato oltre un milione di foto. Aveva cominciato come fotoreporter per il settimanale Il Mondo diretto da Mario Pannunzio, suo amico e maestro. Da allora ha collaborato con le più importanti testate italiane e straniere. Si è affermato come grande fotografo di architettura e nel caso delle opere di Renzo Piano preferisce immortalare i cantieri e i visi lastricati di sudore degli operai. E poi le celebri serie dedicate agli zingari, alla vita quotidiana dei disabili, ai luoghi di reclusione come i carceri e manicomi. E ancora Venezia e la Luzzara di Cesare Zavattini, gli italiani sul treno, indimenticabili album di matrimoni, paesaggi toscani di luce e di terra. In un´epoca in cui molte, troppe immagini bombardano l’occhio e accecano la capacità di vedere, la più alta lezione di Berengo sta forse nella sua inflessibile deontologia e nell´empatia col soggetto che rende luminose e uniche le sue foto. "Ha ragione Susan Sontag - riflette Berengo - a forza di fotografare bambini africani denutriti, la loro sofferenza è diventata quasi normale". Filippo Tronca

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