Bruno Dante scrive al Ministro per il contratto, rinnovato 28 volte, di Marcello Maranella al Parco

Riceviamo e pubblichiamo

09 Luglio 2014   12:47  

Signor Ministro,

con deliberazione n. 12 del 23 giugno.2014 il Presidente del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga ha prorogato per la 28esima volta l’incarico dirigenziale al Dr Marcello Maranella, dipendente del Parco in qualità di Coordinatore Tecnico Amministrativo. A differenza delle 27 proroghe precedenti, questa volta l’incarico gli è stato conferito in qualità di Direttore facente funzioni. Per tale incarico gli è stata confermata l’attribuzione di una indennità aggiuntiva di 60.000 Euro l’anno.
Com’è a Lei ben noto, l'articolo 9, comma 11, della legge quadro sulle aree protette (legge 6 dicembre 1991, n. 394), come modificato dall'articolo 2, comma 25, della legge n. 426 del 1998, prevede che il Direttore del Parco sia nominato dal Ministro dell'Ambiente che lo sceglie in una rosa di tre candidati proposti dal Consiglio Direttivo dell’Ente, tra soggetti iscritti all’ Albo di Idonei all'Esercizio dell'Attività di Direttore di Parco, istituito presso il Ministero dell'Ambiente, al quale si accede mediante procedura concorsuale per titoli.
Ora il Dr Maranella non risulta iscritto al predetto Albo (e comunque di tale iscrizione non si dà conto nella deliberazione di proroga), né è stato nominato con decreto ministeriale. Ha avuto semplicemente un incarico dirigenziale della durata di 3 mesi a partire dal 1 giugno 2004 per ragioni di necessità e di urgenza, allo scopo di assicurare la normale gestione amministrativa dell’Ente. Nessuno ha avuto da ridire su quell’incarico provvisorio. Però quando le ragioni di necessità e di urgenza durano 10 anni, anzi 11 con la proroga in corso, allora quelle ragioni non sono più credibili.
Come si è giunti ad una situazione così paradossale? La colpa va attribuita in parte al Consiglio Direttivo del Parco e in parte ai precedenti Ministri del Suo dicastero. Il primo avrebbe dovuto proporre per tempo la terna dei candidati, sapendo che il 31 maggio 2004 sarebbe venuto a termine il rapporto con il precedente Direttore. Ma lo fece solo nel 2006, peraltro su sollecitazione di un funzionario del Ministero. I suoi predecessori, per contro, una volta ricevuta la terna, se la presero comoda e fecero passare inutilmente diversi anni. Quando il ministro in carica nel 2012 si decise a procedere alla nomina, per cautela invitò il Parco a far conoscere se la terna era ancora valida, visto il lungo tempo trascorso. Il Presidente rispose che non era più attuale e che il Consiglio Direttivo avrebbe dovuto formulare una nuova proposta. A tale scopo il 27 giugno 2013 approvò un nuovo avviso pubblico per una nuova selezione dei candidati, ben sapendo che il Consiglio Direttivo, scaduto il 22 gennaio 2007, non era stato ancora rinnovato e non avrebbe potuto selezionare i candidati da inserire nella terna.
Calerà un giorno il sipario di questo teatrino dell’assurdo? Da sette anni il nostro Parco è privo del Consiglio Direttivo. Le sue funzioni sono state assorbite dal Presidente e dal Direttore. Considerato, però, che il Presidente dirige un quotidiano a Roma e può dedicare al Parco solo una piccola parte del suo tempo, ne consegue che la gestione effettiva dell’Ente si concentri nelle mani del Direttore. O meglio, nelle mani del Coordinatore Tecnico Amministrativo con incarico dirigenziale.
Questa situazione è quanto meno anomala, per non dire illegale. Ed i risultati della gestione nell’ultimo decennio sono disastrosi. Il Parco ha sperperato decine di milioni di Euro per pagare gli stipendi a ben 70 dipendenti, assunti senza nemmeno l’ombra di un pubblico concorso e per instaurare centinaia di consulenze e collaborazioni esterne. Ha infestato il territorio di cinghiali che stanno mettendo in crisi l’agricoltura della nostra Regione. Solo per rimborsare i danni arrecati da questi animali il Parco ha speso la ragguardevole cifra di 9 milioni e mezzo di Euro, senza contare i danni arrecati al di fuori della perimetrazione del Parco e le spese per il loro accertamento.
Per contro, nulla è stato fatto per la promozione economico-sociale delle popolazioni locali, così com’è previsto dall’art. 3 dello Statuto. I borghi del Gran Sasso meridionale, abbandonati a sé stessi, stanno scomparendo. Poco più di un centinaio di abitanti sono rimasti a Calascio, Santo Stefano di Sessanio, Castelvecchio Calvisio e Villa Santa Lucia. Meno di 100 a Carapelle Calvisio.
Signor Ministro, un Parco così non ci serve. O viene ripristinata la legalità della gestione così com’è prevista dalla normativa in vigore, oppure è meglio chiuderlo e risparmiare tanti soldi dei quali il nostro Paese ha urgente bisogno.

Voglia gradire, Signor Ministro, i sensi della mia più alta considerazione.

Castel del Monte 2 luglio 2014
Bruno Dante


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