L’Inps boccia la domanda di cassa integrazione per circa 70 dipendenti di Aura L’Aquila. Il Comune annuncia esposto, sindacati in allarme
Una doccia fredda per i circa 70 operatori di Aura, azienda del Polo elettronico dell’Aquila: l’Inps ha respinto la richiesta di cassa integrazione ordinaria, aggravando uno stato di vertenza già difficile. I lavoratori, senza salario da agosto, si trovano improvvisamente privi di ogni tutela.
Nel corso del vertice in Prefettura e in una riunione straordinaria dei capigruppo comunali, è emerso che l’azienda non possiede più commesse attive né contratti in corso. Un rappresentante societario ha sostenuto di essere impossibilitato a comunicare con la proprietà, e ha paventato il rischio di sospensione delle utenze per insolvenza.
Al momento, l’unica alternativa resta la cassa integrazione straordinaria, ma si tratta di un percorso più complesso che necessita dell’intervento del Ministero delle Imprese e del Made in Italy e tempi decisamente più dilatati.
Il sindaco dell’Aquila, Pierluigi Biondi, ha chiesto trasparenza e garanzie per i lavoratori, mentre il presidente del Consiglio comunale, Roberto Santangelo, ha annunciato un esposto in Procura e la convocazione di un consiglio comunale straordinario. Le sigle sindacali (Fiom-Cgil, Fim-Cisl e Rsu-Uil) sollecitano tutele immediate e impegni certi da parte delle istituzioni.
Negli ultimi mesi la crisi si era già delineata: l’azienda è passata sotto il controllo della svizzera Mival Connect, che ha prospettato piani di “ottimizzazione organizzativa” con tagli fino al 48 % del personale. L’assessore regionale Tiziana Magnacca ha denunciato l’assenza della proprietà ai tavoli regionali e l’assenza di un piano industriale sostenibile.
Secondo i sindacati, l’Inps ha motivato il rigetto con carenze documentali e mancanza dei requisiti necessari per autorizzare la cassa integrazione ordinaria. Nel frattempo i lavoratori si sono presentati davanti ai cancelli aziendali al mattino, ma hanno trovato l’accesso negato: l’azienda risulta chiusa e inattiva.
Se non si troverà urgenti soluzioni istituzionali, rischia di realizzarsi il peggiore degli scenari: perdita definitiva dei posti di lavoro, desertificazione produttiva e un danno sociale non più rimediabile per il territorio aquilano.