Decennale terremoto, Cgil: l'economia e il lavoro in provincia dell’Aquila a dieci anni dal sisma

02 Aprile 2019   10:48  

Il terremoto del 6 aprile 2009 oltre alla tragedia e al dolore ha provocato ingenti danni al patrimonio immobiliare privato e pubblico ed alle attività economiche e sociali.

La provincia dell’Aquila già prima del sisma aveva subito pesantemente le conseguenze della crisi economica, laddove dai 124.000 occupati del 2007 si era passati ai 117.000 del 2008. Successivamente, dopo il terremoto, il numero di occupati in provincia è sceso al picco minimo di 107.000 al 31 dicembre 2014, con calo complessivo di 17.000 posti di lavoro.

Oggi infine, secondo i dati Istat, stimiamo che il nostro territorio ha perso a partire dal 2007 circa 10.000 occupati (al 2018 risultavano circa 114.000 lavoratori), con un recupero parziale ma ancora lontano da un’effettiva ripresa occupazionale. Numeri che evidenziano il permanere di una profonda crisi del lavoro nei territori colpiti dall’evento sismico.

Ad allarmare ulteriormente sono oggi i dati relativi agli interventi a sostegno dell’occupazione forniti dall’Inps regionale. Infatti per l’intero 2018 sono state utilizzate 2.010.827 ore di cassa integrazione, contro 1.309.946 ore del 2017, con un incremento di 700.881 ore. In termini di beneficiari poi si passa da 631 a 969 unità lavorative. Comparando la situazione con le altre province abruzzesi quella dell’Aquila risulta maggiormente in sofferenza. Infatti mentre le altre vedono un calo significativo dell’utilizzo delle ore di cassa integrazione, la nostra provincia tra il 2017 e il 2018 ha visto un aumento del 53,5%. Il settore meccanico da solo ha utilizzato il 79,4% delle ore di cassa integrazione complessive. Un ulteriore allarme è riferito all’utilizzo della tipologia di ammortizzatore sociale: nel settore industriale infatti la cassa integrazione straordinaria passa da 592.958 ore del 2017 a 1.554.311 ore dell’anno scorso, con un incremento annuale del 162,13%. Questo strumento di gestione della crisi inoltre potrebbe sfociare in eventuali licenziamenti in caso di mancata ripresa dell’attività lavorativa ordinaria.

Ad aggravare la situazione economica provinciale sono i dati relativi alle richieste di disoccupazione nelle varie forme previste (ASPI-Mini ASPI-NASPI-DISCOLL), che passano dai 5.061 beneficiari del 2017 ai 7.125 del 2018: +2.064 domande di disoccupazione, con un incremento del 40,78%.

Se questa è la situazione complessiva vediamo ora, sulla base dei dati forniti dagli Uffici Speciali per la Ricostruzione e dalla Cassa Edile dell’Aquila, cosa accade nel comparto della ricostruzione a dieci anni dal sisma. Anche qui dobbiamo purtroppo registrare un significativo rallentamento nella capacità di spesa e di conseguenza del numero degli addetti nei cantieri, con una riduzione che supera il 20% delle maestranze (da circa 10.000 addetti siamo scesi oggi a 8.000) e conseguentemente da una massa salari di circa 82 milioni siamo passati a circa 70 milioni (ottobre 2017-settembre 2018) e dunque l’economia del territorio ha perso 12 milioni di denaro circolante.

Si stima inoltre che il numero medio mensile di lavoratori per impresa è di 5 addetti, e che ogni cantiere occupa in media 4,4 unità lavorative. Nella ricostruzione post-sisma 2009 il rapporto tra il costo del lavoro e l’importo complessivo dei lavori finanziati per quell’intervento è pari al 13,2 %, mentre tale percentuale media dovrebbe attestarsi al 15% secondo gli indici di congruità convenzionali della manodopera, come è previsto oggi per il cratere del sisma Centro Italia. Per questa ragione continuiamo a chiedere la reintroduzione del DURC per congruità, per poter verificare cantiere per cantiere l’indice di congruità per la manodopera, ovvero il numero di operai necessari nel cantiere in base all’importo dei lavori, uno strumento utile e necessario per contrastare il fenomeno del dumping contrattuale e del lavoro nero.

Se nella prima fase la ricostruzione privata ha visto un’accelerazione, con una capacità di spesa che ha superato il miliardo l’anno (l’importo richiesto fu di 10.851.378.878 euro, finanziato per 7.561.706.141 euro, mentre oggi ne sono stati erogati 5.584.986.452), negli ultimi anni al contrario - e in particolare dal 2017 in poi - si è registrato un pericoloso e significativo rallentamento della capacità di spesa. Se infatti per il 2012 risultavano finanziati importi per 1.314.622.979 euro, nel 2018 si passati ad un importo finanziato di appena 250.432.832 euro.

Peggio ancora va per la ricostruzione pubblica, che a dieci anni dal sisma ancora sconta tutte le criticità che hanno impedito l’apertura dei cantieri. Gli interventi pubblici portati a compimento sono infatti appena 358 rispetto ai 1.038 quantificati dopo il terremoto, per una richiesta di spesa pari 1.345.150.120 euro, di cui finanziati 1.286.707.420 euro ed erogati 462.658.530. Con un dato ancora peggiore per quel che riguarda le scuole, dove sono stati portati a conclusione soltanto 53 dei 142 interventi previsti.
Ancora una volta infine vanno sottolineate le problematiche dei dipendenti pubblici impegnati nella filiera della ricostruzione e le necessarie e complessive soluzioni normative e finanziarie per questo personale, anche al fine di scongiurare un ulteriore inesorabile esodo. Interventi che devono superare le disuguaglianze e le criticità generate in questi anni, armonizzando le leggi e i provvedimenti emergenziali finalizzati alle assunzioni del personale nelle diverse tipologie contrattuali con le attuali previsioni normative per rendere stabile il lavoro dopo dieci anni di precariato e portare all’ordinarietà contrattuale centinaia di lavoratori impegnati quotidianamente in queste attività.

Per parte nostra torniamo a ribadire che il terremoto ha interessato una parte rilevante delle aree interne dell’Abruzzo, zone già soggette a uno spopolamento dovuto a carenza di servizi sanitari, infrastrutture, trasporti, scuole e lavoro. Basti pensare che nella sola Asl della provincia dell’Aquila mancano oltre 700 unità lavorative, con la conseguente riduzione dei servizi e liste di attesa sempre più lunghe che limitano il diritto costituzionale alla cura e alla salute.

In considerazione di tutto ciò, dell’andamento economico e occupazione a seguito del terremoto, torniamo a ribadire l’urgenza di mettere in campo strumenti straordinari di intervento finalizzati alla ripresa dei territori colpiti dal sisma, a partire da un’accelerazione dei tempi e delle procedure per l’utilizzo dei fondi del 4% per il rilancio delle attività produttive, passando per un intervento straordinario che riguardi sanità, trasporti, infrastrutture, scuole e messa in sicurezza del territorio.

Come abbiamo sempre sostenuto il governo e il Parlamento devono assumere la ricostruzione del sisma del 2009 come priorità nazionale nell’agire politico quotidiano.

I cittadini che vivono il nostro territorio continueranno a rivendicare una ripresa economica, sociale ed occupazionale: il diritto di poter continuare a vivere in provincia dell’Aquila. Insieme lo abbiamo fatto con manifestazioni e mobilitazioni, riportando all’attenzione nazionale le criticità che hanno attraversato le diverse fasi della ricostruzione, continueremo a farlo con forza per chiedere al Parlamento e al governo una legge quadro sugli eventi calamitosi che possa regolamentare non solo la prima emergenza ma anche la ricostruzione fisica, economica e sociale, affinché vi possa essere una vera continuità e celerità per il rilancio dei territori che subiscono eventi naturali catastrofici.

Significativo infine il dato della spesa della fase emergenziale post-sisma sostenuta dalla Protezione Civile e dal Commissario Straordinario per la gestione della prima emergenza, l’assistenza alla popolazione, gli interventi di ripristino urgenti, la costruzione degli insediamenti abitativi temporanei e gli espropri: una spesa quantizzabile in quasi 2 miliardi di euro.


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