Diritti e dignità per i lavoratori precari dei call center

07 Febbraio 2007   15:05  
Basta precarietà nei call center. E’ un vero e proprio ultimatum quello della Cgil e con tanto di giorno di scadenza: il 30 aprile prossimo. “Non ci sono più scuse - hanno affermato infatti questa mattina in conferenza stampa a L’Aquila Lugi Fiammata e Marilena Scimia, della Cgil Abruzzo – la Legge finanziaria stanzia per ogni lavoratore stabilizzato uno sgravio contributivo di diecimila euro”. Le sette ditte che operano nel settore in Provincia dell´Aquila devono dunque addivenire tempestivamente ad un accordo volto a trasformare i contratti a progetto impropri in contratti a tempo determinato o indeterminato. “Se questo non accadrà – minaccia Luigi Fiammata – ci rivolgeremo agli ispettori del lavoro, della previdenza, agli ispettori sanitari e alla Guardia di finanza”. In Provincia dell’Aquila sono 840 i lavoratori a progetto dei call center, ai quali vanno aggiunti gli 800 dipendenti della Transcom dell´Aquila, subordinati o interinali e dunque con qualche garanzia in più. “I lavoratori dei call center sono, nella gran maggioranza dei casi, a tutti gli effetti lavoratori subordinati, e il contratto a progetto rappresenta un abuso e in molti casi un illecito”. Una presa di posizione, quella della Cgil, che vuole segnare una svolta sul fronte dei diritti del lavoro. I numeri del precariato in Abruzzo sono infatti eloquenti e drammatici: i titolari di contratti di collaborazione, part time, formazione, apprendistato sono 213mila. Sono invece 57mila i “co.co.pro.” che rappresenta la forma più diffusa di parasubordinazione, anche per lavoratori che di fatto hanno rigidi orari di lavoro e svolgono in ufficio l´attività di “in bound” ovvero servizi telefonici di informazione, assistenza e prenotazione. In Abruzzo il numero dei precari è inoltre raddoppiato nel giro di quattro anni, e questo conferma per la Cgil il fallimento della Legge 30. La retribuzione annua di un precario non supera i 5-6mila euro lordi, e un uomo guadagna in media il doppio di una donna. “I lavoro nei call center - aggiunge Fiammata – è appunto il paradigma della moderna precarietà e di una distorsione dello sviluppo economico, basato cioè sulla compressione dei diritti e delle tutele”. FT

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