Dom Serafini dagli Usa: "Tutti i media italiani hanno conflitti d

07 Maggio 2007   17:10  
Pubblichiamo "Tutti i media italiani hanno conflitti d´interesse", articolo su "Abruzzopress" di Dom Serafini, giornalista ed editore di "Videage", italo-americano di origini abruzzesi. Esiste il conflitto d´interessi per Silvio Berlusconi? Sicuro. Dovrebbe Silvio Berlusconi liberarsi dei suoi interessi per poter ricoprire cariche istituzionali? No, nelle condizioni che vigono attualmente. Allora, dov´é la logica? In Italia. Il Governo di Romano Prodi non può pretendere che, il leader dell´opposizione, Berlusconi, si disarmi unilateralmente. L´Italia é un paese dove c´é bisogno di avere armi mediatiche e gli Agnelli sono stati i primi a capirne la necessità. Questa necessità esiste per vari motivi, tra i quali: la Costituzione, che non garantisce completa libertà di stampa; l´autorità della Privacy, che punisce gli autori di articoli investigativi sui poteri; la licenza (revocabile) dei giornalisti; i finanziamenti statali (controllo politico diretto) alla stampa e la proprietà conflittuale dei media. In America i giornali sono un business puro (altrimenti destinati all´insuccesso e quindi a chiudere) e si identificano con le testate: "The New York Times", "The Washington Post", ecc. Anzi, più in generale, questi vengono identificati come "stampa americana". In Italia, invece, non c´é una "stampa". Ci sono diverse "stampe", tutte di parte e rappresentate da varie testate che vengono identificate con la proprietà. Pertanto si ha: il giornale di Confindustria ("Il Sole 24 Ore"), il giornale dell´ingegner Carlo De Benedetti ("La Repubblica"), il giornale della famiglia Agnelli/Fiat ("La Stampa"), il giornale dei poteri forti ("Il Corriere della Sera"). Poi, le televisioni di Berlusconi (Mediaset), quelle "cattoliche" ecc. In altre parole, c´é sempre un giornale di qualcuno, mai del lettore. Alla fine, comunque, alcuni lettori riescono ad ottenere notizie adeguate, ma solamente miscelando l´informazione proveniente da diversi giornali. Non sorprende, quindi, che vari organi di controllo sulla libertà di stampa internazionale, come la Freedom house di Washington, ponga l´Italia al 40mo posto, dopo Panama. Considerando le condizioni in cui lavorano, i giornalisti e redattori italiani possono essere considerati bravi. In generale, i redattori non ricevono istruzioni dirette su come trattare una notizia, ma anni di praticantato hanno insegnato loro a rigirare la notizia secondo l´orientamento della testata. Se "La Repubblica" vede la notizia come un bicchiere "mezzo pieno" per il governo di Prodi, "Il Giornale" di Berlusconi la vedrá "mezzo vuoto". Ci sono, però, tanti elementi accettati dai direttori, quindi dalla proprietà, che stanno a indicare come per i giornali italiani, i lettori rappresentino solamente un valore aggiunto: una specie di bonus. Per esempio, quasi tutti i giornali italiani hanno in comune la propensione all´approssimazione: poche volte vengono indicati i nomi assieme ai cognomi; mai un riassunto di ciò che é accaduto in precedenza (pertanto chi si é perso una puntata riuscirà a capire ben poco), molte volte i titoli non ricalcano il contenuto dell´articolo e, spesso, il riferimento al titolo è in fondo al testo (quindi non importante come il titolo lo vorrebbe far credere). Inoltre, la stampa italiana non impiega gli "ombudsmen" che criticano internamente gli articoli pubblicati con lo scopo di farli migliorare (anche perché ci andrebbe di mezzo il direttore e, quindi, la proprietà). La critica é solamente intesa come arma politica d´assalto. Né i giornali permettono interventi di editorialisti di schieramenti opposti. Intorno alle testate si sono poi creati nuclei di intellettuali monocromatici, spesso definiti "l´esercito di penne", che pensano a legittimare e/o a delegittimare un politico o una posizione politica. Questi vengono poi ricompensati con la pubblicazione di libri che sono spesso fonti di perdite per le case editrici. Ma ciò non é considerato un problema, dopotutto la stampa in Italia non é un business, bensì un mezzo per arrivare a fare ben altro business (senza paura di conflitti d´interesse). A queste condizioni é quindi normale che ci sia una sinergia con la politica, la quale, tramite lo Stato, assiste la stampa stanziando annualmente milioni di euro come sussidi diretti, più milioni come sconto sulla carta e per la diffusione all´estero (per esempio, "La Repubblica" riceve dallo Stato oltre 1,35 milioni di euro l´anno e "Il Corriere della Sera" 714mila euro per la diffusione all´estero). Questi finanziamenti, comunque, non sono considerati conflitti d´interesse, bensì assistenzialismo (seppur ai ricchi). Ritornando alla premessa iniziale: Berlusconi dovrebbe liquidare i suoi media solamente se a farlo fossero anche De Benedetti, la Confindustria, i soci nel patto di sindacato (il cartello) de "Il Corriere della Sera" e gli Agnelli: alcuni dei tanti operatori che, seppur non direttamente in politica, sono in effetti i burattinai della politica. Vale la pena ripetere che, nelle condizioni in cui si trova la stampa attualmente in Italia, Prodi non può in tutta onestà chiedere a Berlusconi di disarmarsi unilateralmente.

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