La Grand Chambre della Corte Europea dei Diritti Umani, che non è legata all'Ue ma al Consiglio d'Europa, ha respinto ieri, tra gli altri, il ricorso presentato dall'Italia contro la sentenza del 13 giugno 2019 sul cosiddetto ergastolo ostativo, cioè il carcere a vita che non prevede benefici né sconti di pena, applicato in Italia per reati gravissimi come l'associazione mafiosa o il terrorismo, in assenza di collaborazione con la giustizia da parte del condannato.
Lo ha comunicato la Corte, con quella sentenza, che riguardava il caso di Marcello Viola, i giudici di Strasburgo hanno stabilito che la condanna al carcere a vita "irriducibile" inflitta al ricorrente viola l'articolo 3 della Convenzione Europea sui Diritti umani.
Per il detenuto, il regime carcerario cui è sottoposto è "incompatibile" con l'obiettivo della riabilitazione e della reintegrazione sociale del reo. Il ricorso alla Corte è stato depositato il 12 dicembre 2016.
Nella sentenza del 13 giugno scorso, contro la quale l'Italia ha fatto ricorso, ricorso che oggi è stato respinto, la Corte riconosceva che la legge italiana offre la scelta al condannato se collaborare o meno con le autorità giudiziarie (nel caso in cui il condannato collabori, l'ergastolo ostativo non si applica più, quindi un modo per modificarlo c'è).
I giudici, tuttavia, nutrono "dubbi circa la natura libera di quella scelta e sul fatto se sia appropriato equiparare la mancanza di collaborazione con la pericolosità sociale del detenuto". Infatti, scrive ancora la Corte citando una parte terza, "la principale ragione per cui i detenuti rifiutano di collaborare è il timore di mettere in pericolo le vite proprie o quelle dei loro familiari".