FLC CGIL, "Primo giorno di scuola tra incertezza e cattive abitudini"

24 Settembre 2020   09:15  

Oggi è il primo giorno di scuola nella provincia aquilana. Un primo giorno di scuola che viene dopo sette mesi di chiusura per pandemia da Covid 19. È un primo giorno accompagnato da comprensibili ansie e da perplessità. Ma anche da molto discutere e da poco agire politico. Sappiamo bene quanto gli operatori e le operatrici della scuola, a tutti i livelli, siano state impegnate nei mesi scorsi, affinché oggi si potesse rientrare a scuola con la maggior sicurezza possibile. Li ringraziamo ed auguriamo loro la forza di affrontare un anno incerto. La loro forza, insieme al forte senso di appartenenza e alla grande capacità che la scuola ha, in questo Paese, di cavarsela nonostante tutto, ancora una volta sapranno sostituirsi alla mancanza di investimenti adeguati e del riconoscimento della centralità dell’intero sistema scuola. Si torna a scuola, ma non in una scuola nuova e rinnovata. Nessun nodo tra quelli violentemente emersi con la pandemia è stato sciolto.

Abbiamo di nuovo sprecato un’occasione, in provincia, per pensare alla scuola in maniera organica e con una progettazione nuova. Una progettazione di senso che avrebbe potuto restituire alla cittadinanza una scuola sicura dal punto di vista edile e sanitario, inclusiva perché consapevole di tutte le componenti occupazionali e professionali che vi convergono e centrale per rinsaldare l’alleanza sociale su un territorio che soffre di spopolamento, di disoccupazione e di mancanza di investimenti.  

L’assenza di un tavolo provinciale sulla ripartenza della scuola non ha permesso di uscire dall’abitudine di agire in maniera frammentaria e di risolvere con provvedimenti disorganici e temporanei le disfunzioni di sistema impoverito che la pandemia ha fatto sicuramente emergere, ma non ha creato. 

Edilizia scolastica, trasporti scolastici e locali, servizio di mensa e di assistenza, gestione sanitaria dell’emergenza avrebbero meritato un’attenzione che non abbiamo riscontrato. Si è scelta di nuovo la via della soluzione tampone a cui da troppi anni siamo abituati. 

In ordine, non una scuola è stata strutturalmente adeguata. L’unico cantiere aperto nella città dell’Aquila, non è ancora stato chiuso e la scuola non è stata restituita alla città e all’utenza. Oggi si restituisce alla presenza della vice ministra Ascani, la scuola di Arischia, frazione dell’Aquila dove la ricostruzione post sismica non è ancora avviata, come in tutte le altre frazioni. Si inaugura, quindi, ad Arischia una scuola che, a causa dello spopolamento delle aree interne aggravato dal sisma, conta, tra infanzia e primaria, qualche decina di alunni/e, a riprova del fatto che la scuola non è una cattedrale nel deserto.  Non abbiamo notizia, se non dalle chat di genitori allarmati, di come sarà affrontato il tema dell’edilizia scolastica, per esempio a Sulmona dove la mancanza di interventi è parallela all’immobilismo amministrativo ed istituzionale.

Sappiamo che è mancato un passaggio istituzionale interlocutorio tra le scuole della provincia e l’agenzia regionale di trasporto che, solo alcuni giorni fa, non aveva un quadro organico e dettagliato delle necessità delle istruzioni scolastiche relativamente alla possibilità di scaglionare ingressi ed uscite. In una provincia vasta, dove le scuole secondarie di II grado si trovano soltanto nei centri maggiori (L’Aquila, Avezzano, Sulmona e Castel di Sangro) il pendolarismo dei ragazzi e delle ragazze è altissimo e meritava un’attenzione diversa che è mancata. 

Ci chiediamo chi analizzerà i tamponi sanitari che inevitabilmente saranno fatti dentro le scuole. Quanti presidi sanitari e laboratori saranno attivi e permetteranno di monitorare costantemente l’andamento della pandemia all’interno delle istituzioni scolastiche. Quanto personale sanitario, in una situazione di organico sottodimensionato come quella ormai endemica della nostra ASL, vi sarà dedicato e potrà agire in sicurezza e con la fornitura di tutti i dovuti presidi. 

Ci chiediamo con quale sicurezza, in termini sanitari ed occupazionali, gli operatori e le operatrici delle mense potranno tornare al lavoro dopo sette mesi di ammortizzatori sociali, di disoccupazione e di incertezza. Ci chiediamo cosa sarà di loro se si andrà a nuovi periodi di isolamento. 

Ci chiediamo se gli assistenti e le assistenti educative, da marzo in regime di FIS, torneranno con tranquillità a svolgere il loro lavoro accanto ad un’utenza di cui ci si è occupati molto poco, esclusa dalla didattica a distanza e vagamente affrontata dalle nuove linee guida sulla didattica digitale integrata. Sappiamo che proprio in queste ore nel Comune dell’Aquila vi è incertezza sulla  loro presenza a scuola per difficoltà nel cambio di appalto. 

Ci chiediamo se non potevano i mesi scorsi rappresentare l’occasione per ripensare l’importanza che può avere la centralità della scuola nel nostro territorio. Ci chiediamo se una distribuzione intelligente e concertata delle risorse economiche, provenienti dal recovery fund, non avrebbe potuto o, ottimisticamente non potrebbe ancora, restituire alla nostra provincia un respiro progettuale e la speranza di uscire dalla tendenza economica, demografica e sociale negativa degli ultimi decenni. 


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