Gabriele D'Annunzio, la produzione dannunziana

SECONDA PARTE

10 Settembre 2013   07:41  

Gabriele D’Annunzio nella sua vasta produzione si è dedicato a molteplici generi: poesia lirica, poesia epica, romanzo, novelle, teatro, scritti di critica, cronaca giornalistica, prosa d'arte e questa variegata prolificità mostra la sua grande apertura mentale, verso i più svariati campi. Egli sa, infatti, combinare modelli antichi e moderni contraffacendoli secondo le proprie strategie.

Molta parte della critica è d’accordo nel ritenere che la grande poesia dell’ultimo Ottocento e inizi del Novecento si possa riassumere in tre opere : Odi Barbare, Poemi conviviali e il libro di Alcyone: Carducci, Pascoli e D’Annunzio. D’Annunzio produsse una sterminata opera di prosa e poesia senza riposo e con inesausta fatica e , piaccia o non piaccia, è stato comunque uno dei più grandi poeti italiani.

Elemento essenziale dell’opera dannunziana è la parola. Ogni parola era per lui , come per istinto una cosa nuova, una creatura viva; fin dai suoi primi scritti fu collezionista appassionato di termini disusati che rimetteva in uso per ridare luce a parole dimenticate e incastonarle nelle sue opere. In questo riconobbe sempre come maestro il Carducci raccolse il suo insegnamento e lo ampliò.

La sua ricerca fu intensa e si valse di un senso della lingua non più profondo ma certamente più esteso. Risalì fino ai trecentisti ,non aveva paura dell’arcaismo che, per la sapienza della collocazione, serviva a dare a un verso o ad un periodo una colorazione singolare. Questo studio accurato della parola non è tutto lo stile ma è un elemento costitutivo di esso.

La ricchezza della parola era un mezzo non un fine, anche se nel tardo D’annunzio sopraggiungerà l’abuso, proprio nelle opere che più contano che caratterizzeranno il fenomeno letterario ,e non solo, definito dannunzianesimo.

 

LA POETICA

La poetica e la poesia del D’Annunzio sono l’espressione più appariscente del Decadentismo italiano. Dei poeti decadenti europei egli accoglie modi e forme, senza però approfondirne l’intima problematica, ma usandoli come elementi decorativi della sua arte fastosa e composita.

Aderisce soprattutto alla tendenza irrazionalistica e al misticismo estetico del Decadentismo, collegandoli alla propria ispirazione narrativa, naturalistica e sensuale. Egli rigetta la ragione come strumento di conoscenza ,per abbandonarsi alle suggestioni del senso e dell’istinto; spesso vede nell’erotismo e nella sensualità il mezzo per attingere la vita profonda e segreta dell’io.

Cerca una fusione dei sensi e dell’animo con le forze della vita, accogliendo in sé e rivivendo l’esistenza molteplice della natura, con piena adesione fisica, prima ancora che spirituale. E’ questo il “panismo dannunziano”, quel sentimento di unione con il tutto, che ritroviamo nelle poesie più belle di D’Annunzio, in cui riesce ad aderire con tutti i sensi e con tutta la sua vitalità alla natura, vi si immerge e vi si confonde. La poesia diviene quindi scoperta intuitiva; la parola del poeta, modulata in un verso privo di ogni significato logico, ridotta a pura musica evocativa, coglie quest’armonia e la esprime continuando e completando l’opera della natura. La sua vocazione poetica si muta poi in esibizionismo e la poesia vuol diventare atto vitale supremo, estremamente individualistica e irrazionale. Alla base del pensiero dannunziano è possibile riscontrare , oltre al citato Panismo due componenti : Estetismo e Superomismo che si manifestano con l’esaltazione del primitivo, dell’erotismo o quella sfrenata del proprio io.

 

L’ESTETISMO

L’estetismo in lui è il culto del bello: vivere la propria vita come se fosse un’opera d’arte, o al contrario vivere l’arte come fosse vita. Quest’atteggiamento, preso dal Decadentismo francese, corrisponde alla personalità del poeta : l’esteta che si limita a realizzare l’arte, ricercando sempre la bellezza; ogni suo gesto deve distinguersi dalla normalità, dalle masse.

Di conseguenza vengono meno i principi sociali e morali che legano al contrario gli altri uomini.

Il superuomo assomiglia all’esteta, ma si distingue per il suo desiderio di agire ,considera la civiltà un dono dei pochi ai tanti e per questo motivo si vuole elevare al di sopra della massa.

Definito da B. Croce "dilettante di sensazioni", D'Annunzio interpreta da un punto di vista superomista il gusto decadente e intende il poeta come soggetto inimitabile. L'arte è attività suprema, fortemente soggettiva ed esaltante. "Il Piacere" è considerato dalla critica la vera e propria "bibbia" del decadentismo estetico italiano.

Tuttavia, considerando la dimensione che assunse il simbolismo-decadentismo in Europa, dobbiamo considerare l'originalità, se non l'eccezionalità, di un tale autore. Andrea Sperelli, il protagonista, è un personaggio autobiografico, poiché è l'incarnazione di quello che l'autore avrebbe voluto essere. Esteta fino all'eccesso, Andrea Sperelli (alias di D'Annunzio) vive da uomo fuori dal comune perché eccezionalmente dotato e raffinato. Nel romanzo il poeta ricerca la bellezza in una donna affascinante e sfuggente, espressione di ciò che può ammaliare un esteta.

  

IL SUPEROMISMO

Il mito del superuomo costituisce l’impronta dominante dell’opera , della vita stessa di D’Annunzio. Concezione che riprende dal filosofo tedesco Nietzsche, di cui però trascura la profondità filosofica che mira a proporre una dimensione umana che vada oltre l’immiserimento storico dell’uomo.

Per D’annunzio infatti il superomismo si traduce soprattutto in eccentricità ed affermazione dell’individuo sulla massa. C’è nel poeta il desiderio di imporsi, di agire e ciò spesso sconfina in megalomania riscontrabile già nel poeta adolescente . D’Annunzio, avendo rifiutato di porsi una problematica del vivere, si proietta in una vita attiva e combattiva. Il suo vitalismo si rivela in due sensi: come insofferenza di una vita comune e normale e come vagheggiamento della "bella morte eroica" . In lui il superuomo trova la sua perfetta identificazione con l'artista : non è tanto la vita a tenere dietro l'arte, ma l'arte a seguire le eccentricità della vita e questo costò al poeta un'accusa di superficialità.

 

LE OPERE

D’Annunzio esordì nella società con opere in prosa poesia e sceneggiature teatrali, esordì nella sua carriera di scrittore proprio come poeta, pubblicando il "Primo vere" , raccolta di ispirazione carducciana, che nasce nel dicembre dell'anno 1897, durante la frequentazione, da parte del giovane Gabriele del Reale Collegio Cicognini. e rappresenta la prima esperienza per il D'Annunzio nel campo della poesia.

Si compone di 26 poesie, ciascuna dedicata ad un rappresentante della famiglia, ad un amico oppure alla musa ispiratrice, di nome Lilia; è poi presente un'appendice che contiene quattro traduzioni di Orazio. Nel 1898 uscì il Canto Novo raccolta sempre secondo lo stile carducciano nelle forme poetiche, ma la tematica e i toni sono nuovi e il vitalismo dannunziano si manifesta con particolare vigore. La natura é rappresentata nel suo tripudio di luci, colori, odori e con essa il giovane poeta stabilisce un «rapporto di tipo solare, panico» (Zaccaria), proteso alla più piena fruizione, al godimento, a una sorta di mitica fusione.

L'edizione definitiva è divisa in due parti, scandite a tre "Offerte votive": all'inizio, a Venere; nel mezzo a Pan; nella conclusione ad Apollo. Una terza e importante raccolta dell'esordio fu "Intermezzo di rime", dove il tema erotico viene invece sviluppato appieno.

Per quel che riguarda la prosa, D'Annunzio dapprima sviluppa il filone verista, partendo da Verga e cercando di imitarne il realismo pubblica ( 1902) le "Novelle della Pescara", ambientato in quello che allora era il villaggio di Pescara e nella campagna circostante, utilizzando anche alcuni testi già apparsi nelle raccolte Il libro delle vergini (1884) e San Pantaleone (1886).

L'opera nasce come raccolta di canti, con temi diversi, che acquisiscono unitarietà proprio in relazione all'elemento caratterizzante che è il territorio. D'Annunzio, inserendo con violenza se stesso e i suoi sentimenti ,descrive una terra abitata da persone impulsive, irruente ed a volte, anche brutali: emozioni ed impulsi che trovano nel territorio la loro radice poiché D'Annunzio le riconduce ad un sentimento collettivo, in quanto condiviso da tutti gli abitanti dell'area.

Si dedica quindi al romanzo e pubblica il suo primo grande capolavoro, "Il piacere" (1889), considerato a ragione il manifesto dell'estetismo italiano, in cui la forma e l'apparenza dominano su tutti gli altri valori.

Protagonista è Andrea Sperelli D'Ugenta, educato dal padre al piacere e all'estetica, che si configura come il primo eroe dannunziano e che preannuncia le caratteristiche di quelli che saranno i superuomini nei romanzi successivi. Nella Roma di fine secolo, dove si ambienta il romanzo, D'Annunzio propone gli ambienti mondani e nobili della città; il romanzo è ricco di amori estetizzati e in linea con il piacere dannunziano.

Nel 1893 compone il "Poema paradisiaco": il titolo, dal latino Paradisius = giardino, letteralmente equivale a "poema dei giardini".

In esso il poeta, stanco di mentire e di vivere la società esteta, medita sui luoghi natii e sulla loro la purezza e li fa sentire "più veri". Vi raccoglie liriche composte a partire dal 1891. Si puo' dire che l’opera, nella maggioranza dei suoi versi, esprime un momento psicologico, una disposizione umana, una tematica che sono alternativi a quegli atteggiamenti e a quei temi (il piacere, il pagano godimento) che fino ad allora il poeta aveva espressi. Il poema diventa per D'Annunzio come un lavacro di innocenza dopo l'esaltazione dei miti di barbarie e di lussurie. Per i crepuscolari il Poema paradisiaco sara' un fondamentale punto di riferimento.

Subito dopo cerca temi nuovi e si dedica alla lettura di alcuni autori russi come Tolstoj o Dostoevskij; tenta quindi l'approccio ai drammi morali, : in questa ottica pubblica due romanzi, "Giovanni Episcopo" (1891) e "L'innocente"(1892).

Da quest'ultimo il regista Luchino Visconti trasse un film nel 1976. In queste opere D'Annunzio diede di nuovo prova di saper assorbire e rielaborare con straordinaria rapidità i più vari modelli espressivi : è evidente tra gli altri l'influenza di Tolstoj e di Dostoevskij, mentre nelle Vergini delle rocce (1895) il riferimento ideologico è al filosofo Friedrich Nietzsche, anche se in D'Annunzio la figura del superuomo mantenne una forte componente estetizzante.

In seguito a questa esperienza e alla lettura di Nietzsche inizia un ciclo di romanzi detti" del superuomo".

Il ciclo si compone di tre opere. La prima: "Le vergini delle rocce" è un romanzo ritenuto il manifesto politico del superuomo, che ha per protagonista Claudio Cantelmo; egli è il superuomo e pensa che non gli basti una vita per poter realizzare questo suo desiderio di potenza e azione, decide quindi di avere un erede.

Frequenta così una famiglia di grande nobiltà borbonica e dovrebbe scegliere tra le tre fanciulle di questa famiglia la donna con la quale avere l’erede. Di queste tre ragazze una è caratterizzata da grande sensualità e bellezza fisica, un’altra da grande bellezza spirituale e la terza da grande erudizione.

Il romanzo si conclude con la sconfitta del superuomo, perché Cantelmo non può avere una fanciulla che possegga tutte e tre le caratteristiche. La seconda opera : "Il trionfo della morte" (1894) ,ritenuto il manifesto sensuale, è narrato in terza persona con il solito stile fastoso e musicale.

Dominano i toni cupi e tutto è pervaso da un senso funereo di orrore. Con questa opera D'Annunzio vuol creare la prosa moderna in cui si fondono scrittura d'arte e lirica, e in cui siano prevalenti i valori formali ed autobiografici. La terza "Il fuoco" (1900) è considerato invece il manifesto letterario: il personaggio è Stelio Effrena, procacciatore di emozioni in una Venezia sfacciatamente romantica e "… magnifica e tentatrice ne cui canali, come nelle vene di una donna voluttuosa, incominciava ad accendersi la febbre notturna". In esso c’è piuttosto palese il parallelismo tra Stelio e D'Annunzio stesso, tra la "Foscarina", l'amante del protagonista nel romanzo, ed Eleonora Duse. Momenti di altissima poesia, e di suggestioni squisitamente inebrianti, giochi verbali degni di suggestioni , soprattutto nelle descrizioni dei giochi d'amore tra i protagonisti.

Il romanzo in definitiva è avvolgente, un tipico manifesto dannunziano, con tutti gli eccessi: il messaggio superomistico , l'autocompiacimento esasperato della penna narrante, oltre al carattere vincente mai smorzato da debolezze "verosimili", veramente umane. Un romanzo con una coppia al centro, all'apparenza, anche se il complesso comunica una fine costruzione di un piedistallo, sul quale D'Annunzio pone i suoi dei interiori.

Nel 1903 dopo "Le faville del maglio", un'opera in cui il poeta proietta tutti i suoi ricordi, compone "Il libro delle laudi" o, semplicemente , "Le laudi". In questa raccolta, ed in particolare nel terzo libro, "Alcyone", ci troviamo di fronte alla summa poetica del D'Annunzio, in cui la parola diventa musica e il suono viene a dominare sul significato.

È da quasi tutta la critica considerata l’opera massima, poesia pura melodia e colore, potenza verbale e ritmo musicale ma soprattutto per la parte che ha in essa il mito. Ricorre alle immagini e figure mitologiche e le trasforma in materia con un’interpretazione nuova e geniale, come nel ditirambo di Icaro, e la sua fantasia ricca gli consente di creare favole nuove. Abbandona sia le pretese superomistiche che quelle tribunizie di poeta-vate e celebra la natura, ma senza la carica di sensualismo vitalistico del Canto novo, nè il manierato e languido abbandono del Poema paradisiaco; il paesaggio diventa stato d'animo, lo spettacolo della sera si fa suggestivo volto femminile.

Non a caso fanno parte della raccolta due delle liriche più belle del poeta: La pioggia nel pineto e La sera fiesolana. Per quel che riguarda la dimensione teatrale compose diverse opere tra le quali: La fiaccola sotto il moggio, La città morta e Cabiria, che fu un soggetto cinematografico e testimonia la poliedricità e il tentativo di incursione del poeta in tutti i campi della produzione artistica. Merita una particolare menzione "La figlia di Iorio" che è l’ultimo frutto di questa tradizione secolare che rifacendosi a Virgilio rinasce gloriosa con la tragedia pastorale.

Un presagio era già nelle Novelle della Pescara e in certi capitoli del Trionfo della morte ma, da quella vita remota e primitiva lirica e pittoresca della gente d’Abruzzo, il poeta sa creare un ambiente mitico ricco di fantasia in cui si colloca come in un presepe, la propria figura. L'ultimo romanzo di un certo valore D’Annunzio lo compose nel 1910 : “Forse che sì forse che no”. In esso i simboli della modernità (automobile ed aeroplano) diventano i mezzi per l’espansione dell’ego del nuovo superuomo, il coraggioso pioniere della velocità, automobilista ed aviatore.

L’ultima produzione ,definita "prosa notturna", raffigura un ridimensionato eroe, un uomo anche assalito da paura, malinconia, dolore, angoscia.

La poesia lascia il posto a una prosa musicale sincera e a una voglia di confessare le proprie emozioni. "Ricercando me stesso, dice nel Notturno, non ritrovavo se non la mia malinconia. Ricercando il mio silenzio, non ritrovavo se non la mia musica". E appunto nel racconto dei suoi mesi di "clausura" e privazione della luce, nel suo diario "notturno" scritto in un periodo di cecità dovuto ad un incidente aviatorio in cui perse un occhio, s'intravede un D'Annunzio poeticamente musicista, con forme liricamente sciolte e "moderne", più vicine al nostro sentire.

Scriveva Alfredo Gargiulo nel suo saggio uscito sulla "Ronda" nel 1922: "Così, assai probabilmente, nella sua intenzione il 'Notturno' dovette svolgersi, sì, come racconto più o meno realistico di quelle vicende, ma anche come una specie di composizione musicale, un seguito tutto legato di motivi".

L'ultima opera, a cui il Poeta si dedica nel ritiro del Vittoriale, porta il titolo: “Cento e cento pagine del Libro Segreto” e venne pubblicata nel 1935. Contiene considerazioni sul presente e ricordi affioranti dalle zone più diverse del passato che evidenziano il forte sentimento di legame con la sua terra, con la sua gente e con i suoi familiari e con la sua casa, luogo di imprese memorabili infantili: Via crucis, Via necis Via nubis ecc.

A quest’opera , giudicata dalla moderna critica la più autentica dell'ultimo D'Annunzio egli affida le ultime riflessioni nate da un ripiegamento interiore ed espressi in una prosa frammentaria e sono la testimonianza della capacità del poeta di rinnovarsi artisticamente anche alle soglie della morte, giunta l'1 marzo 1938. Su D'Annunzio e sul valore complessivo dell'opera dannunziana, la critica non è sempre concorde.

C'è chi come Croce e gli idealisti in generale lo definiscono "dilettante" di sensazioni, ai livelli più superficiali legati al senso più che al sentimento. Le analisi più profonde del suo fare poetico sono invece venute da Gargiulo, Serra e De Robertis che hanno scandagliato più la sua arte che l'uomo e dalle quali emergono opere che influenzeranno anche parte della letteratura del ‘900.

Quelle ricorrenti nella "critica positiva" sono: Canto Novo , Alcyone e il Notturno dall’impressionismo abbastanza vicino alla letteratura dei vociani . In sostanza la critica condanna le opere in cui vi è commistione di superuomo e follia ed esalta l'opera poetica, la lirica che tocca con l'Alcyone il punto più alto. I documenti sono tratti da: “Gabriele D’annunzio” a cura dell’istituto di divulgazione dannunziana Roma MCMLII, dall’Archivio della Sovrintendenza per i beni culturali per l’Abruzzo e da: “D’Annunzio documenti e testimonianze” di M Vecchioni.

 

 

Le immagini sono tratte dal patrimonio fotografico di Tonino Tucci

Ricostruzione storiografica a cura di Elisabetta Mancinelli


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