Gino Famiglietti: "Ricostruzione a L'Aquila? Bisogna snellire la burocrazia"

28 Maggio 2012   10:19  

Gino Famiglietti, direttore regionale per i Beni culturali e paesaggistici del Molise, a L'Aquila in occasione del convegno Paesaggio Costituzione Cemento, si interroga sullo stato della ricostruzione nel capoluogo.

In questa intervista di Maddalena Banicelli per la rivista culturale Mu6 traccia un bilancio dello stato delle cose aquilane in rapporto con quanto sta accadendo nel resto della nazione.

L’Aquila, a tre anni dal terremoto. Cosa non ha funzionato? Come siamo arrivati a questo punto?

Non conosco i dettagli della vicenda aquilana: quello che posso dire, in base all’esperienza maturata durante il terremoto dell’Irpinia, è che, in fase di ricostruzione post sisma, è importante che gli uffici operativi impegnati nel restauro e recupero funzionale del patrimonio monumentale danneggiato, abbiano la diretta disponibilità delle risorse stanziate allo scopo. Ricordo infatti che anche all’epoca del terremoto in Irpinia fu creata una struttura di raccordo, la Soprintendenza speciale per le aree terremotate, ma con soli compiti di erogazione dei fondi necessari agli uffici operativi: oggi nulla vieta che in Abruzzo tale ruolo sia svolto dalla Direzione regionale, che potrebbe anche svolgere le funzioni di stazione appaltante, come peraltro prevede l’ordinario assetto organizzativo del Ministero. L’importante è che i fondi vengano accreditati su un unico capitolo di spesa, dalle cui disponibilità si possa attingere per ogni esigenza, in modo da non mortificare le necessità di funzionamento ordinario delle strutture, il cui soddisfacimento è fondamentale anche per l’efficiente svolgimento dell’attività di restauro: non si possono far funzionare i cantieri di restauro se gli incaricati della direzione dei lavori non vi si possono recare in missione per controllarne l’andamento. Nel caso de L’Aquila credo pertanto che sia fondamentale eliminare qualche passaggio di troppo che si è verificato nella catena di comando.

-Il Governo ha annunciato cambiamenti da questo punto di vista…

In base alla mia esperienza, occorre, come ho già detto, che anche in questo caso l’amministrazione periferica sia messa in grado di operare non attraverso strutture ‘speciali’, che spesso si risolvono in inutili sovrapposizioni di uffici e di competenze, ma attraverso una normativa che semplifichi l’azione e consenta l’assegnazione delle risorse ad un unico soggetto – che in questo caso ben potrebbe essere, ad esempio, la Direzione regionale – il quale possa così procedere all’aggiudicazione dei lavori ed alla loro esecuzione utilizzando, allo scopo, un unico capitolo di spesa dal quale attingere anche per le correlate spese di funzionamento della struttura. Si potrebbe anche pensare di introdurre, per via normativa, la possibilità, per gli enti ed i privati che siano proprietari di edifici sottoposti a tutela, di delegare le strutture ministeriali alla esecuzione degli interventi di restauro sugli edifici di loro proprietà, quanto meno per le parti strutturali: in tal modo, secondo un modulo operativo già sperimentato con risultati positivi in Campania, l’Amministrazione b.a.c. potrebbe condurre i restauri secondo criteri scientifici corretti senza costi aggiuntivi per l’erario pubblico, anzi con un abbattimento delle spese di progettazione e direzione dei lavori, spesso non di poco conto.

-È sempre più diffusa la percezione che l’Aquila sia una metafora dell’Italia. Cosa ci racconta del nostro Paese?

La cosa che mi ha colpito, e che mi lascia perplesso, è che gli interventi di prima sistemazione (?) dei cittadini aquilani nei diciannove agglomerati realizzati nelle campagne circostanti il nucleo urbano danneggiato dal sisma costituiscono una metafora, preoccupante, della trasformazione del cittadino in consumatore. La dispersione della popolazione della città storica in 19 nuclei abitativi, con il supermercato come unico punto di aggregazione per ognuno di essi, costituisce, in fondo, una esemplificazione di quello che l’Italia è stata fatta diventare negli ultimi anni ed è, presumibilmente, il modello dell’Italia che una certa cultura politica vorrebbe realizzare. Appare infatti evidente, se si riflette su tale realtà, che oggi essere cittadini non vuol dire più essere soggetti partecipi della cosa pubblica, ma essere in grado di spendere. Questo avviene all’interno di un meccanismo in cui tutto si tiene: da una parte c’è il sistema televisivo, che pubblicizza i prodotti, quali che essi siano, dall’altra il cittadino, che vive all’interno, quasi prigioniero, di una ‘realtà’ e di una di una ‘verità’ che sono inconfutabili, in quanto trasmesse dalla televisione. E se questo è il modello al quale si tende, è evidente che il sistema democratico è in crisi. La cittadinanza non si esprime più attraverso l’esercizio di una coscienza critica, ma attraverso la reiterazione di comportamenti acritici: in un tale contesto, l’espressione del consenso, in qualunque forma, finisce per essere priva del valore di scelta responsabile.

-Come se ne esce?

In quest’epoca, che definirei postideologica, occorre continuare a far riferimento alla Carta Costituzionale, che è il ‘contratto sociale’ su cui si fonda la nostra comunità nazionale. L’articolo 9 - che affida allo Stato repubblicano il compito di promuovere lo sviluppo della cultura e di tutelare il paesaggio ed il patrimonio storico ed artistico della Nazione - è la chiave di volta per uscire da questa situazione: la cultura e la conoscenza come strumenti per l’esercizio di una cittadinanza cosciente, che presuppongono il recupero del patrimonio culturale come recupero della propria storia e della propria identità. Sono questi i modi possibili per un approccio critico e cosciente alla realtà, senza cercare delle scorciatoie che non esistono. Questo impegno deve partire da ognuno di noi: sperare che possa esserci un sistema di istituzioni perfettamente funzionante che lo trasmetta ai cittadini, significa ipotizzare una realtà che non c’è. Ognuno deve avere piena contezza del proprio ruolo e della propria funzione: occorre essere ‘partigiani’, ossia prendere ‘parte’: solo così si è anche cittadini.

 -E, tornando a l’Aquila, da dove possiamo ripartire?

Affrontando una questione per volta, e partendo dal dato urbanistico: più tardi parte la ricostruzione, più alto diventa il rischio che lo strappo creato nel tessuto sociale della città non si rimargini, che il tessuto connettivo della comunità aquilana non si ricostituisca. Perciò diventa assolutamente fondamentale ripartire con il restauro degli edifici pubblici di valenza monumentale: la comunità cittadina si ricostituisce partendo dai simboli collettivi, che richiamano la comune radice sociale. L’Aquila non può esistere senza la sua memoria.


Oroscopo del Giorno powered by oroscopoore