Gli italiani, i media distratti e le 26 guerre del mondo

3° Rapporto Caritas sui conflitti dimenticati

19 Gennaio 2009   13:25  

Diffuso lo scorso venerdì presso la sede romana delle Caritas italiana, il dossier sui conflitti dimenticati descrive un interessante- quanto inquietante- spaccato del rapporto conoscitivo che intercorre tra gli italiani e le guerre nel mondo. La ricerca, curata dalla Caritas in collaborazione con Famiglia Cristiana e il quindicinale Il Regno, approfondisce questa volta il profondo legame che unisce "conflittualità armata e degrado ambientale, povertà e cambiamenti climatici". Dopo le prime due indagini volte rispettivamente all'analisi delle guerre in corso nelle periferie del Pianeta (Colombia,Sri Lanka e Burundi) e di quelle "infinite" che incendiano Terra Santa, Afghanistan,Iraq, Congo, Cecenia e Indonesia, il terzo rapporto chiamato "Nell’occhio del ciclone" ed edito dal Mulino, si concentra sulle connessioni tra guerra e dinamiche ambientali, esplorando quelle situazioni ritenute spesso poco appetibili dal sistema mediatico, ma di elevata gravità e impatto ecologico, come i conflitti armati nel Sudan, nelle Filippine, in India e in Somalia.

E' la seconda parte del rapporto tuttavia a solleticare la polemica. Uno studio triennale quali-quantitativo mostra come i media italiani non concedano sufficiente spazio al racconto fedele delle guerre che incendiano il mondo, seguiti da un pubblico che non sembra risultarne particolarmente offeso, e che anzi appare particolarmente incline a “dimenticare” …

LA GUERRA: QUELLA GRAN BRUTTA COSA CHE OGNI TANTO SI VEDE IN TV ...

In un sistema mediatico dove "attenzione = consumo", il racconto fedele della realtà è niente in confronto alla spettacolarizzazione della stessa. Non solo, il fattore tempo, disumano e legato agli imperativi di un'economia dell' informazione sempre più schizofrenica ed autoreferenziale, impedisce ad autori e pubblico l'approfondimento consapevole di qualsiasi situazione. La vita è una, i problemi tanti, ed è così che a fine giornata tra la guerra in Congo e lo smalto di Britney Spears la mente falcidiata dell' italiano non sembra soffrire di alcun dubbio amletico: informarsi è faticoso, l'oblio dell'intrattenimento da Tg pericolosamente gratuito. I media dal conto loro non hanno identità, abituati oggi come non mai ad assecondare e viziare la nostra parte peggiore: l’ accidia. Non siamo amanti della mediocrità come molti vorrebbero fossimo, ma dell'ozio. Quel crogiolarsi nel problema fin quando è possibile, quella riluttanza ad agire, a cambiare, a sfuggire al richiamo della profondità, come può non riflettersi nell'uso che facciamo del telecomando?

In assenza di altre fonti informative spesso più complesse e meno immediate della cattiva maestra, gli italiani mostrano di possedere una scarsa consapevolezza riguardo al tema guerra. La fatica di informarsi autonomamente in aggiunta al poco spazio concesso dai media generalisti italiani al racconto delle guerre in atto sul Pianeta, rendono la percezione di tali fenomeni alquanto "modesta" nel nostro Paese. Un esempio eloquente viene fornito dalla crisi catastrofica che imperversa in Congo: le Nazioni Unite si appellano, l'Europa discute, i media italiani tacciono. Troppo lontana dai salotti politici nostrani questa guerra fatta di sangue e abominio non interessa ai signori dell'informazione generalista.

Il SONDAGGIO DELLA CARITAS: ''SMEMORATI MA CONTRARI''

Dal sondaggio svolto dalla Swg di Trieste riportato nel dossier della Caritas, emerge che la percentuale di quanti ammettono di "non ricordare alcun conflitto armato risalente agli ultimi 5 anni" è aumentata significativamente rispetto alla rilevazione del 2004, passando dal 17 al 20%.

Nonostante l'uso della rete nella ricerca di notizie riguardanti i conflitti sia aumentato dal 6 al 16% nell'arco di 4 anni, la componente di giovani che non sa indicare alcuna guerra in corso, sfiora addirittura il 30%. Anche il ricordo di conflitti molto discussi e recenti appare sfuocato: eccetto i paesi che impegnano contingenti militari italiani, le citazioni relative ad altre località segnate dalla guerra non superano il 10%. Dalla ricerca appare evidente come la memorizzazione di alcuni conflitti sia influenzata dalla vicinanza degli stessi al territorio italiano: "Kosovo e territori della ex Jugoslavia restano nella memoria di molti, mentre si registra scarsa traccia dei conflitti che da decenni affliggono molte regioni dell’Africa o del sud-est asiatico".

Non fa eccezione neanche la vicenda del Myanmar, i cui aspetti drammatici (dalla protesta dei monaci buddisti duramente repressa dal regime militare al disastro provocato dal ciclone Nargis), sembrano siano stati dimenticati da oltre la metà degli intervistati, e spesso confuse dagli altri con la rivolta seguita nel Tibet.

A parte la scarsità di informazione mediatica, e la proverbiale pigrizia del consumatore di news nostrano, l'opinione pubblica del Paese continua a mostrarsi nettamente contraria alla guerra. Gli italiani rifiutano il conflitto armato in quanto essenzialmente dettato da interessi economici(65%), politici(44%), e da svariate ragioni che poco mostrano di avere a che fare con la difesa della sicurezza internazionale(7%). Secondo la maggioranza degli intervistati la guerra è un fenomeno "ingiustificabile", un anacronismo crudele e insensato,un tranello socioeconomico che solo la crescita culturale ed esistenziale della collettività può trascendere(76%). Sempre costante rimane anche la domanda di una politica estera volta alla pace globale. Un'urgenza testimoniata dalla richiesta sempre più elevata di potenziare il ruolo svolto dall'Onu(79%), e dal favore che interventi umanitari volti alla mediazione piuttosto che alla belligeranza hanno riscosso tra gli intervistati. Ritenute tutt'altro che intelligenti le armi di precisione: secondo 7 italiani su 10 tali strumenti "non sono sufficienti" a circoscrivere l'impatto devastante di una guerra.


LE GUERRE NEL MONDO. I PAESI E LE VITTIME ALL'INIZIO DEL 2008

Medio Oriente

1. Iraq: 125.000 morti dal 2003
2. Israele-Palestina: 6.000 morti dal 2000
3. Turchia (Kurdistan): 40.600 morti dal 1984

Asia

4. Afghanistan: 32.000 morti dal 2001
5. Pakistan(Waziristan): 6.300 dal 2004
6. Pakistan(Balucistan): 1.000 morti dal 2004
7. Sri Lanka: 72.000 morti dal 1983
8. India(Kashmir): 65.000 morti dal 1989
9. India(Naxaliti): 6.600 morti dal 1980
10. India(Nordest): 51.000 morti dal 1979
11. Birmania(Karen): 30.000 morti dal 1948
12. Thailandia: 2.800 morti dal 2004
13. Filippine(Mindanao): 70.200 morti dal 1984
14. Filippine(Npa): 40.200 morti dal 1969

Africa

15. Algeria: 150.300 morti dal 1992
16. Sudan(Darfur): 300.000 morti dal 2003
17. Ciad: 2.000 morti dal 2005
18. Rep.Centrafricana: 2.000 morti dal 2003
19. Nigeria: 14.300 morti dal 1994
20. R.D.Congo(Kivu): 3.000 morti dal 2004
21. Uganda: 100.000 morti dal 1987
22. Kenya: 1.000 morti dal 2007
23. Somalia: 6.000 morti dal 2006
24. Etiopia (Ogaden): 4.000 morti dal 1994

Europa

25. Russia(Cecenia): 240 mila morti dal 1994

America Latina

26. Colombia: 300.000 morti dal 1964


TRATTO DA PEACEREPORTER:


STRISCIA DI GAZA. CON LA TREGUA AUMENTA IL NUMERO DELLE VITTIME

Sembra destinato ad aumentare notevolmente e rapidamente il numero di morti provocati da tre settimane di offensiva israeliana sulla Striscia di Gaza. La tregua, dichiarata nella notte e già violata da una serie di episodi, ha comunque garantito una calma relativa (soprattutto se paragonata all’inferno dei giorni scorsi) che ha permesso a soccorritori e famiglie di tornare in zone della città abbandonate, portando così alla scoperta di numerosi cadaveri. Secondo un primo bilancio parziale, nelle prime ore della giornata di oggi almeno 95 cadaveri sono stati estratti dalle macerie degli edifici colpiti, portando a circa 1300 il numero dei morti di tre settimane di operazioni militari israeliane. L’agenzia palestinese ‘Maan’, citando il servizio ambulanze di Gaza, precisa che tra le vittime ‘scoperte’ ci sono molte donne e bambini che si trovavano in casa durante i combattimenti e che molti cadaveri si presentano in avanzato stato di decomposizione. Sul fronte militare vanno registrate le azioni compiute dall’esercito israeliano - tanto in alcune zone di Gaza città, quanto nel nord e nel sud della Striscia e che hanno provocato la morte di almeno un palestinese (un contadino) e il ferimento di un numero ancora imprecisato – che, secondo media internazionali, ha compiuto almeno un’incursione aerea e il lancio di razzi da parte di gruppi armati palestinesi verso il territorio israeliano. Lanci che non hanno avuto alcuna conseguenza di rilievo. Tuttavia, anche fonti palestinesi confermano che durante la notte sono cessate le operazioni militari maggiori condotte nei giorni scorsi e che in alcune zone i militari israeliani si sono ritirati dai centri abitati. L’agenzia palestinese Maan sottolinea comunque come truppe israeliane siano ancora presenti tutt’intorno a Gaza città e in altre zone chiave della Striscia, mantenendo quella divisione territoriale in tre aree diverse attuata dopo l’invasione di terra. Hamas ha già annunciato che la resistenza continuerà finchè i soldati israeliani non si saranno ritirati da Gaza, ma, secondo fonti giornalistiche occidentali, avrebbe comunque acconsentito a una tregua di una settimana per dare tempo agli israeliani di ritirarsi. Ieri, anche il segretario generale delle Nazioni Unite aveva chiesto che alla tregua seguisse il ritiro delle forze israeliane.(18/1/2009)

LA SITUAZIONE IRACHENA

“La situazione in Iraq continua a peggiorare. Si stima che oltre due milioni di iracheni siano sfollati all'interno del paese e altri due
milioni e 200.000 si trovino nei paesi confinanti”: lo afferma in un comunicato diffuso da Ginevra l’Alto commissariato ONU per i rifugiati (Acnur/Unhcr) fornendo un aggiornamento sulle condizioni degli iracheni costretti ad abbandonare le loro case o a cercare riparo nei paesi confinanti a causa della guerra. “Gli appelli per un maggiore sostegno internazionale ai governi nella regione hanno fino ad ora condotto a scarsi risultati e l'accesso degli iracheni ai servizi sociali rimane limitato” riferisce l’Acnur, ricordando che Siria e Giordania continuano per il momento ad ospitare il numero più alto di rifugiati iracheni rispettivamente un milione e 400.000 e 750.000. Gli sfollati all’interno del paese si sono concentrati all’85% nelle regioni centrali e meridionali; gran parte provengono dalla capitale Baghdad e dai distretti circostanti. “I governatorati iracheni sono travolti dalle necessità degli sfollati. Almeno 10 governatorati su 18 hanno chiuso le frontiere o stanno applicando misure restrittive ai nuovi arrivi” aggiunge l’Alto commissariato dell’ONU, secondo cui le autorità locali si rifiutano di registrare i nuovi arrivi e negano l'accesso ai servizi pubblici; si stima che il 47% degli sfollati non possa beneficiare dei canali ufficiali di distribuzione degli aiuti alimentari. del cibo. I profughi, presenti anche in Egitto (80.000) e nella zona del Golfo (200.000), continuano intanto ad incontrare forti ostacoli nel riconoscimento dello status di rifugiati, “soprattutto in Europa”. L'Acnur ha esortato ancora una volta tutti i paesi “a mantenere le frontiere aperte per le persone bisognose di protezione internazionale”.(18/1/2009)

QUASI 100 MILA MORTI DAL MARZO 2003 ...

"Il numero di civili uccisi in Iraq dall'invasione del Paese nel marzo 2003 oscilla tra i 90 e i 98 mila. A renderlo noto è l'organizzazione non governativa britannica 'Iraq Body Count' (Ibc), secondo la quale il bilancio delle vittime è considerevolmente diminuito nel 2008, con 25 persone uccise al giorno contro le 76 del 2006, al culmine delle violenze. Sulla base delle informazioni dei media e delle autorità, il livello attuale delle violenze è paragonabile a quello del periodo maggio 2003-dicembre 2004, i primi 20 mesi dell'occupazione. Dal primo gennaio 2008, in Iraq ci sono stati fra gli 8.315 e i 9.028 civili uccisi, a seconda delle fonti. Una brusca caduta in confronto ai 25.774 - 27.599 civili uccisi del 2006 e ai 22.671 - 24.295 del 2007. La maggiore riduzione dei morti si è avuta a Baghdad. Secondo Ibc, per la prima volta dal 2003 ci sono stati meno morti ammazzati nella capitale che nel resto dell'Iraq. Le vittime a Baghdad erano il 54 percento di quelle del paese nel 2006 e nel 2007. Sono diventate il 32 percento nel 2008". (29/12/2008)



Giovanna Di Carlo


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