I saluti del Vice ministro Danieli ai consiglieri del Cgie ed ai gio

07 Dicembre 2006   12:56  
Franco Danieli, vice ministro degli Esteri con delega per gli Italiani nel Mondo, in partenza per la sua missione in Argentina, ha salutato i consiglieri del Cgie (Consiglio generale italiani all’estero) riuniti per i lavori preliminari dell’Assemblea plenaria cominciata ieri. Nel suo saluto Danieli ha dedicato particolare attenzione ai giovani di origine italiana convenuti da tutto il mondo. Di seguito, l´intervento integrale di Danieli. "Care amiche, cari amici, questa sessione focalizza il confronto su due priorità che tutti riteniamo molto importanti: l’avvio della discussione sulla riforma del Cgie e la questione dei giovani. Rispetto al primo punto ho già avuto modo, sia in Comitato di Presidenza che nella plenaria precedente, di illustrare l’orientamento del Governo, che qui voglio ulteriormente ribadire, senza predeterminare alcuna soluzione che, come giusto, uscirà dal confronto ampio con i molti soggetti che saranno coinvolti. Con l’ingresso nel Parlamento Nazionale degli eletti della Circoscrizione Estero si è completato l’assetto della rappresentanza istituzionale dei cittadini italiani residenti all’estero, che risulta quindi strutturata in tre livelli: di base (Comites), intermedio (Cgie) e parlamentare. Pur inseriti in un disegno unico, questi tre livelli istituzionali sono stati concepiti e definiti sul piano normativo in tempi e circostanze diversi; per questo risentono del periodo e della fase politica in cui sono venuti alla luce. Con l’elezione dei parlamentari nella Circoscrizione Estero abbiamo portato la voce delle nostre comunità nel più alto consesso democratico della Repubblica, ma questo non induce in nessuna maniera a chiudere il cantiere organizzativo della rappresentanza istituzionale degli italiani all’estero. Si pone, questa si e in modo indifferibile, l’esigenza di una complessiva riorganizzazione, riforma e armonizzazione dei livelli esistenti, al fine di precisarne meglio sia le rispettive funzioni che le reciproche connessioni. Solo entrando in una logica che porti a considerare le diverse articolazioni della rappresentanza come un sistema organico e non come una schematica gerarchia, si può rispondere in modo pieno alla richiesta di partecipazione che viene da un mondo tanto articolato, ricco e complesso. Non vi è dubbio che in questo senso il passo più urgente sia quello della riforma del CGIE. In questo organismo, infatti, con il tempo si sono cumulati, forse al di là delle stesse disposizioni istitutive, compiti molteplici: di raccordo con i COMITES e con le strutture diplomatiche e consolari; di sintesi delle problematiche territoriali emerse in situazioni ambientali molto diversificate tra loro; di valutazione, sia pure nella forma dell’espressione di un semplice parere, dei provvedimenti adottati nell’ambito delle politiche migratorie; di sollecitazione e di proposta di misure ed orientamenti da adottare a livello parlamentare e di governo; di raccordo con le Regioni e con gli enti locali, che con il tempo hanno rafforzato considerevolmente il livello del loro intervento presso le comunità d’origine; di studio e di dialogo su alcune grandi questione legate alla condizione storica ed attuale delle nostre comunità. Sotto un profilo strettamente istituzionale, inoltre, il CGIE si trova ad essere l’unico organismo che deriva la sua costituzione e legittimazione da un atto elettivo di secondo grado. Senza ipotecare, come dicevo, soluzioni di merito, non c’è dubbio che le esigenze di riconsiderazione e di aggiornamento siano più evidenti ed immediate con riferimento a questo livello di rappresentanza, che ha avuto una collocazione apicale fino a qualche mese fa e che oggi, con la elezione dei parlamentari, va collocato in una dimensione e in una funzione intermedia. L’intenzione del governo è quella di raccogliere questa richiesta diffusa e di trasformarla in precise indicazioni di riforma da sottoporre alla più ampia consultazione, prima del vaglio parlamentare. Lo faremo non solo perché è dovere di chi governa agire in modo che le richieste, quando sono giuste, ricevano una risposta pronta e seria, ma perché, come ho già avuto modo di dire anche in questa sede e presso le commissioni parlamentari, intendiamo agire avendo come riferimento costante della nostra azione di governo la concretezza, l’innovazione e le riforme. In questo percorso di confronto con tutti i soggetti istituzionali e associativi è del tutto evidente che per noi avranno una importanza particolare i contributi e le proposte che emergeranno dal vostro dibattito sullo specifico punto della riforma del Cgie. Quanto più approfondito, collaborativo e aperto sarà il nostro lavoro, tanto più motivata e convincente sarà la prova che il CGIE può essere ancora utile per raccogliere ed esprimere le istanze degli italiani all’estero e per sostenere e valorizzare adeguatamente il lavoro degli stessi parlamentari. L’altro grande tema di questa sessione, quello dei giovani, è altrettanto essenziale. Noi vogliamo fare una politica che non si ferma al giorno per giorno, una politica che abbia al centro lo sviluppo delle persone e delle risorse umane, vogliamo governare il Paese guardando non a domani, ma al futuro. E nessun Paese può avere futuro senza coinvolgere e valorizzare i propri giovani. Noi parliamo di giovani quando attiviamo processi di risanamento della finanza pubblica per ristabilire equità tra le generazioni. Parliamo di giovani quando interveniamo sulla scuola per dare alle persone l’opportunità di sfruttare al meglio il proprio talento. Parliamo di giovani con lo sviluppo in settori nuovi come l’ambiente e in campi di alta qualificazione e specializzazione. Noi parliamo di giovani se valorizziamo la cultura, la musica, lo spettacolo, le arti, lo sport, la società dell’informazione come risorsa di promozione della persona, come fattore di coesione sociale e come occasione di sviluppo economico. Affrontare la “questione giovani”, come risorsa e non come problema, presuppone un’alta capacità di innovazione, sia delle tradizionali categorie culturali e concettuali, sia delle risposte operative per quanto riguarda la rappresentanza della nostra emigrazione, che tutta, inevitabilmente, è chiamata ad accettare la sfida con cambiamenti profondi e diffusi. Possiamo fare molte cose, ma l’unica cosa che non possiamo fare è restare fermi. Restare fermi nell’analisi, restare fermi a forme associative e strutture dell’emigrazione che ormai, in molti casi, non costituiscono più uno strumento aggiornato di coinvolgimento e di rappresentanza larga e inclusiva. In molti casi queste strutture non solo non hanno alcun rapporto con le giovani generazioni, con le donne, con le nuove migrazioni, ma sono entrate in sofferenza anche nel coinvolgimento e nella rappresentanza dell’emigrazione tradizionale. E questo dicono tutti gli indicatori, le analisi sociali e culturali, e questo in forma inequivoca afferma la stessa indagine Iref – Siares da voi commissionata due anni fa sul rapporto tra giovani ed emigrazione. Le condizioni esistenziali, le attese, i bisogni dei giovani di seconda, terza, quarta generazione, come quelle dei giovani che affrontano oggi per scelta volontaria le nuove forme della mobilità professionale, sono diverse da quelle tradizionali, sono differenziate tra loro a seconda del Paese, della condizione sociale, del contesto lavorativo. Per questo, la prima riforma è quella del pensiero, quando parliamo di giovani generazioni, dobbiamo abitiuarci a parlare al plurale delle diverse storie dell’emigrazione italiana, analizzando con rigore i singoli contesti nazionali, poiché ognuno di essi, assieme a connotazioni comuni ad altre emigrazioni, contiene elementi distintivi che non consentono in alcun modo di ridurre a quadro unitario le diverse realtà nazionali. L’emigrazione giovanile di oggi ha connotazioni sostanzialmente diverse da quella del passato, quando l’emigrare, nostalgicamente proiettato su una dimensione di un auspicato ritorno che quasi mai si realizzava, comunque era un atto estremo a lungo termine, motivato da condizioni di necessità e non da una scelta libera e volontaria. E il rientro in Patria era sinonimo quasi sempre di un fallimento. Oggi al contrario la mobilità dal Paese di origine ad un altro, o da un Paese “di lavoro” ad un altro, acquisisce un valore positivo, è sinonimo di autonomia e dinamismo. Di affermazione professionale ed esistenziale. In questa nuova dimensione dell’emigrazione i giovani affrontano problemi e opportunità esattamente inverse rispetto a quelle dei padri che vivevano con sofferenze lo sradicamento e una identità sdoppiata che rendeva difficile l’inserimento. I giovani, nella gran parte dei casi nascono già integrati, parlano la lingua del Paese che ospitò i genitori, frequentano la scuola, la cultura, i coetanei di quel Paese, hanno, al contrario degli emigranti di più antica emigrazione, una padronanza con i mezzi tecnici ed informatici che facilita l’inserimento e l’affermazione. Non vivono il distacco dalla madrapatria come la scissione dolorosa da una terra mitica dalla quale si è stati strappati con poche possibilità di ritorno. Per loro la nazione nella quale sono nati e cresciuti non è né estranea né ostile, per loro non è “l’estero”. Ciò che va quindi tenuto in considerazione, il punto irrinunciabile di partenza, non è la rottura dolorosa o la memoria di quello strappo, ma la valorizzazione di un “nesso identitario” che permane forte nei giovani ma che viene declinato, interpretato e vissuto in forme le più diverse tra loro e con connotazioni diametralmente opposte a quelle delle generazioni passate. Il rapporto con le radici è una reinvenzione individuale e collettiva, non investe gli affetti o il ricordo del dolore ma la curiosità, la scoperta, la riflessione su un retaggio, su un nesso ereditario che pure permane. Non si ricerca il rapporto con la “madrepatria”, ma con il Paese d’origine della propria famiglia. Il rapporto non si restringe al rientro, “piccolo”, nel “paesello”, nel microcosmo di riferimento dei propri genitori, ma si allarga alla curiosità “grande” verso il Paese di origine, verso i suoi aspetti più innovativi e moderni, verso le sue città d’arte e la sua musica, verso tutto ciò che attrae un giovane di oggi e che configura una reinvenzione radicale delle radici e del nesso ereditario. E tutto ciò, il rapporto con le proprie radici sostanzialmente diverso da quello del passato, non va considerato negativo, ma assolutamente fisiologico e positivo, conseguenza naturale dei tempi che cambiano, delle realtà che cambiano, dei modi di pensare che cambiano. Per questo non può né deve stupire, né tantomeno addolorare, il distacco dei giovani dai circuiti associativi delle comunità italiane all’estero, una tendenze assolutamente generalizzata in tutti i Paesi. Quelle strutture furono pensate realizzate per rispondere ad altre esigenze, espresse da altre generzioni, per tutelera diritti e affermare una certa integrazione, per solidarizzare, per “celebrare” il ricordo e i sacrifici. Come evidenzia la stessa ricerca Iref – Siares, la risposta alla nostalgia con la rievocazione delle sagre paesane e degli anniversari dei santi patroni è una risposta commemorativa e sociale che non anima, né coinvolge le giovani generazioni. Né si pensi che, il mantenere così come sono le attuali rappresentanze e forme associative, magari svecchiandole un po’ con l’ingresso di qualche giovane, aiuti a risolvere il problema. Non basta, non va nella giusta direzione. Ciò che siamo chiamati ad affrontare è un ripensamento complessivo, una riforma strutturale, di queste organizzazioni, assieme alla ridefinizione della loro “missione”. Dobbiamo affrontare con apertura mentale e capacità di innovazione le sfide che abbiamo di fronte, se vogliamo veramente rilanciare le nostre strutture associative. Declamare in forma autoreferenziale i meriti del passato non serve a rilanciare organismi ancora importanti ma solo a costruire il museo delle cere. Definire nuovi compiti vuol dire ad esempio mettere il mondo associativo in condizione di relazionarsi con i problemi occupazionali dei giovani, attivandosi per intercambi culturali, artistici, interuniversitari, stage in strutture pubbliche e private, tirocini. Vuol dire operare, avendone l’intenzione, gli strumenti e le finalità, per intercettare la naturale curiosità dei giovani verso il Paese d’origine e le sue più attuali tendenze culturali, nel settore cinematografico, letterario, artistico, musicale ecc.. Vuol dire confrontarsi con il mondo giovanile abbandonando stereotipi e incrostazioni mentali, per intercettare le esigenze e le emozioni vere, per valorizzare un universo positivo che ha maturato attraverso la propria esperienza un rapporto con l’Italia e con la tradizione migratoria assolutamente originale e diverso da quello delle generazioni passate. E’ evidente che, per conseguire questo obbiettivo, dobbiamo attivare un rinnovamento che coinvolga l’insieme della rete della rappresentanza italiana nel mondo, da quella diplomatico consolare all’Ice, dagli Istituti di Cultura ai Comites, al Cgie. Nel corso della I Conferenza degli Italiani nel Mondo del 2000 chiesi personalmente di inserire il tema delle nuove generazioni di origine italiana. In quella sede si cominciò ad evidenziare problemi e proposte di azione. Negli anni successivi quei temi non hanno fatto grandi passi in avanti. Oggi si tratta di passare dalle enunciazione alla individuazione di azioni concrete che in parte abbiamo già attivato. Penso ad esempio alla questione del riconoscimento dei titoli di studio per molti giovani che provengono da Paesi al di fuori dell’Unione Europea, all’incremento delle borse di studio per poter compiere percorsi di alta formazione in Italia, all’aumento di programmi di tirocinio e di vacanze-lavoro in collaborazione con le nostre regioni, e stiamo approntando risposte per ffrontare la questione cruciale di come favorire l’afflusso nel nostro Paese di ricercatori di origine italiana , e non solo, insieme al rientro dei “cervelli” emigrati all’estero. Cominciano dunque ad emergere filoni di analisi, strumenti di approfondimento e risposte operative per portare a compimento il lavoro iniziato nel 2000, pe arrivare ad una Conferenza che auspico si possa tenere al più tardi entro il 2008 ed alla quale personalmente e come Ministero degli Esteri non faremo mancare il contributo istituzionale e analitico che merita. Ascoltare e interpretare oggi le domande delle giovani generazioni ci aiuta a definire ed a focalizzare un concetto più aggiornato e vero di “italianità”, costruendo una sintesi che deve restare plurale tra chi rappresenta l’emigrazione del passato e chi, per ragioni anagrafiche, di studio, di lavoro, rappresenta l’emigrazione di oggi. Entrambe sono parte importante e protagonista del “sistema Italia nel Mondo”. Vi ringrazio per l’attenzione e vi formulo i migliori auguri per i lavori di questi giorni." Patrizia Santangelo

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