Il cielo incupito dell'Aquila

di Antonio Gasbarrini

10 Dicembre 2009   12:13  

Gli aquilani tutti devono essere grati al Censis per aver finalmente cancellato (nel suo recente "Rapporto 2009") il fraudolento messaggio mediatico sino a qui mandato in onda da un Governo del tutto insolvente, non solo finanziariamente, ma soprattutto moralmente nei loro confronti.
Con la farsa della pubblicitaria  "consegna rateale" delle C.a.s.e.tte ad una parte degli sventurati terremotati, si è di fatto ipnotizzata l'opinione pubblica nazionale ed internazionale. Dando per superata e risolta una tragedia che invece, per la gravità di una metastasi innescata il 6 aprile, sta divorando in modo irreversibile quel poco o niente rimasto in piedi del tessuto civile, economico e culturale di una comunità smembrata, dispersa nei ghetti-dormitorio della ventina di little towns, negli alberghi della costa o della provincia e negli altri alloggi di fortuna.
Cosa ha reso finalmente di dominio pubblico il Censis? Semplicemente l'esibizione del fantasma di un'intera città:«Quello che fino al 6 aprile era il cuore pulsante del capoluogo è ancora oggi una città fantasma, presidiata dall'esercito e inaccessibile senza permessi».
Se ancora non lo avete fatto, ma volete incontrarlo per scambiare qualche mesta parola sulla sua straziante situazione, aggirate i posti di blocco militarizzati, entrando di prepotenza nel vero cuore maciullato della zona rossa della città svevo-angioina di Federico II, Corrado IV e Carlo I d'Angiò. A prima vista, essendo trascorsi 8 mesi-secolo da quel mortifero scossone, pensate che un malefico sortilegio abbia fermato il tempo e congelato lo spazio. Solo gli scheletrici puntellamenti messi spesso a casaccio qui e la, evocano la tremenda visione del tessuto "inurbano" di un'Aquila impagliata, o meglio, imbalsamata. Saranno però le  montagne e montagne delle inamovibili macerie a farvi venire l'atroce dubbio del "che giorno è?": 6 aprile o 6 dicembre?
La confusione, nella mente e nell'anima dei terremotati, è più che normale. Eppure,  qualcosa non quadra in quelle devastate e devastanti immagini di morte sgranate come un rosario dalla smodata furia della natura. Più vi inoltrate nel dedalo di vicoli e vicoletti deformati in blocco come pasta frolla, più v'interrogherete se siate immersi nella spasmodica situazione di un incubo senza uscita o negli avviluppati gangli d'una irriconoscibile realtà.
Quei palazzi e quelle case ancora traballanti (ne dovranno essere demolite un migliaio); quelle chiese come S. Maria Paganica bombardate; quegli irriconoscibili monumenti sfregiati; quel silenzio di tomba avvolgente alla stregua di un sudario l'intera città a cui è stato dato un perdurante scacco matto, come potrà mai risollevarsi con le quotidiane menzogne mediatiche, le infiltrazioni mafiose, gli appalti pilotati da esponenti politici da mettere alla gogna nella Piazza del mercato, gli sciacallaggi di ogni tipo perpetrati anche da parte di indegni aquilani ai quali andrebbe subito revocata una cittadinanza immeritata?  
Sino ad oggi oscurata, bypassata dai massmedia governativi - cioè dalle reti televisive pubbliche e private concentrate nelle mani di un singolo proprietario, sempre e solo il sig. b.-, la città fantasma ulula vendetta. Chiedendo a squarciagola ineludibili risposte ai suoi pressanti "perché" ed al palese dilettantismo (non certamente mediatico) di chi ha finto di affrontare l'inedita complessità di una catastrofe senza precedenti, con la gestione verticistica ed antidemocratica  di una emergenza data per finita. La dimostrazione? La chiusura ( "solo dopo otto mesi" ed in malo modo, che più male non si può..), delle ultime tendopoli. Ed i circa ventimila aquilani tuttora esiliati, le migliaia e migliaia di cassintegrati e disoccupati, di studenti universitari emigrati in altri atenei e di quelli rimasti nonostante non abbiano dove dormire o studiare, sono forse un semplice, irrilevante, "passeggero" numero statistico? Mah, lasciamo perdere l'emergenza, ancora acuta, checché ne dicano gli autoincensanti strombazzamenti di S. M. il sig. b., e tocchiamo invece il dolente tasto della ricostruzione.
Se "Le parole sono pietre" come ci ha insegnato Primo Levi, le pietre aquilane rovinate così malamente in basso non possono essere adulterate, né tanto meno contrabbandate con la sfrontata esibizione massmediatica di C.a.s.e.tte in cartongesso e di Moduli abitativi provvisori (senz'altro benvenuti e benedetti per chi, reduce dal penoso esilio, ha trovato finalmente un po' di tregua), di baracche e baracchette lignee spacciate per lussuosi chalet. Abitazioni peraltro finanziate in larga misura con la gratuita, non pelosa, solidarietà nazionale ed europea.
Se non andiamo errati, infatti, dei circa 500 milioni di euro messi a disposizione dalla Comunità europea per la ricostruzione della città, ben 350 sono stati dirottati al progetto C.a.s.e.tte. Apparentemente un semplice trucchetto contabile con cui si è alleggerito il già miserrimo impegno finanziario statale sino a qui garantito a singhiozzo; sostanzialmente, invece, un grave danno per l'effettiva ricostruzione del capoluogo abruzzese. En passant, non si capisce perché ad intervenire nelle reiterate inaugurazioni con telecamere e codazzo di cronisti al seguito di S. M. il sig. b., non sia Barroso o un altro rappresentante della Comunità Europea.
Quelle stesse parole di Primo Levi avocate recentemente a sé dal cardinale Bertone («Le tante promesse fatte per la ricostruzione delle zone terremotate dell'Abruzzo, divengano realtà e non rimangano solo parole»), devono essere scaturite dalla crescente consapevolezza della presa in giro (per non usare un altro termine più appropriato) degli aquilani con lo spostamento del G8 dalla Sardegna a L'Aquila nello scorso Luglio. Teso ad impietosire il mondo esibendo senza alcun ritegno solo una piccolissima parte (spesso non significativa) del suo martirizzato corpo. Si dava così per scontato il successo della sottoscrizione di una colletta internazionale di 350 milioni di euro, con l'adozione simbolica dei 44 monumenti (dal Castello Cinquecentesco alla Basilica di S. Maria di Collemaggio), colletta verbalmente condivisa durante il G8 dai vari Capi di Stato, alla prova dei fatti pressoché volatilizzatasi. La "lungimirante" scelta si è risolta così non solo in un clamoroso flop, ma in uno spreco di denaro pubblico accertata la perfetta inutilità della "demenziale" scelta governativa, anche da me denunciata in tempi non sospetti nell'articolo "Celestino, Margherita, Barack e le patacche del Cavaliere" tuttora leggibile in rete.
Dopo aver girovagato nel centro storico preso in ostaggio dalla Protezione Civile ed esservi asciugata l'ultima lacrima catartica, fate un salto nella Basilica di S. Maria di Collemaggio. Qui capirete ("spiando" dalla porta centrale, spesso socchiusa, possibilmente muniti di binocolo in quanto nemmeno al docente universitario Fabio Redi, profondo conoscitore della chiesa per averla studiata insieme ai suoi allievi, è stato consentito di accedervi) come mai tra le sue macerie siano marciti opere ed arredi sacri d'ogni genere (il preziosissimo organo perfettamente funzionante prima del sisma, è diventato oramai un semplice reperto d'antiquariato). Quel tetto sventrato e tutto quel ben di Dio venuto giù senza alcun riguardo nemmeno per il suo padrone di casa, Celestino V, meritavano almeno qualche telone per una loro immediata protezione.    
La ricostruzione mai cominciata (ancora una volta: perché?!) e la reale situazione non-più-urbana-della-città-morta su cui si è infierito con le improvvide scelte sino a qui adottate con la plurifondazione della ventina di little towns, impone pertanto l'uso di un termine lessicale più appropriato: destrutturazione.
È stato facilissimo, per le indomabili forze della natura, distruggere un'intera città in una manciata  di secondi. Per destrutturarla, cambiando radicalmente le regole del gioco della civile convivenza  per 15.000 (su 70.000) suoi ex-cittadini dispersi qui e là come foglie al vento negli insulsi insediamenti cementificati distribuiti a raggiera ad una distanza media di 15-20 km dalla città capoluogo, ci son voluti pochi mesi. Per ricostruirla dalla a alla zeta ci vorranno anni ed ingenti risorse finanziarie, se non altro per sbugiardare la più che menzognera, provocatoria dichiarazione del Ministro dell'Economia Giulio Tremonti:«All'Aquila e all'Abruzzo abbiamo dato tanto, anche troppo».  
Se la cosiddetta ricostruzione leggera per gli edifici non danneggiati gravemente (stiamo parlando della periferia, in quanto per la parte più vitale del centro storico le maledette lettere E ed F sono la norma) è stato un totale fallimento, quella pesante, delle pietre cioè, presuppone un approccio illuministico alternativo rispetto a quello raffazzonato sino ad oggi praticato. Si rifletta solo un momento: c'è stato un rapporto di causa ed effetto tra questo fallimento e l'impossibilità per almeno 10.000-15.000 aquilani di rientrare nel giro di due-tre mesi nelle loro abitazioni, con conseguente aggravamento della situazione occupazionale, dato che il loro reddito è stato speso subito dopo il 6 aprile, ed è tuttora circuitato, prevalentemente nelle province di Teramo e Pescara.   
Per ridipingire, riplasmare da capo a fondo ed a regola d'arte il radioso volto di una delle più belle città d'Italia, è consigliabile attenersi a questo provvisorio quanto emendabile decalogo stilato sulla base del dibattito in corso. Si tratta di 10 parole d'ordine. Presuppongono condivisione, mobilitazione, antagonismo e lotta: 1) "Rinascenza della nobile città dell'Aquila", con l'emanazione di una legge speciale; 2) "L'Aquila patrimonio dell'umanità e dell'Unesco"; 3) "L'Aquila città d'Europa", con rinnovato sostegno finanziario della Comunità Europea per accelerarne il reingresso civile economico e culturale a pieno titolo; 4) "L'Aquila città laboratorio", con la costituzione di comitati scientifici di calibratura internazionale per l'elaborazione di unitari ed interdipendenti progetti urbanistici d'avanguardia, in stretto raccordo con l'Università; 5) "Solidarietà degli italiani per L'Aquila distrutta", con l'indifferibile  istituzione di una tassa di scopo che dia certezze su flussi finanziari non legati alle strambe estrazioni del lotto; 6) "L'Aquila zona franca", per il rilancio delle attività produttive, commerciali e dei servizi; 7) "L'Aquila NO imposte IRPEF, ICI...", almeno per l'anno 2010; 8) "L'Aquila 100 % finanziamento seconde case", anche per i non residenti; 9) "L'Aquila operazione ripopolamento Centro Storico", con l'individuazione dei blocchi-isola urbani da "resuscitare" mediante un rigido cronoprogramma finalizzato alla "rioccupazione" di abitazioni, uffici, negozi, scuole, spazi culturali; 10) "L'Aquila artistica e monumentale da salvare", con ristrutturazione, recupero e restauro degli edifici religiosi, monumentali e di particolare pregio artistico, nonché delle opere d'arte danneggiate ed il rientro di quelle "emigrate" a causa del terremoto.
Siano gli sparuti addobbi delle feste natalizie di buon augurio nel riaccendere, come stelle, le luci della speranza sul cielo incupito dell'Aquila terremotata. Spettrale quanto si voglia, ma vigile, diffidente e tosta più che mai!.
 
* Critico d'arte - Art Director del Centro Documentazione Artepoesia Contemporanea Angelus Novus, fondato nel 1988 (L'Aquila, Via Sassa 15, ZONA ROSSA). Attualmente "naufrago" sulla costa teramana. antonio.gasbarrini@gmail.com

 


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