Il comune di Pescara compra terre per bloccare il Centro oli

Vino o petrolio?

26 Settembre 2008   14:02  

Centro Oli di Ortona: divampa la guerra tra i contrari e i favorevoli. Tra il partito del petrolio e quello del vino. Con una delibera approvata ieri sera, il comune di Pescara ha deciso di acquistare per 50 mila euro un lotto di terreno all’interno delle aree nelle quali dovrebbe sorgere l’impianto. Sarà destinato, si legge nella delibera, alla realizzazione di un progetto di carattere sociale, finalizzato alla coltivazione agricola da parte delle persone anziane residenti nel territorio regionale, allo scopo di valorizzare e salvaguardare la zona dal punto di vista agricolo e ambientale.

Ma l’intento è evidentemente quello di bloccare il progetto dell’Eni che pochi giorni fa ha formalizzato l'acquisto di 14 ettari di terreni in contrada Feudo , ad Ortona per accellerare i tempi di realizzazione del Centro Oli e ha incassato la sentenza del Tar dell’Aquila che ha bocciato i ricorsi di associazioni ambientaliste e Comuni, dando ragione all’Eni. Il fronte ambientalista sta però ricorrendo al Consiglio di Stato.

E’ stato il comitato Natura verde ha lanciare l’idea dall’acquisto di terreni non ancora ceduti all’Eni. E questo faranno probabilmente altri Comuni , a cominciare da Francavilla, San Giovanni Teatino e Fossacesia, contrari all’intervento. Afferma il sindaco D’ Alfonso:  “Anziché interloquire con i cittadini singoli, l'Eni si troverà di fronte la forza dell’amministrazione. Abbiamo individuato il terreno con l’aiuto del comitato spontaneo sorto per dire no alla raffineria. Si tratta di far capire che il valore di quel territorio sta a cuore anche alle istituzioni locali, perché noi riteniamo che lo sviluppo debba essere definito e coltivato dalle comunità locali”

Ma anche il fronte del si è pronto a dare battaglia, e sono in prima linea i sindacati di categoria, la Confindustria e il sindaco di Ortona Fratino che attacca D'Alfonso: " Cercare di cavalcare il fronte del no per strappare un consenso elettorale alla vigilia del rinnovo del Consiglio regionale appare come uno strenuo tentativo di evitare una debacle, E' vero che la politica è l'arte dell'impossibile, ma il sindaco di Pescara Luciano D'Alfonso davvero non pone limiti alla sua già fervida fantasia". Il fronte pro-Eni giudica il centro Oli compatibile con la vocazione agricola e turistica del territorio e sottolineano che l’Eni garantirebbe un investimento di sette milioni sul territorio distribuiti tra sport, teatro e mercato ittico. Sette milioni sporchi e  subito.

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La scomparsa delle colline ora il cemento cancella i vigneti

Ortona (chieti) - Ecco, il "Centro Oli" dell' Eni dovrebbe cominciare qui, dove partono i filari di vitigni chardonnay. La campagna sembra un giardino, con il mare davanti e la Maiella alle spalle. Fra poco arriveranno le ruspe a abbatteranno tutto. Dodici ettari di viti preziose lasceranno lo spazio al Centro Oli, che non c' entra nulla con olive ed extravergine ma è solo la traduzione volutamente ingannevole di "Oil center", centro petrolio. In pratica: un impianto di prima raffinazione del petrolio estratto da due piattaforme che sono in mare e da altri pozzi in allestimento in mezzo Abruzzo. «Noi non vogliamo - dice Raffaele Cavallo, presidente Slow Food in questa regione - che anche qui appaiano i cartelli che sono stati affissi a Viggiano, in Basilicata, in un impianto simile a quello che si vuol costruire sulle nostre colline. «Idrogeno solforato: velenoso, infiammabile ed esplosivo. Non fidarsi dell' odorato per accertare la presenza di gas. L' idrogeno solforato paralizza il senso dell' odorato». Siamo nella regione più verde d' Italia, con tre parchi nazionali. I vini doc Montepulciano e Trebbiano d' Abruzzo finalmente rendono la giusta mercede a migliaia di contadini che grazie ai vigneti non sono stati costretti all' emigrazione. Perché vogliamo rovinare tutto?». Petrolio in mezzo ai vigneti del Moltepulciano, Alta velocità che spazza via il 20% del Lugana doc al lago di Garda, un cementificio che vuole «mangiare» altre colline proprio nel cuore dell' Amarone in Valpolicella. Un tempo tutto questo sarebbe stato chiamato «progresso»: con le buste paga dell' industria i contadini poveri hanno cambiato la loro vita. «Ma l' industria del petrolio - raccontano Giancarlo Di Ruscio e Carmine Rabottini, presidenti delle cantine sociali di Tollo - arriva a mettere radici da noi in ritardo di decenni. La povertà per fortuna è un ricordo. Le nostre cooperative, con 1.360 soci, hanno un fatturato di 40 milioni di euro. Nell' ortonese, dove sorgerà l' impianto Eni, il vino incassa 150 milioni. Noi non siamo i talebani dell' ambiente. Abbiamo accolto a braccia aperte industrie come la Savel del gruppo Fiat e la Honda che sono in fondovalle e distribuiscono migliaia di salari. Ma il petrolio oggi non porta nemmeno posti di lavoro. Per il Centro Oli sono previste 27 assunzioni, con un investimento di 120 milioni di euro. Il danno per noi sarebbe terribile. Sta andando forte il turismo colto, di chi viene a comprare il vino doc ma vuole vivere qualche ora in mezzo a una natura intatta». Per ora i lavori sono bloccati, con una delibera regionale che impedisce ogni costruzione sulla costa, ma solo fino alla fine dell' anno. Il presidente della Regione Ottaviano Del Turco è favorevole al Centro Oli, contrari gli assessori ad ambiente, sanità e turismo. «Il fatto grave - dice Raffaele Cavallo di Slow Food - è che nessuno aveva parlato di una industria così pesante. Il centro veniva presentato come un deposito di petrolio e niente altro. Solo da pochi mesi abbiamo saputo che si tratta invece di un impianto con un pesantissimo impatto ambientale. Le spiagge di Francavilla sono quasi sotto la collina del Centro Oli, Pescara è a soli 13 chilometri. Non vogliano finire come a Viggiano, che 15 anni fa ha accolto il centro Eni come una benedizione perché tanti disoccupati speravano in un lavoro. Il lavoro è sempre scarso e un quarto della popolazione è fuggita perché non vuole convivere con l' idrogeno solforato che puzza di uovo marcio». È passato più di un secolo da quando "sembrava il treno stesso un mito di progresso". Oggi, a Peschiera del Garda, i produttori del Lugana doc sono invece arrabbiati perché la linea della Tav vuole cancellare il 20% dei loro vigneti. «Il progetto per questa linea ferroviaria - dice Francesco Montresor, presidente del consorzio che tutela questo vino - è del 1991 e 17 anni oggi sono un secolo. Chi immaginava, allora, il petrolio a 118 dollari al barile? Quando un ingegnere, nel suo studio milanese, ha tracciato una riga sulla carta geografica ed ha stabilito che la Tav doveva passare da Desenzano, Peschiera e Sirmione, si pensava che costruire, produrre e consumare fosse comunque positivo. Adesso si ragiona in modo diverso: si è capito che il progresso è consumare meno, tutelare, conservare. Vuol dire valorizzare la nostra storia e le nostre radici. Già Gaio Valerio Catullo esaltava la "Lucana silva", boscaglia con vitigni a bacca bianca. Ora il Lugana è richiesto anche in Giappone, da tre anni a questa parte ogni anno il prezzo dell' uva raddoppia: e noi dovremmo accettare di falcidiare la produzione del 20%?». Anche fra i viticoltori del lago non ci sono pasdaran dell' ambiente. «Noi chiediamo semplicemente che la Tav sia spostata tre chilometri a Sud. Passerebbe fra i campi di granoturco e non fra le viti. E lo Stato risparmierebbe una bella cifra. Un ettaro di vigneto qui costa 300.000 euro. Se il proprietario è un coltivatore diretto - e qui lo siamo quasi tutti - il prezzo del terreno viene triplicato: un ettaro verrebbe a costare 900.000 euro, senza contare poi il "lucro cessante", il rimborso dovuto per i mancati futuri guadagni. Le terre del granoturco costano due terzi in meno». Anche le terre della Valpolicella costano care. Per un ettaro di vigneto servono 300.000 - 500.000 euro. Qui il "progresso" è arrivato nel 1962, con l' apertura di un cementificio. L' Amarone, allora, era conosciuto sì e no a Verona, dove veniva portato in damigiane. Solo chi emigrava poteva mettere assieme il pranzo con la cena. Il cementificio era la manna. Nessuno protestava, anche se le colline attorno sparivano una dopo l' altra e venivano trasformate in cemento. «Secondo me - dice Mirco Frapporti, sindaco di Fumane - anche negli anni '60 fu un errore accettare il cementificio, diventato poi CementiRossi, sulla nostra terra. Ma adesso c' è e se rispetta le leggi ha diritto di continuare a lavorare. Come Comune, non possiamo fare altro che tenergli il fiato sul collo. Certo, oggi potremmo farne a meno: la ricchezza è stata portata dal vino e non dal cemento». Bisogna salire in alto, per cercare la collina che era sotto Purano e ora non c' è più. C' è solo un enorme buco. «Ma il mostro - dice Daniele Todesco dell' associazione Valpolicella 2000 - ha ancora fame. Ha presentato domanda per poter trasformare in cemento anche la collina di Marezzane, che fra l' altro è dentro al parco naturale della Lessinia dove ogni scavo sarebbe proibito. Ma è stata concessa una deroga perché la domanda era antecedente la nascita del parco. Ora bisognerà vedere se il progetto riceverà una Via - Valutazione di incidenza ambientale - positiva. Contro il cementificio occorre più coraggio, da parte del Comune e della Regione. Lavora e guadagna da più di quarant' anni. Ora che gli investimenti sono stati ampiamente ripagati può anche chiudere. Ci lavorano 100 operai ma la disoccupazione qui intorno è a zero. La Cementirossi ha detto invece che investirà 60 milioni di euro per rinnovare i macchinari obsoleti e per questo vuole altre colline da mangiare, fino al 2025». La direzione del cementificio ha certezze granitiche. «I vigneti, e la qualità dei vini, non subiscono alcun danno dalla presenza della nostra industria». Meno sicuro uno dei vignaioli più importanti, Franco Allegrini. «Il cementificio è un peso che abbiamo sopportato troppo a lungo. Noi siamo così abituati alla sua presenza che quasi non lo vediamo più. Certo, chi arriva da fuori e si vede questo mostro~ Non è certo un bel biglietto da visita». Se la "Via" sarà positiva, meglio affrettarsi verso il parco della Lessinia, subito dopo il cementificio. Anche la collina di Marezzane potrebbe trasformarsi in colonne di cemento armato. - JENNER MELETTI

 

 


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