In uno stabile di via degli Acquaviva all’Aquila sarebbe stato realizzato un sistema di sorveglianza occulto nei confronti degli inquilini, con microcamere nascoste e indagini in corso.
Un uomo di 56 anni residente a L’Aquila è al centro di un’inchiesta della Procura della Repubblica di L’Aquila per aver presumibilmente collocato microcamere all’interno di appartamenti da lui concessi in locazione, abitati da studenti fuori sede, professionisti e allievi della Scuola di ispettori e sovrintendenti della Guardia di Finanza. Durante l’interrogatorio davanti al Giulia Colangeli, giudice per le indagini preliminari, l’indagato ha ammesso l’installazione dei dispositivi ma ha negato di averli venduti o diffusi.
L’edificio in questione, situato nella periferia della città in via degli Acquaviva, sarebbe stato dotato di telecamere occultate in aree quali i bagni, le lavatrici e perfino i lampadari: secondo fonti investigative, l’individuazione dell’illecito è partita con la segnalazione di una studentessa che ha notato un riflesso anomalo nello specchio. Da quel momento sono stati trovati decine di apparecchi di ripresa nascosti in vari alloggi.
Le indagini ruotano attorno a due ipotesi principali: da un lato la violazione del diritto alla privacy degli inquilini, configurata come interferenza illecita nella vita privata; dall’altro, la possibile diffusione non autorizzata di immagini sessualmente esplicite, dopo la scoperta di migliaia di file multimediali sequestrati nel corso dell’attività investigativa. In risposta, la difesa dell’indagato, assistita dall’avvocato Roberto De Cesaris, ha richiesto di essere interrogato per evitare la misura cautelare degli arresti domiciliari, evocato dalla Procura a causa del presunto rischio di inquinamento delle prove. Il gip si è invece riservato di decidere, disponendo fino ad allora il divieto di avvicinamento all’immobile per l’indagato.
Parallelamente, è in corso una perizia tecnica su tutti i dispositivi rinvenuti e sui telefoni sequestrati, con scadenza prevista entro circa tre mesi. L’accertamento stabilirà se le telecamere fossero collegate in rete e se le registrazioni siano state archiviate, trasferite o messe in circolazione. Il quadro dell’inchiesta comprende anche il possibile ruolo di vittime minorenni, dal momento che una denuncia presentata ipotizza l’installazione delle videocamere in alloggi precedentemente occupati da una famiglia con una figlia minorenne.
Il caso ha richiamato l’attenzione mediatica e ha sollevato interrogativi sul tema della tutela della riservatezza negli ambienti di locazione: ci si chiede quanto siano efficaci i controlli, come possa manifestarsi la complicità tra locatore e dispositivi di sorveglianza e quali strumenti abbiano a disposizione gli inquilini per la difesa dei propri diritti. Le normative vigenti, in particolare gli artt. 615-bis del codice penale e le disposizioni del GDPR, impongono limiti stringenti all’installazione di sistemi di videosorveglianza senza consenso esplicito, ma la trasformazione tecnologica rende sempre più complessa la verifica quotidiana delle abitazioni in affitto.
Al momento, la posizione dell’indagato resta quella di persona informata sui fatti, con la misura cautelare del divieto di avvicinamento in attesa della decisione del Gip. Le prossime settimane saranno cruciali per chiarire il livello di diffusione delle immagini, la loro destinazione e la responsabilità penale a carico del presunto autore.