Il ruolo del Cgie nelle attività regionali per l´emigrazione

L'intervento di Franco Santellocco

16 Settembre 2008   09:33  
Riaffiora in questi giorni sulla stampa specializzata la questione sul ruolo delle rappresentanze di matrice associativa degli italiani all’estero a confronto con quelle parlamentari.

Il dibattito spesso viene male impostato perché si avvita intorno alla finta questione se il Cgie (Consiglio generale degli italiani all’estero) debba sopravvivere o meno, quando, in realtà, si tratterebbe solo di riformarlo, adeguandolo ai cambiamenti della realtà dell’emigrazione e del quadro istituzionale. Infatti, nessuno tra coloro che abbiano una minima conoscenza in materia può fare confusione tra la rappresentanza democratica del Cgie, che nasce dal movimento sociale e culturale delle molteplici e diversissime comunità italiane all’estero, e la valenza dei 18 parlamentari eletti che si inquadra nel contesto politico chiaramente determinato dagli schieramenti partitici italiani. Condividiamo, quindi, la posizione di quanti affermano che “se si abolisse il Cgie occorrerebbe inventarne un altro”.

 Un ambito nel quale il Cgie ha molto da esprimere, per esempio, è il necessario recupero di sinergia tra la gestione delle politiche migratorie operata dallo Stato e quella operata dalle Regioni al fine di restituire più equilibrio e armonia tra  le prospettive nazionali e le specificità dei collegamenti che gli italiani e le comunità italiane all’estero hanno con il territorio di origine in tutti i suoi aspetti sociali, culturali ed economici. Mai come in questo contesto è più opportuno ricordare che occorre “fare sistema” soprattutto se pensiamo alle misure di razionalizzazione della spesa pubblica messe in atto dall’ultima manovra finanziaria del Governo. I territori locali sono pienamente coinvolti nei grandi e dominanti processi della globalizzazione che agiscono in Italia e all’estero cambiando i destini degli italiani in tutto il mondo. Circuiti internazionali di interessi, non solo economici ma anche culturali, si scompongono e si ricompongono in modo spesso imprevedibile sulle spinte che provengono anche dalle opportunità offerte dalla nuove tecnologie della comunicazione e dell’informazione toccando la vita delle persone e del loro ambiente locale, generando nuove domande di servizi al territorio. In questo scenario in cui micro e macro, locale e globale, interagiscono continuamente. Le istituzioni locali, le consulte regionali, i comitati e le associazioni regionali costituiscono i sensori più efficaci per ascoltare i nuovi bisogni degli emigrati e dei loro discendenti, prevenire nuove emergenze emigratorie, proporre nuove forme di solidarietà e di promozione, predisporre regole e progettualità. In questo modo le Autorità territoriali rispondono alla domanda di servizi di quegli italiani (singoli, gruppi, categorie e comunità) per i quali vecchie e nuove mobilità geografiche impongono la ricerca di nuove identità, di nuovi modi di sentirsi italiani e di connettersi in uno spazio mutevole i cui confini sono determinati dalla lingua e dalla tradizione culturale del luogo di origine e non solo dalla residenza attuale o dall’attività lavorativa. Il paese di origine e le sue tradizioni hanno, infatti,  un ruolo decisivo nella costruzione degli ambienti culturali in cui può avvenire il recupero dell’identità italiana soprattutto per le nuove generazioni e per il futuro del fenomeno migratorio. Le Regioni e gli enti locali svolgono quindi una funzione basilare nelle politiche per l’emigrazione che è cambiata negli ultimi 30-40 anni, dal periodo dell’emigrazione di ritorno a quello dell’integrazione degli italiani nei Paesi di destinazione a quello, attuale, della mobilità transnazionale, della ubiquità di chi parte, ritorna e riparte  integrando interessi e collegamenti nei territori in cui vive e lavora. Ogni Regione si è, di conseguenza, dotata di una legislazione e di strumenti di programmazione e di rappresentanza per soddisfare le esigenze dei propri corregionali all’estero anche sull’onda dell’evoluzione in senso federalista dello Stato che è avvenuta con la riforma del Titolo V della Costituzione del 2001. Tale riforma ha assegnato nuove competenze alle Regioni in materia di attività internazionali quali la possibilità di stipulare accordi, intese e gemellaggi, svolgere attività promozionali, partecipare a programmi multilaterali o bilaterali di sviluppo. E’ bene riconoscere, però, che lo scenario complessivo delle politiche regionali si è progressivamente molto diversificato e che, al tempo stesso, è diventato disomogeneo in tutti i campi applicativi: il sostegno agli indigenti, l’assistenza sanitaria, il sostegno all’imprenditoria italiana all’estero, la formazione professionale, il sostegno al turismo di ritorno, le politiche a favore della informazione, della cultura e della lingua italiana all’estero. La disomogeneità degli interventi regionali è resa significativa dal peso non coerente dei finanziamenti destinati dalle Regioni ai corregionali all’estero rispetto alla loro incidenza numerica sul totale degli italiani all’estero che fa pensare a una risposta non adeguata delle Regioni ai bisogni degli italiani all’estero complessivamente considerati. Si deve aggiungere poi che sulle stesse materie opera lo Stato attraverso strumenti legislativi, risorse e programmi di intervento che si aggiungono a quelli regionali senza però corrispondere a criteri di complementarietà e di sussidiarietà con il risultato di aumentare la spesa pubblica senza migliorarne la qualità e l’efficacia. Nel contesto sopra descritto, il Cgie, in collaborazione con altre rappresentanze nazionali come la Cne, è oggi  un valido strumento di coordinamento delle politiche per l’emigrazione avendo attivato la Conferenza Stato-Regioni-Province autonome–Cgie prevista dalla Legge 198 per promuovere iniziative di raccordo e di composizione armonica delle attività regionali con quelle dello Stato. Risultano, perciò, più che mai attuali i punti programmatici elaborati dalla apposita Commissione tematica del Cgie in questo ambito: - l’approvazione di una legge quadro che rechi i principi fondamenti cui si dovrà attenere la potestà legislativa concorrente delle Regioni nelle materie riguardanti le collettività italiane all’estero;-  la modifica della Legge istitutiva del Cgie che preveda una maggiore rappresentanza delle Regioni e delle autonomie locali;-  l’istituzione del Fondo nazionale a favore delle comunità italiane all’estero per consentire un’attività di coordinamento delle singole iniziative;-  la realizzazione dello “sportello unico per l’internazionalizzazione” che sia un efficace struttura di collegamento e di informazione anche con il supporto degli imprenditori italiani all’estero e delle loro associazioni. Su questo ultimo punto, utile sarebbe la partecipazione del Cgie al Tavolo strategico per l’internazionalizzazione delle imprese promosso dal Ministero per lo Sviluppo economico e avviato il 31 luglio scorso con lo scopo di giungere a un riassetto delle norme e delle istituzioni che operano per il commercio internazionale, gli investimenti diretti all’estero e l’attrazione degli investimenti esteri. L’iniziativa mira così a  conseguire un più forte coordinamento tra Stato, Regioni e altri soggetti che operano nel settore: Camere di commercio, Simest, Sace Associazioni di categoria degli artigiani e degli industriali.

 

Franco Santellocco (consigliere Cgie e Cram Abruzzo)

  

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