“Circa le due ore della notte, giorno di domenica li 14 gennaio 1703 fù così terribile terremoto, che si credè essere già la vigilia del giorno del giudizio universale…a quella sera seguì il moto continuo della terra per quarantotto ore di moto che fù forzata ogni persona uscir fuori in campagna con lasciare la casa e le sue robe in abbandono per salvare la propria vita. E fra le dette quarantotto ore vi furono quasi ad ogni ora scosse di terra che pare volesse aprirsi. Passate le quarantotto ore, ogni giorno si fecero sentire altre scosse con così grave timore che ognuno aveva la morte davanti gli occhi e seguitarono notte e giorno dedicato alla B. vergine Maria…” (Giovannantonio Petroni, 14-gennaio 1703).
Numerose sono le similitudini che emergono dal confronto degli eventi
sismici verificatisi nel territorio aquilano rispettivamente nel 1703 e
nel 2009, tanto da arrivare a parlare di “terremoti gemelli”. Oltre
alle considerazioni prettamente tecniche (sciame sismico che ha
preceduto le scosse di maggiore intensità e perdurare dello stesso per
numerosi giorni, attivazione dei medesimi segmenti di faglia, ecc.),
grazie a numerosi documenti tra i quali non si può non citare la
puntuale descrizione stilata dall’Antinori, è possibile confrontare i
danni subiti dal patrimonio storico-artistico riferendoci nello
specifico alla città ricompresa nell’antica cinta muraria.
Dall’analisi delle fonti risulta lampante che le zone maggiormente
colpite dai due fenomeni sismici coincidono in maniera inquietante. Tra
le aree più colpite c’è senza dubbio quella compresa tra Palazzo Carli
e Piazza San Pietro, inclusa la chiesa stessa, che ha subito notevoli
danni nel torrione laterale ed in facciata, unitamente a tutti i
palazzi i cui fronti principali insistono sulla predetta piazza.
Procedendo verso nord-est numerosi crolli si trovano nel tessuto
edilizio localizzato tra piazza San Silvestro con la chiesa omonima e
Palazzo Branconio, e Piazza Santa Maria Paganica con la chiesa
completamente rimaneggiata e il Palazzo Ardinghelli. Quasi interamente
colpita dai fenomeni tellurici sia nel 1703 che nei più recenti del
2009, è la porzione di centro storico che ruota intorno alle piazze
principali della città: Piazza Duomo, Piazza Palazzo, Piazza Santa
Giusta, San Marciano, Santa Maria di Roio. Quasi nessun edificio è
rimasto illeso, nel migliore dei casi si trovano lesioni di entità
minore, fino ad arrivare a situazioni di crollo parziale e totale.
In ultimo è inevitabile menzionare il luogo divenuto simbolo del sisma
del 6 aprile 2009 grazie all’attenzione riservatagli dai mass-media e
cioè Piazza della Prefettura con le chiese di San Marco, Sant’Agostino
e tutto il tessuto fatto di edifici residenziali, direzionali e
commerciali che lo rendevano uno dei poli intorno ai quali gravitava la
vita sociale degli aquilani. Meno colpita nel 1703, forse solo perché
meno edificata, risulta la zona a ridosso di Via XX Settembre, invece
tragicamente interessata dagli ultimi eventi.
Come si è sentito dire spesso in questi giorni, la storia si ripete
ma è doveroso andare oltre. La memoria deve esserci di monito: se è
vero che non si possono evitare calamità naturali di questo genere, è
altrettanto vero che si possono mettere in atto una serie di
provvedimenti che consentono di limitare i danni e mitigare gli
effetti, senza abbandonarsi a tanto facili quanto inutili
considerazioni fatalistiche spesso accompagnate da un “comodo”
sentimento di impotenza.
Le stratificazioni di oltre settecento anni di storia hanno dato alla
città, edificata come vuole una legenda cara agli aquilani dagli
abitanti di 99 castelli, un aspetto originale ed un carattere
irripetibile che se ad un primo impatto potrebbe apparire severo e
scontroso, ad uno sguardo più attento si mostra nobile e gentile. Un
volto che trova la sua identità nel complesso e articolato tessuto
edilizio costellato di emergenze architettoniche (chiese, palazzi,
fontane, ecc.), interrotto da spazi urbani connessi da pochi percorsi
principali e numerosi “sdruccioli”, che estrinseca il proprio valore
nel suo essere un intero e non una semplice somma di edifici che si
possono aggiungere o sottrarre a seconda del gusto e delle esigenze. Un
tessuto che in ogni suo elemento testimonia una società, un modo di
vivere, una “aquilanità” che è “sostanza personale, temperia morale e civile fatta di orgoglio e fierezza”.
È dunque nostro compito trasmettere al futuro
questa eredità. Le Linee Guida per la valutazione e riduzione del
rischio sismico del patrimonio culturale (2006) rappresentano uno
strumento imprescindibile cui è necessario associare una sensibilità e
una conoscenza specifica delle antiche tecniche costruttive.
La salvaguardia del patrimonio culturale significa soprattutto prevenzione, e se nelle Linee Guida si parla di miglioramento
del comportamento delle fabbriche storiche nei confronti del sisma
piuttosto che di adeguamento, non si deve commettere l’errore di
interpretare questo atteggiamento come una rinuncia. Al contrario, lo
si deve valutare come una presa di coscienza che rappresenta la prima
forma di tutela per raggiungere elevati livelli di sicurezza
con idonei interventi che contemperino i diversi aspetti della
conoscenza evitando la pedissequa e acritica applicazione di norme.
Solo elaborando progetti coscienti degli errori commessi in passato e
proponendo interventi rispettosi dei valori intrinseci che ogni
edificio storico porta in sé, ma allo stesso tempo denunciati e non
timorosi, si può riconvertire
una città ferita e offesa regalandole una nuova veste fatta di
preesistenze e di innovazioni che dialogano in armonia e che consentono
di ritornare ad una quotidianità cosi improvvisamente e drammaticamente
interrotta.
Di Simona Rosa (articolo pubblicato sulla rivista MU6, n.13)
Nella foto in alto: Stralcio del centro storico di L’Aquila con evidenziate le zone colpite dai fenomeni sismici del 1703 e del 2009