L’Aquila 1703-2009: terremoti a confronto

Di Simona Rosa

09 Luglio 2009   10:23  

“Circa le due ore della notte, giorno di domenica li 14 gennaio 1703 fù così terribile terremoto, che si credè essere già la vigilia del giorno del giudizio universale…a quella sera seguì il moto continuo della terra per quarantotto ore di moto che fù forzata ogni persona uscir fuori in campagna con lasciare la casa e le sue robe in abbandono per salvare la propria vita. E fra le dette quarantotto ore vi furono quasi ad ogni ora scosse di terra che pare volesse aprirsi. Passate le quarantotto ore, ogni giorno si fecero sentire altre scosse con così grave timore che ognuno aveva la morte davanti gli occhi e seguitarono notte e giorno dedicato alla B. vergine Maria…” (Giovannantonio Petroni, 14-gennaio 1703).

 

Numerose sono le similitudini che emergono dal confronto degli eventi sismici verificatisi nel territorio aquilano rispettivamente nel 1703 e nel 2009, tanto da arrivare a parlare di “terremoti gemelli”. Oltre alle considerazioni prettamente tecniche (sciame sismico che ha preceduto le scosse di maggiore intensità e perdurare dello stesso per numerosi giorni, attivazione dei medesimi segmenti di faglia, ecc.), grazie a numerosi documenti tra i quali non si può non citare la puntuale descrizione stilata dall’Antinori, è possibile confrontare i danni subiti dal patrimonio storico-artistico riferendoci nello specifico alla città ricompresa nell’antica cinta muraria.
Dall’analisi delle fonti risulta lampante che le zone maggiormente colpite dai due fenomeni sismici coincidono in maniera inquietante. Tra le aree più colpite c’è senza dubbio quella compresa tra Palazzo Carli e Piazza San Pietro, inclusa la chiesa stessa, che ha subito notevoli danni nel torrione laterale ed in facciata, unitamente a tutti i palazzi i cui fronti principali insistono sulla predetta piazza. Procedendo verso nord-est numerosi crolli si trovano nel tessuto edilizio localizzato tra piazza San Silvestro con la chiesa omonima e Palazzo Branconio, e Piazza Santa Maria Paganica con la chiesa completamente rimaneggiata e il Palazzo Ardinghelli. Quasi interamente colpita dai fenomeni tellurici sia nel 1703 che nei più recenti del 2009, è la porzione di centro storico che ruota intorno alle piazze principali della città: Piazza Duomo, Piazza Palazzo, Piazza Santa Giusta, San Marciano, Santa Maria di Roio. Quasi nessun edificio è rimasto illeso, nel migliore dei casi si trovano lesioni di entità minore, fino ad arrivare a situazioni di crollo parziale e totale.
In ultimo è inevitabile menzionare il luogo divenuto simbolo del sisma del 6 aprile 2009 grazie all’attenzione riservatagli dai mass-media e cioè Piazza della Prefettura con le chiese di San Marco, Sant’Agostino e tutto il tessuto fatto di edifici residenziali, direzionali e commerciali che lo rendevano uno dei poli intorno ai quali gravitava la vita sociale degli aquilani. Meno colpita nel 1703, forse solo perché meno edificata, risulta la zona a ridosso di Via XX Settembre, invece tragicamente interessata dagli ultimi eventi.

Come si è sentito dire spesso in questi giorni, la storia si ripete ma è doveroso andare oltre. La memoria deve esserci di monito: se è vero che non si possono evitare calamità naturali di questo genere, è altrettanto vero che si possono mettere in atto una serie di provvedimenti che consentono di limitare i danni e mitigare gli effetti, senza abbandonarsi a tanto facili quanto inutili considerazioni fatalistiche spesso accompagnate da un “comodo” sentimento di impotenza.
Le stratificazioni di oltre settecento anni di storia hanno dato alla città, edificata come vuole una legenda cara agli aquilani dagli abitanti di 99 castelli, un aspetto originale ed un carattere irripetibile che se ad un primo impatto potrebbe apparire severo e scontroso, ad uno sguardo più attento si mostra nobile e gentile. Un volto che trova la sua identità nel complesso e articolato tessuto edilizio costellato di emergenze architettoniche (chiese, palazzi, fontane, ecc.), interrotto da spazi urbani connessi da pochi percorsi principali e numerosi “sdruccioli”, che estrinseca il proprio valore nel suo essere un intero e non una semplice somma di edifici che si possono aggiungere o sottrarre a seconda del gusto e delle esigenze. Un tessuto che in ogni suo elemento testimonia una società, un modo di vivere, una “aquilanità” che è “sostanza personale, temperia morale e civile fatta di orgoglio e fierezza”.
È dunque nostro compito trasmettere al futuro questa eredità. Le Linee Guida per la valutazione e riduzione del rischio sismico del patrimonio culturale (2006) rappresentano uno strumento imprescindibile cui è necessario associare una sensibilità e una conoscenza specifica delle antiche tecniche costruttive.
La salvaguardia del patrimonio culturale significa soprattutto prevenzione, e se nelle Linee Guida si parla di miglioramento del comportamento delle fabbriche storiche nei confronti del sisma piuttosto che di adeguamento, non si deve commettere l’errore di interpretare questo atteggiamento come una rinuncia. Al contrario, lo si deve valutare come una presa di coscienza che rappresenta la prima forma di tutela per raggiungere elevati livelli di sicurezza con idonei interventi che contemperino i diversi aspetti della conoscenza evitando la pedissequa e acritica applicazione di norme.
Solo elaborando progetti coscienti degli errori commessi in passato e proponendo interventi rispettosi dei valori intrinseci che ogni edificio storico porta in sé, ma allo stesso tempo denunciati e non timorosi, si può riconvertire una città ferita e offesa regalandole una nuova veste fatta di preesistenze e di innovazioni che dialogano in armonia e che consentono di ritornare ad una quotidianità cosi improvvisamente e drammaticamente interrotta.

Di Simona Rosa (articolo pubblicato sulla rivista MU6, n.13)

Nella foto in alto: Stralcio del centro storico di L’Aquila con evidenziate le zone colpite dai fenomeni sismici del 1703 e del 2009


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