L'Aquila, Alba Fucens: un futuro possibile

04 Giugno 2012   11:59  

Il ricordo degli avventurosi viaggi attraverso l’Abruzzo, effettuati da appassionati e studiosi, quasi sempre hanno toccato un luogo che, anche per il semplice effetto di un nome ereditato dal passato, attirava l’attenzione, suscitava emozioni e attivava molteplici corrispondenze: Alba Fucens.

Leon Battista Alberti, nel 1556, descrive la grandiosa cinta muraria: “… pure si veggono alcune parti di mura meze sfasciate fatte di gran pietre quadrate, per le quali facilmente si può però conoscere la sontuosità dell’antidetto edificio”.

Stendhal visita l’Abruzzo nel 1832 ed esprime grande ammirazione per le mura di Alba; A. Dumas rievoca, tra le rovine della città, le storie di Siface e Perseo che, prigionieri di Roma, vi trascorsero parte della loro vita. Agli inizi dell’Ottocento proprio le mura, tra i pochi resti ancora visibili, divennero un argomento di ricerca e di dibattito di respiro internazionale; numerosi studiosi italiani e stranieri - Petit Radel, Simelli, Dowell, Gerhard, Cendrier, Vespignani, Promis, Fernique - animarono una stagione di ricerche, lavori e documentazioni che costituiscono tuttora un fondamentale supporto per la conoscenza del sito e del circuito difensivo.

Nel tempo, pertanto, si forma, nell’immaginario collettivo, l’idea di un luogo che le fonti antiche avevano contribuito a plasmare come una “roccaforte”, compresa tra le tre colline che cingono il Piano di Civita; il colle di S. Pietro, di S. Nicola e il Pettorino erano naturalmente posti a sentinella di una colonia di diritto latino, che trovava la sua natura e il suo ruolo nella salvaguardia di un ambito territoriale esteso nello spazio pianeggiante circostante, ordinato secondo lo schema regolare della centuriazione.

Stessa regolarità, fusa armonicamente con il contesto naturale, è rispettata anche nel centro della città, dove si sono concentrati gli scavi archeologici della missione belga tra il 1949 e il 1979, ripresi dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Abruzzo e da università italiane e straniere a partire dal 2006. Nell’estate 2011, dopo la sospensione nel 2010, sono state completate le ricerche in un isolato lungo via del Miliario e nel piazzale del santuario di Ercole; nel primo è stato portato a termine lo scavo di una bottega nella quale, ancora in epoca tarda, si lavorava l’osso, secondo un’antica tradizione che nella regione aveva già dato prova di grande capacità e raffinatezza.

Nel settore meridionale del piazzale di Ercole, invece, numerosi materiali attribuibili al III sec. a.C. hanno attestato indirettamente la presenza del luogo di culto più antico, pur in assenza di tracce della relativa struttura architettonica.

E come spesso accade nelle campagne archeologiche, un ultimo sondaggio, effettuato in prossimità del sacello nel quale fu rinvenuta la statua colossale dell’Ercole Epitrapezios, ha riservato l’inaspettata sorpresa: un grande bacino circolare, posto immediatamente al di sotto degli strati di abbandono del piazzale. La cisterna, del diametro di 4,13 m, è stata scavata fino a ca. 5 metri, ma le indagini di tomografia elettrica, a cura dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, hanno consentito di stabilire una profondità complessiva di ca. 6 metri.

L’asportazione del superficiale strato di riempimento, composto essenzialmente di tegole e materiali lapidei, in particolare cubilia provenienti delle murature del santuario, ha subito messo in luce rocchi di colonne, basi e capitelli, frutto di un accumulo volontario di elementi architettonici, mescolati a numerosi frammenti ceramici, di vetro, marmo e decorazioni architettoniche. Le particolari caratteristiche dell’ambiente umido hanno consentito anche la conservazione di vari manufatti in legno: piedi di mobili, piccoli oggetti, cucchiai e quattro lunghe travi di legno, ancora da rimuovere. Varie porzioni di statue in marmo e bronzo sono state recuperate a profondità differenti, mentre è riemerso integro un ritratto di anziano (prima metà del I sec. a.C.), caratterizzato da incisivi tratti veristici, e una mano in bronzo che impugna un’asta.

Il riempimento della cisterna fu effettuato nei primi decenni del VI sec. d.C., in gran parte con i materiali derivati dalla distruzione del santuario di Ercole, avvenuta tra fine V- inizi VI d.C.; un evento sismico di grandi proporzioni, paragonabile a quello del 1915, coinvolse la regione marsicana, tanto che i suoi effetti si avvertirono anche a Roma, dove due epigrafi poste all’ingresso Colosseo testimoniano i danni riportati dall’anfiteatro.

La coinvolgente esperienza, vissuta nell’estate del 2011, testimonia che Alba Fucens ha ancora molto da mostrare e consegnare al presente e al futuro, reclamando, allo stesso tempo, una cura straordinaria: per mantenere le sue trame murarie, per consentire ai visitatori, sempre numerosi, di percepire la possibilità di comprendere e di integrare se stessi in una dimensione storica e naturale, qui mirabilmente compenetrata. Con tale consapevolezza, occorre che venga intrapreso l’ultimo virtuoso tratto di un percorso avviato decenni fa, che ha coinvolto centinaia di persone, italiane e straniere, in un confronto serrato di ricerche che è doveroso restituire a un pubblico allargato.

La straordinaria quantità e qualità dei materiali provenienti da decenni di scavi deve ora trovare adeguata collocazione negli ambienti ormai restaurati dell’ex-convento, posto a lato della chiesa di S. Pietro, a sua volta sorta su un tempio di epoca romana: il futuro possibile dell’antica colonia e del moderno centro, intesi unitariamente nelle forme congiunte dell’area archeologica e del piccolo abitato sorto dopo il terremoto del 1915, si costruisce anche in un luogo condiviso – museo - in cui la narrazione archeologica diventi protagonista e la comunità locale si senta affidataria e promotrice delle proprie e delle altrui aspettative. Emanuela Ceccaroni


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