L'Arpo annuncia: le pecore fanno sciopero del presepe!

Ovinicoltura in crisi

23 Dicembre 2008   13:18  

Approvare un piano ovicaprino nazionale, e regionale, e tutelare il settore della pastorizia e produzione casearia tradizionale. E’ quanto chiedono gli 80 allevatori associati all’Arpo (Associazione regionale produttori ovicaprini d’Abruzzo) che annunciano per il 24 dicembre uno «sciopero generale delle pecore in tutti i presepi». «Vogliamo così chiedere solidarietà», dice il coordinatore dell’Arpo Nunzio Marcelli, «per far presente lo stato di estrema difficoltà in cui versa il settore, a rischio di definitiva estinzione». La redditività delle aziende attive nella pastorizia tradizionale, lamentano gli allevatori, «scende sempre di più e c’é una sistematica politica di messa in fuorilegge delle attività tradizionali, caricandoli di controlli e requisiti sostenibili solo negli allevamenti intensivi. In Abruzzo ci sono mille divieti», afferma Marcelli, «per un settore che da millenni ha dimostrato di saper creare economia ecosostenibile in ambienti remoti e offrire ai consumatori prodotti caseari di alta qualità». Tra le richieste degli allevatori che il 24 praticheranno lo «sciopero delle greggi» nei presepi, c’é la valorizzazione del prodotto della pastorizia, e pari trattamento tra le pecore italiane e quelle di altre regioni d’Europa, dove le produzioni transumanti sono tutelate e protette.

 
LA SCOMPARSA DELLE PECORE

Sono insostituibili per il loro contributo alla salvaguardia delle montagne e per il loro ruolo di pulitrici del terreno nelle zone secche nonché per i prodotti che offrono, eppure l’allevamento ovino si pratica sempre meno in Europa. Riportiamo di seguito un articolo apparso sul quotidiano francese Les Echos a metà dicembre.

Ovunque in Europa, la produzione di pecore diminuisce. Nel giro di quindici anni, e' arretrata del 15%, secondo uno studio realizzato dall'Istituto dell'allevamento. E le previsioni per il 2008 sono realmente allarmanti. L'allevamento ovino si pratica soltanto in cinque paesi. Il Regno Unito viene ancora di gran lunga in testa con il 31% della produzione, seguito dalla Spagna, la Francia, la Grecia e l'Irlanda.

Il declino, iniziato negli anni 1990, sembra inesorabile, mentre lo scoraggiamento si impadronisce dei produttori. La piramide delle età e' impressionante. In Spagna, il 35% di loro ha oltre 65 anni. In Irlanda e nel Regno Unito, la metà ha oltre 55 anni. In Francia, le cifre sono dello stesso ordine. Il ricambio ovunque e' crudelmente in difetto. La transumanza e l'isolamento negli alpeggi non hanno successo tra i giovani, che giudicano il lavoro troppo costrittivo, e soprattutto troppo poco rimunerativo. L'ultima riforma della politica agraria comune ed il suo sistema di aiuti forfettari hanno fatto scegliere produzioni diversi a un gran numero di ovinicoltori.

In materia di reddito agricolo, gli allevatori ovini sono gli ultimi della classe. E "il differenziale continua ad aumentare", sottolinea l'istituto dell'allevamento. I costi di produzione si impennano (+ 15% tra settembre 2007 e settembre 2008) per molteplici ragioni, fra cui il prezzo dei prodotti alimentari, dell'energia e le spese veterinarie gonfiate dalle varie epizoozie. L'afta epizootica ha duramente colpito il Regno Unito nel 2001. Oggi, la febbre catarrale si propaga poco a poco all'insieme dei paesi europei. I piani di lotta sanitari sono complicati dal numero di ceppi diversi della malattia.

Gli aiuti pubblici che ricevono gli allevatori di pecore sono 1,7 volte inferiori a quelli di cui beneficiano i produttori di cereali e 1,4 volte inferiori ai sostegni assegnati agli allevatori di vacche nutrici. La lana è sempre meno valorizzata. Il prezzo pagato ai produttori per la carne ed il latte ristagna da anni, mentre cosciotti, costolette e formaggi costano sempre più cari al consumatore. Il famoso pecorino italiano, fabbricato a partire dal latte di pecora, aumenta tanto regolarmente quanto il prezzo del latte al produttore diminuisce. In Europa del Nord, i consumatori snobbano la carne ovina, troppo tradizionale, troppo saporita e percepita come difficile da cucinare.

Così, le pecore scompaiono dalle campagne europee. E tuttavia, sono insostituibili per il loro contributo alla salvaguardia delle montagne prima della stagione di sci e per il loro ruolo di pulitrici del terreno nelle zone secche in cui il fuoco chiede soltanto di propagarsi.

 

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IL CONSIGLIO EUROPEO DISCUTE DEL PROBLEMA



Diceva Nunzio Marcelli nel 2004
ALIMENTARE: FORMAGGIO TIPICO? SPESSO C'È IL TRUCCO

Tipico, locale, tradizionale. Sempre più spesso i formaggi, vanto della migliore produzione agropastorale italiana, vengono venduti con tali appellativi per attrarre i consumatori. Eppure è sempre più raro che tale identificazione corrisponda a realtà. Così sul mercato si trovano prodotti tipici, tradizionali e locali che in realtà vengono realizzati non con il latte fresco, come buon senso e onestà imporrebbero, bensì con paste semilavorate provenienti spesso addirittura da Paesi diversi dall' Italia.Sulla base di queste considerazioni, e preoccupati per il futuro della loro millenaria attività, gli allevatori sono pronti a insorgere e chiedono l'introduzione di un marchio di qualità "Formaggio prodotto da latte fresco", che ne identifichi la genuinità e ne garantisca la tracciabilità.Una battaglia partita dall' associazione di allevatori ovicaprini Arpo che ha lanciato un "appello alla difesa dei prodotti di qualità" al quale hanno già aderito il movimento interregionale allevatori Mina, il consorzio 'Latteitalianò, il comitato di produttori di latte Cospa e numerose aziende del settore. Ma è un appello appena lanciato e che rimane aperto per l' adesione di tutte le associazioni per la tutela dei prodotti tipici, dei consumatori, degli allevatori, delle attività tradizionali."È in atto da tempo uno sfruttamento dell' immagine e dell' immaginario dei pastori e degli allevatori - afferma il presidente di Arpo, Nunzio Marcelli - che utilizza gli strumenti della suggestione per indurre i consumatori all'acquisto di prodotti che con le tradizioni agricole territoriali e con i metodi di produzione tradizionali non hanno nulla a che fare".In aggiunta a questo, continua Marcelli,"ad ulteriore beffa oltre che danno, sono ampiamente diffusi prodotti "locali" che di locale hanno solo il nome, essendo lavorazioni effettuate sumateria prima già semilavorata che proviene spesso non solo da fuori regioni, ma anche da fuori Italia: niente a che fare con i nostri pascoli, dunque, ma formaggi prodotti da paste che il latte "fresco" lo hanno visto chissà quando, e chissà dove...". Tutto questo viene però venduto sotto il nome di prodotti freschi, prodotti locali, produzione tipica sfruttando l' immagine di una tradizione di pastorizia transumante e allevamento montano, e svilendone così il valore e i prodotti, svuotandone il significato, "mentre intanto le piccole aziende montane che cercano faticosamente di continuare una produzione tradizionale radicata sul territorio scompaiono, schiacciate dalle regole di un mercato globale che non guarda in faccia nessuno".Per gli allevatori è dunque "il momento di assumere impegni concreti, il momento di dire da che parte si sta". E con questo spirito le associazioni aderenti all' appello chiedono un "impegno solenne" agli attuali rappresentanti di Regioni, Parlamento e Governo e a chi si candida ad essere eletto in Europa: che sia introdotta, da subito, la dicitura prodotto da latte fresco. E questo, si legge nell' appello, per dare un colpo allo sfruttamento del serio e faticoso lavoro di chi il formaggio lo fa davvero col latte, per riconoscere il valore dell' allevamento in zona montana e il valore aggiunto che esso garantisce al territorio e ai prodotti, per garantire al consumatore che ciò che compra non è frutto di uno studio dimarketing, ma di una tradizione millenaria, delle mani di uomini che hanno lavorato e lavorano la terra, di stalle dove ci sono mucche e pecore, e non moduli per la richiesta di contributi comunitari. "Chi lavora latte fresco prodotto nei territori di origine - sostiene il presidente dell' Arpo - rende omaggio, oltre che alla storia dei luoghi, ai sapori che tutto il mondo riconosce einvidia all' Italia e a quella garanzia di tracciabilità e genuinità dei prodotti richiesta dai consumatori". Ma questo, secondo gli allevatori, potrà continuare solo se ci sarà un impegno concreto delle istituzioni. "È il momento di dimostrare concretamente da che parte si sta - conclude Marcelli - dunque niente lusinghe pre-elettorali: allevatori e consumatori attendono risposte precise".


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