Il trasloco del vecchio inquilino che ha portato via mille metri cubi di carte e documenti. Da domani a mezzogiorno Bush sarà un semplice pensionato.
WASHINGTON -
Nella città sospesa fra due epoche, si consuma un funerale che è
insieme un battesimo. Queste ultime 24 ore a Washington sono il tempo
dei facchini, degli scatoloni, dei sacrestani laici che officiano la
morte e la rinascita di una democrazia costituzionale che ha sempre
saputo sopravvivere alla miseria e alla grandezza degli uomini.
Dietro la retorica e le danze, nell'ultimo giorno che diventa il primo,
la verità è il rito. Sta in quei furgoni bianchi e gialli con la
scritta "Security Storage", l'impresa di traslochi, parcheggiati nelle
strade dietro il portico sud della Casa che cambia inquilino (mai
padrone) per la 44esima volta. Nei 54 impiegati ancora in servizio e
nel 250 soldati comandati al facchinaggio che vanno e vengono, ben
contenti di portare scatoloni piuttosto che stare in Iraq. Hanno
portato via dalla Casa Bianca finora mille metri cubi, il volume di un
discreto appartamento, di carte e documenti, sotto lo sguardo occhiuto
della vice direttrice degli Archivi Nazionali, che quattordici camion e
due aerei della US Air Force hanno recapitato nella cristianissima
Southern Methodist University di Dallas dove George Bush costruirà la
propria biblioteca, accanto alla casa da 2,1 milioni di dollari
acquistata per la pensione.
Dal mezzogiorno di domani, tutto quel materiale, e quello ancora da
scoprire tra le email e i server, non apparterà legalmente più a Bush,
ma alla nazione.
Queste sono le ore nelle quali l'uomo più potente del mondo assiste al proprio funerale civile a mezzogiorno e un minuto di domani, il momento fino al quale potrebbe ordinare il bombardamento atomico di Teheran o Mosca, e alle 12.02, neppure un caffè. Senza "rischi per la democrazia", nelle certezza di una liturgia che tutti, da 209 anni quando fu aperta la Casa Bianca, rispettano anche se dentro di loro si divincolano.
Come lo stile fa la persona, così il rito fa la religione e le ultime
24 ore di un presidente alla fine sono, da quando Truman cedette
l'ufficio a Eisenhower consegnandogli "la chiave", cioè i codici, per
la guerra atomica, molto più di una transizione costituzionale.
E' il trasferimento del potere dell'Apocalisse. Nella loro ultima notte al terzo piano, dove sta la camera da letto matrimoniale, George e Laura Bush dormiranno dentro una casa di fantasmi, svuotata e quindi un po' sinistra, in attesa che la nuova signora, Michelle, decida dove disporre il mobilio di Stato e quello personale, gli accessori, le foto di famiglia.
Persino lo Studio Ovale, la sacrestia, viene ripulito e ridipinto, i
due divanetti delle decisioni tremende, la scrivania di legno navale
massiccio che la regina Vittoria regalò nel 1890, i vasi, e che tutti
da allora hanno usato, meno Johnson che la trovava lugubre,
immagazzinati durante la notte. Bush questa sera avrà ancora un tavolo
da lavoro. Al risveglio non lo troverà più.
Ricorda Ken Duberstein, il capo gabinetto di Ronald Reagan, che la
mattina del 20 gennaio 1989, quando entrò con Colin Powell nello Studio
Ovale alle 9 esatte, per fare a Reagan l'ultimo rapporto, rimase di
sasso scoprendo che la stanza era completamente spoglia. "Vuol dire che
proprio non esisto più", commentò malinconico Reagan, "tanto vale che
vi restituisca questa" aggiunse allungando la "chiave" nucleare, in
realtà una custodia di plastica da spezzare. "Per carità, mister
President, la tenga stretta, fino a mezzogiorno appartiene a lei". Per
fortuna, quella mattina, in piedi, Colin Powell, consigliere per la
sicurezza nazionale, potè annunciare: "Signor Presidente, il mondo è in
pace". Cosa che domattina, Steve Hadley, il capo gabinetto, non potrà
dire a George W Bush.
Il momento più amaro avviene quando finalmente, finito il corteo
trionfale, il morto deve pure offrire il caffè con pasticcini al vivo,
scambiando frasi fatte. Nessuno sa che cosa dire e tutti hanno fretta
di farla finita, mentre già l'ufficiale con il "football", la valigetta
dei nuovi codici nucleari che devono corrispondere a quelli che il
presidente porta sempre in tasca, si è piazzato discretamente alle sue
spalle. I nuovi arrivati fremono per mettersi al lavoro, per
impadronirsi fisicamente e psicologicamente di quella Casa vuota nella
quale per almeno quattro anni dovranno vivere momenti di esaltazione e
di angoscia che nessuno può mai prevedere. I vecchi si sentono ormai
estranei, appunto morti in casa.
Negli uffici al piano terra, i nuovi funzionari sciamano come
scolaretti in una nuova classe occupando le sedie ancora calde liberate
pochi minuti prima, perché la cancelleria dell'impero deve funzionare
senza interruzioni, sperando che gli uscenti non si siano abbandonati a
vandalismi e dispetti come i clintoniani fecero lasciando il posto agli
odiati bushisti. Poi, tra il sollievo generale, i saluti. Il nuovo
pontefice e quello che contempla un futuro di pipì ai giardinetti con
il cane Barney, si stringono la mano, le signore si scambiano "air
kisses", baci teatrali in aria, senza contatto. Lo zombie civile
cammina verso l'elicottero dei Marines, accenna a un saluto,
militaresco o mite, secondo il temperamento, sale a bordo, l'elicottero
stacca le ruote dal prato e in quell'istante perde la propria
denominazione ufficiale di "Marine One" per diventare un qualsiasi
velivolo militare.
Compirà un ultimo sorvolo a 360 gradi sopra la Casa Bianca, virando sul
lato dove siede il dipartito per offrirgli la vista del mondo che non
gli appartiene più e poi le depositerà alla scaletta del 747 bianco e
azzurro per l'ultimo volo verso la casa in Texas. Non più "Air Force
One", anche se il Boeing è lo stesso, ma "Air Force volo numero 7000".
"Guarda, Nancy - disse Reagan alla moglie poggiandole una mano sul
ginocchio - quello è il nostro piccolo bungalow" e tutti, anche i bulli
del Servizio Segreto, piansero.
Piangeranno anche domani, perché ai funerali si piange. Là sotto,
impazziranno le feste, i Te Deum e i balli per Barack Hussein Obama. La
chiesa americana sarà sopravvissuta intatta e la chiave dell'inferno
avrà cambiato tasca.
(repubblica.it)