L'ultima notte da re di George W. nella casa Bianca dei fantasmi

di Vittorio Zucconi

19 Gennaio 2009   07:53  

Il trasloco del vecchio inquilino che ha portato via mille metri cubi di carte e documenti. Da domani a mezzogiorno Bush sarà un semplice pensionato.

WASHINGTON - Nella città sospesa fra due epoche, si consuma un funerale che è insieme un battesimo. Queste ultime 24 ore a Washington sono il tempo dei facchini, degli scatoloni, dei sacrestani laici che officiano la morte e la rinascita di una democrazia costituzionale che ha sempre saputo sopravvivere alla miseria e alla grandezza degli uomini.
Dietro la retorica e le danze, nell'ultimo giorno che diventa il primo, la verità è il rito. Sta in quei furgoni bianchi e gialli con la scritta "Security Storage", l'impresa di traslochi, parcheggiati nelle strade dietro il portico sud della Casa che cambia inquilino (mai padrone) per la 44esima volta. Nei 54 impiegati ancora in servizio e nel 250 soldati comandati al facchinaggio che vanno e vengono, ben contenti di portare scatoloni piuttosto che stare in Iraq. Hanno portato via dalla Casa Bianca finora mille metri cubi, il volume di un discreto appartamento, di carte e documenti, sotto lo sguardo occhiuto della vice direttrice degli Archivi Nazionali, che quattordici camion e due aerei della US Air Force hanno recapitato nella cristianissima Southern Methodist University di Dallas dove George Bush costruirà la propria biblioteca, accanto alla casa da 2,1 milioni di dollari acquistata per la pensione.


Dal mezzogiorno di domani, tutto quel materiale, e quello ancora da scoprire tra le email e i server, non apparterà legalmente più a Bush, ma alla nazione.

Queste sono le ore nelle quali l'uomo più potente del mondo assiste al proprio funerale civile a mezzogiorno e un minuto di domani, il momento fino al quale potrebbe ordinare il bombardamento atomico di Teheran o Mosca, e alle 12.02, neppure un caffè. Senza "rischi per la democrazia", nelle certezza di una liturgia che tutti, da 209 anni quando fu aperta la Casa Bianca, rispettano anche se dentro di loro si divincolano.


Come lo stile fa la persona, così il rito fa la religione e le ultime 24 ore di un presidente alla fine sono, da quando Truman cedette l'ufficio a Eisenhower consegnandogli "la chiave", cioè i codici, per la guerra atomica, molto più di una transizione costituzionale.

E' il trasferimento del potere dell'Apocalisse. Nella loro ultima notte al terzo piano, dove sta la camera da letto matrimoniale, George e Laura Bush dormiranno dentro una casa di fantasmi, svuotata e quindi un po' sinistra, in attesa che la nuova signora, Michelle, decida dove disporre il mobilio di Stato e quello personale, gli accessori, le foto di famiglia.


Persino lo Studio Ovale, la sacrestia, viene ripulito e ridipinto, i due divanetti delle decisioni tremende, la scrivania di legno navale massiccio che la regina Vittoria regalò nel 1890, i vasi, e che tutti da allora hanno usato, meno Johnson che la trovava lugubre, immagazzinati durante la notte. Bush questa sera avrà ancora un tavolo da lavoro. Al risveglio non lo troverà più.


Ricorda Ken Duberstein, il capo gabinetto di Ronald Reagan, che la mattina del 20 gennaio 1989, quando entrò con Colin Powell nello Studio Ovale alle 9 esatte, per fare a Reagan l'ultimo rapporto, rimase di sasso scoprendo che la stanza era completamente spoglia. "Vuol dire che proprio non esisto più", commentò malinconico Reagan, "tanto vale che vi restituisca questa" aggiunse allungando la "chiave" nucleare, in realtà una custodia di plastica da spezzare. "Per carità, mister President, la tenga stretta, fino a mezzogiorno appartiene a lei". Per fortuna, quella mattina, in piedi, Colin Powell, consigliere per la sicurezza nazionale, potè annunciare: "Signor Presidente, il mondo è in pace". Cosa che domattina, Steve Hadley, il capo gabinetto, non potrà dire a George W Bush.


Il momento più amaro avviene quando finalmente, finito il corteo trionfale, il morto deve pure offrire il caffè con pasticcini al vivo, scambiando frasi fatte. Nessuno sa che cosa dire e tutti hanno fretta di farla finita, mentre già l'ufficiale con il "football", la valigetta dei nuovi codici nucleari che devono corrispondere a quelli che il presidente porta sempre in tasca, si è piazzato discretamente alle sue spalle. I nuovi arrivati fremono per mettersi al lavoro, per impadronirsi fisicamente e psicologicamente di quella Casa vuota nella quale per almeno quattro anni dovranno vivere momenti di esaltazione e di angoscia che nessuno può mai prevedere. I vecchi si sentono ormai estranei, appunto morti in casa.


Negli uffici al piano terra, i nuovi funzionari sciamano come scolaretti in una nuova classe occupando le sedie ancora calde liberate pochi minuti prima, perché la cancelleria dell'impero deve funzionare senza interruzioni, sperando che gli uscenti non si siano abbandonati a vandalismi e dispetti come i clintoniani fecero lasciando il posto agli odiati bushisti. Poi, tra il sollievo generale, i saluti. Il nuovo pontefice e quello che contempla un futuro di pipì ai giardinetti con il cane Barney, si stringono la mano, le signore si scambiano "air kisses", baci teatrali in aria, senza contatto. Lo zombie civile cammina verso l'elicottero dei Marines, accenna a un saluto, militaresco o mite, secondo il temperamento, sale a bordo, l'elicottero stacca le ruote dal prato e in quell'istante perde la propria denominazione ufficiale di "Marine One" per diventare un qualsiasi velivolo militare.


Compirà un ultimo sorvolo a 360 gradi sopra la Casa Bianca, virando sul lato dove siede il dipartito per offrirgli la vista del mondo che non gli appartiene più e poi le depositerà alla scaletta del 747 bianco e azzurro per l'ultimo volo verso la casa in Texas. Non più "Air Force One", anche se il Boeing è lo stesso, ma "Air Force volo numero 7000". "Guarda, Nancy - disse Reagan alla moglie poggiandole una mano sul ginocchio - quello è il nostro piccolo bungalow" e tutti, anche i bulli del Servizio Segreto, piansero.


Piangeranno anche domani, perché ai funerali si piange. Là sotto, impazziranno le feste, i Te Deum e i balli per Barack Hussein Obama. La chiesa americana sarà sopravvissuta intatta e la chiave dell'inferno avrà cambiato tasca.

(repubblica.it)


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